domenica 27 aprile 2008

via, tiriamoci un po' su!

Siccome mi pare che ormai il risultato del sondaggio sia acquisito (ma solo in tre avete visto il blog?), e siccome non voglio mettere tristezza a nessuno, posto un video che ho trovato su youtube e che mi fa ridere senza alcun dubbio...purtroppo va un po' fuori sincrono, ma fa ridere lo stesso!

...ma nessuno commenta le mie recensioni? Va be' che siamo in vacanza...

lunedì 21 aprile 2008

Non ci sono più i comunisti di una volta 2. Ovvero: non ci sono più i comunisti!!!

Prima delle elezioni questo video mi faceva ridere. Dopo le elezioni, mi mette tristezza. Perciò, vi chiedo di votare il nuovo sondaggio: fa ridere o mette tristezza? Personalmente, devo dire che non sono mai stato comunista, però mi dispiace che le istanze sociali che stanno dietro la sinistra non siano più rappresentate in Parlamento. Non mi dispiace per niente, invece, che certi suoi leader non siano stati eletti. Non ne sentirò la mancanza.

domenica 20 aprile 2008

Un bacio romantico - My blueberry nights



Un bacio romantico – My blueberry nights, ovvero come la nefasta abitudine di cambiare il titolo in italiano ad un film straniero possa falsare la percezione dell’opera da parte dello spettatore. Un bacio romantico, infatti, fa subito pensare alla classica commedia romantica: una storia d’amore strappalacrime, con l'happy end finale. In effetti, la storia d’amore c’è, il bacio pure, ma non è questo il punto. Meglio: non è questa l’essenza del film.
Il regista, Wong Kar-wai (In the mood of love, al suo primo film girato in America), non vuole che lo spettatore si immedesimi nella storia tra Jeremy (Jude Law) e Elizabeth (Norah Jones, al suo debutto cinematografico, mostra di non essere solo la raffinata cantante che è, ma anche un'ottima attrice). Lo sguardo di chi è seduto in sala non deve fondersi con la soggettiva dei personaggi, ma deve mantenere la distanza dell’osservatore esterno. Per questo Wong Kar-wai ricorre a vari espedienti di regia:
1. la macchina da presa inquadra spesso e volentieri i personaggi da dietro uno schermo, magari un vetro: la vetrina di un caffè, il vetro del banco frigo del bar, ma anche una tapparella…;
2. il ricorso non alla soggettiva, ma ad un'oggettiva irreale, o soggettiva stilistica che dir si voglia: ovvero, dal fuori fuoco alla messa a fuoco;
3. l'uso frequente del primo piano che, come insegna Deleuze in L’immagine movimento, trasporta lo spettatore al di fuori dello spazio e del tempo, in una dimensione virtuale, extranarrativa. In altre parole, la ripresa ravvicinata trasforma il volto del personaggio in una maschera (etimologicamente una "persona"), mostrando l’universalità del sentimento che esprime in quel momento: rabbia, paura, desiderio, amore. A questo proposito, sempre Deleuze, citando Bergman, ha parlato significativamente di «nichilismo del volto», ovvero della «paura del volto di fronte al suo stesso nulla» (queste considerazioni sono tratte da Introduzione alla retorica del cinema di Sandro Bernardi);
4. la dilatazione-distorsione dello spazio-tempo, attraverso il ricorso frequente alla slow-motion, saltuario all’accelerazione, e all’immagine frammentata di una camera a circuito chiuso;
5. l’ambientazione in “non-luoghi”: bar, caffè, stazioni, strade, casinò (che, come recita una battuta del film, «ti fa perdere la cognizione del tempo»).
Dunque, Wong Kar-wai non si propone con questo film di raccontare una storia romantica, ma intende sviluppare una personale riflessione sull’amore, sulla solitudine esistenziale. Sull’amore ai tempi della solitudine, si potrebbe dire…il colera della nostra epoca. A questo riguardo è significativo il dialogo drammatico tra Sue Lynne (Rachel Weisz) ed Elizabeth, quando Sue Lynne, piangendo l’ex marito da poco scomparso, confessa i suoi sentimenti: «Lo sai? A volte desideravo vederlo morire. Pensavo fosse l’unico modo per liberarmi. – Lo odiavi tanto? – No. Non lo odiavo. Volevo solo che mi lasciasse andare. E adesso che se n’è andato, mi fa un male cane. Mi sento sola al mondo.»
Il viaggio di Elizabeth (anticipato dai continui raccordi di treni, metropolitane, tram in profondità di campo) da New York a Memphis, poi a Las Vegas, è un viaggio nei rapporti umani, che delle chiavi misteriose aprono e chiudono; all’interno di questa ossimorica solitudine relazionale, che fatalmente si porta dietro il rischio del fallimento, della perdita. Di questo tenore sono i rapporti delle persone che incontra, compreso quello tra il personaggio di Lesile (Natalie Portman) e suo padre. È Lesile, accanita giocatrice di poker, che cerca di introdurre Elizabeth nell’arte del bluff, dell’espediente della menzogna nei rapporti interpersonali. Quando Elizabeth scopre che Lesile le ha mentito, lei si giustifica: «Forse volevo solo un po’ di compagnia. C’era tanta strada da fare e non la volevo fare da sola». Quella di Lesile è una solitudine senza speranza: «Smettila di prendere le persone sul serio!», dice all’amica. «E tu perché non inizi?», risponde Elizabeth. «Sei senza speranza!»; «Sei tu che sei senza speranza!»
Dunque, la traversata verso ovest e ritorno di Elizabeth, attraverso i lunghi rettilinei delle strade americane, rettili neri d’asfalto, non fanno di Un bacio romantico un semplice road movie. Si tratta, semmai, di una rilettura “in salsa cinese”, cioè alla luce della cultura e, potremmo dire, della spiritualità cinese, del genere “film di viaggio americano”. Un viaggio prettamente notturno: le notti di Elizabeth sono al mirtillo (questa la traduzione letterale del titolo originale: le mie notti al mirtillo), perché al mirtillo è la sua torta preferita, quella che tutti gli avventori del caffè di Jeremy a New York, scartano, preferendo altri dolci. Così, alla fine della giornata, al momento della chiusura del locale, la torta al mirtillo rimane intatta, da sola, nel freddo del refrigeratore.

martedì 15 aprile 2008

W BERLUSKA!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

Ieri mi sono alzato che già sapevo sarebbe stata una giornata difficile...
Andato a letto tardi, mi alzo presto. Uscito di casa mezzo rincoglionito, appendo al collo il lettore mp3 per accorgermi solo dopo mezz'ora che ho lasciato le cuffie a casa. Bravo pirla! Sono preoccupato perché non so bene che tipo di lezione fare in terza (la prima non mi preoccupa: sono piccoli e fanno quello che dico, senza porsi il problema se va bene o no). Prima di salire sull'autobus, per fortuna, compro il giornale, La Repubblica. Dico per fortuna perché ci trovo diversi articoli interessanti e mi rendo conto che, con un po' di fantasia, possono salvarmi. Uno su Garibaldi, un altro su Primo Levi = lezione di storia a posto. C'è poi un articolo che fa al caso mio per geografia: l'aumento del prezzo degli alimenti in tutto il mondo con il rischio fame per milioni di persone. In particolare mi colpisce un'illustrazione che correda l'articolo: si tratta di un planisfero in cui quasi tutti i Paesi del mondo sono colorati (varie gradazioni di rosso: rosa, arancione e color mattone), mentre solo alcuni sono grigini. Bene, quelli colorati, dice la legenda, sono i Paesi in cui milioni di persone vivono con meno di un dollaro al giorno.
Ora, in terza, per prima cosa faccio leggere il pezzo su Garibaldi e mi soffermo sul fatto che l'unità d'Italia non è stata fatta solo dagli italiani del nord (i piemontesi guidati da Cavour e Vittorio Emanuele II), ma anche da quei 50 mila volontari meridionali che hanno combattuto con Garibaldi, liberando il Mezzogiorno. Sottolineo che pertanto l'Italia è riuscita a cacciare lo straniero e raggiungere l'unità solo quando lo hanno voluto tutti gli italiani, del nord e del sud; cioè quando veramente si sono uniti per il bene comune. Il che, la butto lì, andrebbe ricordato a chi parla di secessione.
Poi passo a Primo Levi. La lettura delle toccanti testimonianze dello scrittore mi consentono di fare riflettere i ragazzi sulla dignità umana. Levi racconta del numero di matricola impresso sul braccio degli internati nel campo di concentramento e io considero, e faccio considerare, che non chiamare una persona per nome ma per numero è un modo assai efficace per negarle la dignità di essere umano. Perciò, quando Primo Levi, che questa privazione l'ha subita e ne ha portato il peso tutta la vita, finché questo peso non l'ha retto più, afferma che "è uomo chi uccide, è uomo chi fa o subisce ingiustizia", risponde riaffermando eroicamente (uso proprio questa parola) la dignità umana, senza eccezioni.
Ed ecco allora il link (= collegamento, lo scrivo per Pasqua, che dei termini di computer ci mastica il giusto) per la lezione di geografia. Faccio vedere il planisfero che illustra il problema della povertà nel mondo, che coinvolge molti dei Paesi che abbiamo studiato da poco. Rimangono tutti di stucco. Com'è possibile (leggo la domanda nei loro occhi di tredicenni griffati) vivere con meno di un dollaro al giorno, che è poi meno di un euro, se a me non basta neanche la paghetta di 20 euro per la ricarica del cellulare? A questo punto, dopo averli rapiti, pongo la domanda retorica: secondo voi a queste persone è riconosciuta la dignità umana?
Ce l'ho fatta! Sento qualcuno che mormora "Che bella la lezione di oggi!"... E qui mi monto la testa... Mi spingo oltre. Faccio notare ai ragazzi che la notizia in questione, che li ha tanto colpiti, e di cui, sono sicuro, hanno colto la gravità, è solo a pagina dieci. Prima, La Repubblica, il secondo giornale in Italia, come del resto anche gli altri giornali, dedica pagine e pagine sulle elezioni, riportando i soliti commenti dei politici che si insultano a vicenda. Tutti a dire "noi faremo questo", "noi faremo quello", "loro sono stupidi", "no, sono loro che sono cretini"...parole che suonano vuote di fronte ai problemi dell'umanità, molto più grandi e importanti. Mentre loro perdono tempo a insultarsi, che siano di destra o di sinistra, ci sono milioni di persone che muoiono di fame. Eh, sì. Ormai mi permetto anche la frase retorica. Sono in pieno delirio di onnipotenza. Aggiungo che mi sarebbe piaciuto che i vari candidati premier avessero affrontato questi problemi in campagna elettorale, e invece ne ha parlato solo il Governatore della Banca d'Italia. Ma non un politico che uno ne ha parlato. Dunque, considero solo questo, non mi interessa parlare di politica, tantomeno di destra/sinistra, comunisti/fascisti. Ognuno la pensi come vuole e d'altronde se il diritto di voto si acquisisce a 18 anni è perché evidentemente prima non si è ritenuti capaci di farsi un'idea consapevole della politica. Alla vostra età, dico ai ragazzi, pensate di capire la politica ma non ne capite niente: vi schierate da una parte e dall'altra come fra interisti e milanisti, o juventini e tifosi viola. Qualcuno brontola, offeso nella sua intelligenza, ma in generale sono d'accordo. E poi, sono sicuro che oggi hanno capito che i problemi seri sono altri...
Sono sicuro...ho adempiuto il mio dovere. Non manipolare le coscienze non significa eludere il dovere di formarle. Sarebbe una vigliaccheria imperdonabile per un insegnante. Ma io sono convinto che, almeno oggi, non sono stato un vigliacco, e ho fatto passare un messaggio importante. I ragazzi hanno capito.
Suona la campana. La scuola, almeno per oggi, è finita. Tutti a casa. Esco, soddisfatto del mio lavoro, contento. I ragazzi sono ancora lì in cortile che parlottano fra di loro, aspettando che i genitori li vengano a prendere. Mi vedono e mi salutano con allegria: "Ehi, profe!..." Si vede che sono anche loro soddisfatti per una lezione diversa dal solito, che li ha fatti riflettere. "Ciao, ragazzi!", rispondo con il buon umore datomi da questa convinzione... "Ehi, profe!...W Berluska, eh! Ma lei per chi tifa?"

venerdì 11 aprile 2008

faccio outing!!!, ovvero...non è un paese per giovani

A 34 anni posso dirmi ormai una persona adulta, con una personalità formata, indipendente da quella dei miei genitori. A 34 anni è giusto uscire dall'ipocrisia e mostrarsi al mondo per quello che si è, senza vergognarsi. Perciò ho deciso che è arrivato il momento di fare outing, di uscire allo scoperto, di rivelarlo a tutti. Forse darò un dispiacere a mia madre, ai miei parenti, ai miei amici, che mai avrebbero sospettato...
Ma è ora di finirla, non voglio più nascondermi.
Perciò da questo pubblico blog voglio rivelare al mondo che...
...IO SONO...




...quello che ha votato "fa ridere" nel sondaggio sul video "Presidente siamo con te"! (Cosa avevate capito?)
Che ci posso fare? Lo trovo irresistibile. Dal primo momento che l'ho visto mi sono sganasciato dalle risate! Lo vedo e lo rivedo, e tutte le volte rido. La canzoncina mi è entrata nel cervello. Mi ritrovo sotto la doccia a canticchiarla; cammino per strada e vorrei urlare "Presidente siamo con tee, meno male che Silvio c'èè"; addirittura in classe, mentre spiego i totalitarismi, guardo i fanciulli, così freschi e pieni di gioia di vivere e fiducia nel futuro, e penso: "meno male che Silvio c'è"!
Oh, finalmente l'ho detto! Non è stato facile trovare il coraggio di farlo. So che ora mi aspetta una vita difficile, fatta di discriminazioni, sguardi torvi e diffidenti. Pazienza. Mi sono tolto il peso. Perciò, lunedì sera, quando sarà ormai certo il ritorno al trono di Silvio III, io metterò l'mp3 di "Presidente siamo con te" nel mio lettore portatile, chiuderò la valigia, controllerò di avere con me tutti i documenti validi per l'espatrio, e partirò. Via, finalmente! Dove? Non lo so ancora. Lontano. Il più lontano possibile da questo Paese.
Perché? Perché non è un Paese per giovani. Già lo sapevo, ma ne ho avuto la certezza l'altro giorno a scuola. Al cambio dell'ora mi si è avvicinata la suora, che è anche la Preside: con fare circospetto, mi ha chiamato da parte, lontano dagli occhi indiscreti dei colleghi. Ha messo la mano in tasca, ha tirato fuori il pugno chiuso e lo ha avvicinato alla mia mano, nel gesto inequivocabile di chi vuole farti prendere qualcosa senza che altri vedano. Mi rendo conto che ora sarebbe esilarante scrivere che era una dose di coca o di hashish, ma non si trattava di questo. Erano tre banconote arrotolate: due da venti e una da dieci. Totale: 50 euro. "Prendi, sono per te" - ha detto. Proprio come faceva mia nonna quando mi dava le strenne. Ho cercato di protestare, di chiedere perché. Lei mi ha spiegato che era il compenso per la gita. Trattandosi di un solo giorno, non era prevista per legge una retribuzione in busta paga, come invece per la gita di due giorni, che mi è stata regolarmente pagata 40 euro al giorno, cioè 80 euro in tutto. Il giusto compenso per due giorni in cui devi badare che trenta ragazzini scatenati non si perdano, non vengano rapiti, stuprati nei bagni degli autogrill, investiti da un'auto pirata, non cadano, non si fratturino, ecc. se no, finisci in galera, perché la responsabilità penale è tua. La gita di un giorno invece è gratis, anche se la responsabilità penale resta (e il rompimento di balle pure, ma infondo ci si diverte anche, non voglio essere ingiusto). Insomma, faccio finta di protestare, di dire "Ma no, è il mio lavoro". La suora mi guarda, mi strizza l'occhio, spinge i soldi nel palmo della mia mano e lo richiude, dicendomi "So che hai bisogno". Frase che taglia la testa al toro. Eh, si! Lei lo sa bene che ho bisogno, perché è lei che fa la mia busta paga e capisce che con 470 euro al mese non posso far altro che pagare l'affitto e a mala pena le bollette; che non posso comprare carne rossa, né pesce fresco; che posso andare al cinema solo una o due volte al mese; che di andare nei locali la sera non se ne parla; tantomeno a teatro o ai concerti (De Gregori: prezzo minimo 30 euro; James Taylor: prezzo minimo 46 euro!).
Ecco. In quel momento mi sono visto dall'alto. Come se quella scena non riguardasse me ma il personaggio di un film: ho visto una persona adulta, di 34 anni, con la barba e un'incipiente calvizie, una laurea con 110 e lode, media del 30, pubblicazione della tesi più altre pubblicazioni varie, 12 esami in giurisprudenza con la media del 28, e varie altre cose sul curriculum vitae, che prende le strenne dalla Preside-nonna e le è sinceramente grato, proprio come un nipotino. Perché è vero: ha bisogno.
Perciò fai bene Piroz a partire, ad andare ad Edimburgo. Vai Piroz, vai! Apri la strada a tutti noi! Se c'è un Paese che sa cosa farsene dei giovani, facci sapere e ti raggiungiamo!

P.S. A proposito di partenze... A Firenze, a Palazzo Vecchio, c'è la mostra di Giampaolo Talani, artista emergente, patrocinato da Vittorio Sgarbi. È l'autore dell'affresco della stazione di Santa Maria Novella, che si intitola appunto "Partenze". Mi piace, ha un suo stile. E tuttavia non posso fare a meno di appuntargli un difetto di personalità. Credo che la sua ricerca stilistica debba fare passi avanti. L'impressione è che non abbia raggiunto ancora una completa originalità. La sua riflessione sulla partenza, sul viaggio, così evocativa e letteraria, risente troppo del già detto. Per esempio, nella sezione della mostra che ha per titolo "Finisterre" come la prima sezione di "La bufera e altro", terza raccolta montaliana, c'è un quadro che fa pensare troppo alla montagna di Sainte Victoire di Cézanne (vedere per credere: http://www.talani.it/). Mi riferisco in particolare a come i colori del cielo sconfinino sulla terra e viceversa, riproducendo l'elaborazione cerebrale della visione retinica (ampiamente studiata da Cézanne)...
Inoltre, la scultura che in questi giorni è esposta sotto i portici della galleria degli uffizi, "Rosa dei venti", e tutta la serie di quadri degli omini con la valigia, non sono già visti? Con le dovute differenze, certo, ma non ha già detto tutto Folon? Sarà che non sono un esperto d'arte, ma a me sembra di si.




martedì 8 aprile 2008

Storia di una recensione non scritta

Sollecitato ad aggiornare il blog, esco mal volentieri dal mio ozio creativo per parlare non so bene di cosa.
Parliamo di cinema, visto che ad esso si dovrebbe riferire un blog che ha per titolo "Cinema e dintorni". Non ci vado da un po'. Non ho visto Caos calmo, che tutti vorrebbero recensissi, perché il libro non mi piace. Ne ho letto una ventina di pagine in libreria e l'ho trovato scritto male. Nella mia classifica personale dei brutti libri lo affiancherei a Non ti muovere della Mazzantini, Va dove ti porta il cuore e quell'altro di Piperno di cui non ricordo neanche il titolo. Che ci volete fare, i gusti sono gusti!
L'ultimo film che ho visto è Non è un paese per vecchi, dei fratelli Coen. Lo aspettavo da tanto. Non dico che ha deluso l'attesa, ma ha ragione Mereghetti a dire che è un ottimo film ma non un capolavoro. Personalmente, ho trovato singolare che gli ultimi 20-30 minuti del film siano noiosi, mentre proprio l'ultima parte del libro di Cormac McCarthy, da cui il film è tratto, sia la più interessante. Mi sono chiesto perché e la risposta che mi sono dato è troppo complicata, al punto che non la capisco neanch'io. Pertiene alla diversa fruibilità delle due forme d'arte, quella della letteratura e quella del cinema: la prima richiede una fruizione più lenta, che favorisce le pause e la riflessione; la seconda, invece, necessita di una comprensione più immediata e intuitiva. In altre parole, filmare la riflessione filosofica è noioso, leggerla è stimolante. Almeno credo... Avrei voluto scrivere una recensione su questo film, ma, simpaticamente, il giornale che me le pubblica, senza corrispondere un centesimo per la mia fatica, non solo non ha pubblicato gli ultimi pezzi che ho mandato ma mi ha fatto trovare nell'ultimo numero la recensione proprio di Non è un paese per vecchi, scritta da un altro. È una buona recensione, ma io mi sarei soffermato su altri aspetti. Sull'onda delle mie riflessioni precedenti, circa il nichilismo novecentesco e la crisi degli ideali, prim'ancora che delle ideologie, avrei incentrato il pezzo sul tramonto di un sistema di valori, quello del cowboy e dello sceriffo (non a caso prossimo alla pensione), e sull'alba di un altro sistema che ha assunto come unico valore l'assenza di ogni valore, a cominciare da quello fondante della vita umana. Quest'ultimo sistema, non immorale ma a-morale, è incarnato dal personaggio straordinario di Anton Chigurh, interpretato nel film dall'ottimo Javier Bardem. La violenza di questo personaggio è interessante proprio perchè non inquadrata nel codice "cavalleresco" del vecchio west, ormai superato, fatto di duelli, taglie ecc.; ma è inquadrata invece in una nuova religione: quella del caos, della casualità insensata della vita. L'unico dio che Chigurh conosce è se stesso, che decide della vita e della morte; l'unica legge che rispetta è quella del "testa o croce" di una monetina. Nel suo mondo non esiste una verità in cui credere, o da tradire. Nel mondo al tramonto dello sceriffo Bell (Tommy Lee Jones), la verità esiste ancora. Pagina cento del libro di MacCarthy:
Siamo venuti qui dalla Georgia. La mia famiglia, intendo. Carro e cavallo. Questo lo so praticamente per certo. So che nella storia di una famiglia ci sono sempre un mucchio di cose inventate di sana pianta. Nella storia di qualunque famiglia. Le storie si tramandano e la verità si tradisce. Come si suol dire. E probabilmente c'è chi pensa che ciò vuol dire che la verità non è abbastanza forte. Ma si sbaglia. Secondo me, dopo che tutte le bugie sono state dette e dimenticate, la verità sta ancora lì. Non va da nessuna parte e non cambia da un momento all'altro. Non si può corrompere, così come non si può salare il sale. Non si può corrompere perché è quella che è. È la cosa di cui stai parlando. L'ho sentita paragonare a una roccia - forse nella Bibbia - e sarei anche d'accordo. Ma la verità resterà qui anche quando la roccia non ci sarà più. Sono sicuro che qualcuno non sarebbe d'accordo con questa idea. Parecchia gente, anzi. Ma questa gente non sono mai riuscito a capire in cosa creda.

Ecco. Avrei avvalorato la mia tesi analizzando lo stile sentenzioso (frasi brevi, scandite dai punti fermi) di McCarthy, e avrei fatto un raffronto stilistico fra i vecchi film western (magari citando la grammatica di Sergio Leone, chissà...) e la cifra stilistica delle inquadrature dei Coen. Naturalmente, il progetto sarebbe andato al di là delle mie capacità e avrei abbassato il tiro in corso d'opera. Ma comunque...

Infine, avrei considerato il riferimento del mondo violento di Chigurh con il mondo violento di oggi (da Arancia meccanica in poi: in principio fu sempre Kubrik). Pagina 101:
Cosa stavo dicendo l'altro giorno a proposito dei giornali? Ecco, la settimana scorsa hanno scoperto una coppia in California che affittava camere ai vecchietti, poi li ammazzava, li seppelliva in giardino e si intascava gli assegni della pensione. Prima di ammazzarli li torturavano, non so perché. Forse avevano il televisore rotto. Ed ecco cosa diceva di questo fatto il giornale. Testuali parole. Diceva: I vicini si sono messi in allarme quando hanno visto un uomo lasciare di corsa la casa con indosso solo un collare per cani. È impossibile inventarsi una notizia del genere. Vi sfido anche solo a provarci. Avete capito? Ecco cosa ci è voluto. Tutte quelle urla, e quelle buche scavate in giardino non avevano insospettito nessuno. Pazienza. Quando ho letto questa notizia, mi sono messo a ridere. Non c'è molto altro da fare.

giovedì 3 aprile 2008

Il fascino del proibito: sondaggio elettorale

Dopo vacanze pasquali e gite scolastiche varie, ritorno nel mondo in piena campagna elettorale, rigogliosa dei suoi fiori della par condicio e del divieto di citare i sondaggi elettorali. Siccome il miglior modo di resistere alle tentazioni è cedervi, propongo un sondaggio elettorale. Sulla falsariga dei precedenti post che hanno avuto per argomento la comicità, pubblico questo video che mi sembra il più comico di tutti. Sono altresì consapevole che, così facendo, faccio una scelta di parte. Qualcuno penserà che non va bene, ma secondo me si può fare.
Perciò ecco il video e, qui di fianco, il sondaggio. Le voci sono tre e volutamente ambigue: si può piangere di dispiacere e di gioia, come si può ridere per canzonare o per condividere l'allegria. Votate! Non c'è bisogno di nessuna scheda elettorale e il voto è segreto. Basta un click!