domenica 28 febbraio 2010

Genitori & figli: agitare bene prima dell'uso


Coppie ottantenni che si separano per incompatibilità di carattere. Nonne che hanno il vizio del poker e dei superalcolici; che non insegnano alle nipotine la ricetta dell’omonima torta o i misteri del punto croce, ma danno loro le chiavi dell’appartamento dove possano perdere la verginità.

Genitori che litigano, che si separano, che si tradiscono, che danno i numeri (letteralmente). Mamme nevrotiche, insoddisfatte, che educano sequestrando il telefonino e il pc per una settimana, “senza sconti”. Padri che non possono più essere autoritari, e non sanno essere autorevoli, perché, deboli come sono, subiscono la personalità dei figli; e così, inseguendoli nel loro codice linguistico, mettono le parolacce a caso o citano versi di De André.

Figli che respirano il razzismo insieme allo smog. Figlie che a quindici anni hanno come unico pensiero il non averlo ancora fatto, ultime fra le proprie coetanee. Che trovano patetici i loro genitori. Sorelle maggiori che drogano i fratelli minori per poter uscire e fare tardi la sera, quando il padre è andato via di casa e la mamma è uscita con l’amante. O che irridono il proprio genitore filmandolo di nascosto e svergognandolo su Youtube.

Per qualcuno, l’ultimo film di Giovanni Veronesi, Genitori & figli: agitare bene prima dell’uso, con Margherita Buy, Silvio Orlando, Michele Placido, Elena Sofia Ricci, Max Tortora e Luciana Littizzetto (più alcuni illustri camei, di Sergio Rubini e di Gianna Nannini), è la fotografia impietosa della famiglia italiana di oggi. Ma, a ben vedere, non di foto si tratta. Piuttosto, di caricatura. La mano caustica di Veronesi traccia a carboncino delle linee volutamente grossolane, estremizza i tratti, esaspera i difetti. Quella bocca storta, non è così storta nella realtà. Ma è storta. Quei denti all’infuori, non sono così sporgenti. Però sporgono. Quell’occhio un po’ più basso dell’altro, quella punta d’orecchio a sventola che i capelli lunghi non riescono a nascondere del tutto, quella incurvatura del naso che non è proprio una gobba, però…

Non sono veramente così, le famiglie italiane. Ma un po’ sì.

Nel chiaroscuro, c’è l’ombra, ma c’è prima la luce. Quel giovane che aspira alla carriera televisiva non è del tutto privo di ideali. E per essi è disposto a rischiare la vita, nuotando nella vasca di un’orca, con il coraggio o l’incoscienza che è propria dell’età. Quel padre che per parlare col figlio introduce il discorso con un calcio nel sedere, vuole sinceramente avere un dialogo, cercare di capire. Quella mamma nevrotica ce la mette tutta per tenere insieme la famiglia. Quella bambina, paracadutata improvvisamente nella foresta pluviale della sessualità, cerca con coraggio il sentiero, la risposta alle sue domande. Il bambino è razzista perché il razzismo è nell’aria che non può fare a meno di respirare. Bisognerebbe cambiarla, quell’aria. Aprire le finestre della sua cameretta all’arcobaleno della vita, e farlo affacciare. Quel padre, così imbranato nel trovare la rotta della sua barchetta, si ostina comunque a cercarla perché a bordo ci sono i suoi due figli. E sua moglie, pur tra un fallimento sentimentale e l’altro, riesce a star dietro alle magagne e alle debolezze di tutti loro. E, se è il caso, pagare di tasca propria.

Nell’albero genealogico della famiglia italiana, oggi si sta come d’autunno le foglie, che sembra debbano cadere al primo refolo di vento. E qualche volta cadono. Tuttavia, non per questo l’albero si secca. Anzi, alle foglie gialle dell’autunno seguono sempre quelle verdi della primavera. Forse proprio da questa consapevolezza si dovrebbe ripartire. L’importante è non far seccare la pianta. Per scongiurare il pericolo, bisogna farsene carico. E gli adulti, nel loro complesso, sono i giardinieri che devono sentirsi deputati al compito; anche al di là del proprio cortile, in misura della loro responsabilità sociale. Magari ricorrendo a un fertilizzante più efficace delle parole, e chissà perché caduto in disuso, quasi fosse nocivo e non naturale. Un fertilizzante di cui non c’è traccia, forse non per caso, neanche nel film: il buon esempio.

domenica 21 febbraio 2010

Non ce la faccio...

... mi scappa il sondaggio...

dovrei essere contento: per due anni di fila un sardo ha vinto Sanremo.

Ma...

Dopo aver visto e ahimé sentito la canzone di Pupo di Savoia,

gli operai di Termini Imerese relegati a un siparietto,

Bersani che non riesce a parlare e Scajola che fa il comizio e ottiene un'ovazione,

la Banda dei Carabinieri che suona Indiana Jones e Guerre stellari, roba che manco la banda del paese,

far l'amore in tutti i luoghi in tutti i laghi che vince...

Ebbene, ho realizzato che non mi basta più emigrare.

Voglio CAMBIARE LA CITTADINANZA e prendere quella di un Paese più serio!!!

Ma quale? L'Olanda? No, meglio di no, non bevo e non fumo neanche... la Germania? No, no...

forse il Canada...

anzi, no, per carità! Ci sono troppi laghi!

sabato 20 febbraio 2010

Sanremo 2010

Lo scrivo prima che proclamino il vincitore...

...visti i tre finalisti...

possiamo dire che...

HANNO UCCISO LA MUSICA!!!!!!!!!!!!!!

(come diceva un mio compagno di collegio)

domenica 14 febbraio 2010

Carnevale di Viareggio 2010 (se qualcuno mi vuole assumere come fotografo, si faccia avanti!)


































Sorry

Mi ero dimenticato che avendo cambiato indirizzo e-mail dovevo provvedere anche a reimpostare il filtro ai commenti sui post. Mi sono accorto solo ora di avere 5 commenti non pubblicati. Ho provveduto immediatamente. Grazie a Cecilia di altracitta.org e a Umberto Benedetti (ho preso il dvd)!

martedì 9 febbraio 2010

Chi cerca il tesoro, trova se stesso

Nell'ultimo saggio di Vito Mancuso, La vita autentica, ho trovato una bella spiegazione di una frase del Vangelo di Matteo, che, a dire il vero, mi era sfuggita.

Una frase alla quale non avevo prestato mai attenzione, forse perché conclude un discorso, il cui centro mi sembrava fosse nelle frasi precedenti, non in quella finale.

Il passo è questo, Mt 6, 19-21:

Non accumulatevi tesori sulla terra, dove tignola e ruggine consumano e dove ladri scassinano e rubano; accumulatevi invece tesori nel cielo, dove né tignola né ruggine consumano, e dove ladri non scassinano e non rubano. Perché là dov'è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore.

...là dov'è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore...

Ecco l'esegesi di Mancuso:

[...] il tesoro che un uomo cerca è ciò che lo definisce, perché è in base a esso che egli interpreta e gerarchizza le persone che incontra e le esperienze che fa. Se il tesoro che cerca è il denaro, farà tutto in funzione del denaro, anche le amicizie e le frequentazioni, persino il matrimonio e l'educazione dei figli vi saranno funzionali. Se il tesoro che cerca è il potere, farà tutto in funzione del potere, persino la fede religiosa potrà essere abbracciata o dismessa a seconda dell'evenienza [...] Il tesoro che un uomo cerca con la sua vita di ogni giorno è la sua speranza, e quindi ogni uomo consiste nella sua speranza, perché "dov'è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore". [p. 131-132]

Sostengo quindi che l'uomo compie la sua vita, rendendola oggettivamente autentica e uscendo dalle trappole dell'Io, quando vive per una speranza più grande di lui, in base alla quale egli, a poco a poco, giunge a dare forma a tutto quello che fa e che dice. [...] è lecito sperare che l'ultimo orizzonte dell'essere sia non l'assurdo ma il senso, non il male ma il bene, non il nulla ma l'essere, non la morte ma la vita. [p. 134]

Il ragionamento è più articolato. Ho dovuto, per forza di cose tagliare, scegliendo le parti più significative per me. Chi vuole riempire i puntini di sospensione non ha che da comprare il libro: Vito Mancuso, La vita autentica, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2009

domenica 7 febbraio 2010

Al cinema...

Non credo di sbagliare se dico che l'Odeon, in piazza Strozzi, è il cinema più bello di Firenze. Si trova nel Palazzo dello Strozzino, progettato, pare, da Brunelleschi e a cui ha lavorato Michelozzo. Non so se mi spiego.

Di solito, è anche il cinema che proietta i film migliori, ed è l'unico che porta anche films in lingua originale, idea non balzana, vista la mole di turisti che affollano il centro storico.

Al momento, c'è in programmazione La prima cosa bella, probabilmente il film più riuscito di Virzì.

Ma non è per andare a vedere questo film che sono andato all'Odeon venerdì scorso. Quello che sono andato a vedere forse non era neanche un film. Più un docu-film. Neanche...un film-intervista...

Boh, insomma, non è questo il punto. È che non ho mai visto l'Odeon così pieno. Si trattasse di uno stadio, potrei scrivere "gremito in ogni ordine di posti", mutuando l'espressione dalle cronache calcistiche.

Non c'era una poltrona libera. Né in platea né in galleria. E anche le sedie laterali sui palchetti sono state occupate in men che non si dica. Molte persone sono rimaste in piedi. Qualcuna si è seduta per terra, con la schiena appoggiata al muro.

Ora, contando che la capacità è di quasi seicento posti a sedere, direi che c'era veramente tanta gente.

Ma neache questo è il punto. La cosa che sorprende di più è che non si trattava dell'anteprima di Avatar, con Cameron in sala. Quelle seicento persone erano lì per vedere cinquanta minuti di pellicola dedicata a tre preti.

Proprio così. Firenze la rossa venerdì scorso ha riempito la sala dell'Odeon come mai prima per vedere e sentire tre preti. Cosa che nenche al Vaticano.

A presentare il film, sono stati chiamati due testimoni d'eccezione, per quanto apparentemente incongrui: Folco Terzani, figlio del mai dimenticato Terzano, e Maurizio Maggiani, autore del Coraggio del pettirosso, ma anche de La Regina disadorna e de Il viaggiatore notturno.

Il primo a parlare è stato proprio Maggiani. Con il suo eloquio lento e pacato, suadente come un mantra oppure semplicemente soporifero, a seconda dei gusti, ha messo in chiaro subito di non essere cattolico, ma di essere presente alla serata perché ultimamente le persone più interessanti che incontra, e lui è il primo a stupirsene, sono preti. E i preti in questione non ha esitato a definirli profeti, per la visione del futuro che riescono ad avere, in tempi in cui nessun'altro riesce ad andare con lo sguardo al di là del presente, soprattutto se a guardare sono i giovani.

Folco Terzani, invece, è un giramondo, come il padre. Quindi, probabilmente, c'è da sorprendersi meno del fatto che si sia imbattuto, oltre che nei guru indiani, in tre sacerdoti italiani (che tutto vogliono essere, fuorché guru).

Tre preti, dunque. Ma chi sono? Alessandro Santoro, Andrea Bigalli e Luigi Verdi. Di don Santoro ho già avuto modo di parlare in questo blog, e anche di Andrea avete letto qualcosa, avendo io la fortuna di conoscerlo. Non conoscevo invece don Gigi, l'unico dei tre non presente in sala. Forse per questo le sue parole mi hanno toccato di più. Così, random: "chi viene da me non deve aspettarsi risposte [...] non ha bisogno di un padre, e neanche di una madre [...] un prete non deve dire tante parole [...] qualche volta qualcuno viene a trovarmi e io lo invito a zappare con me [...] se a uno è morto un figlio e si chiede perché Dio lo ha permesso, ha ragione a lamentarsi, io posso solo dirgli che un giorno non solo Dio asciugherà le nostre lacrime, ma saremo noi a doverle asciugare a Lui, perché a quella mamma dirà, piangendo, che non ha potuto fare nulla per salvare suo figlio, e non ha potuto fare nulla perché il limite dell'onnipotenza di Dio è la nostra libertà [...]"

A visione ultimata, mi è rimasta l'impressione che don Santoro sia un soldato, don Andrea l'intellettuale, don Gigi il buono. Il film-intervista prende il titolo un po' da De Gregori un po' da De andré, definendoli Compagni di viaggio ...in direzione ostinata e contraria.

In effetti, è così che li sento, e sono sicuro che è così che sono percepiti da tutti. Dei compagni di viaggio con cui è bello fare un pezzo di strada insieme. È bello sapere che ci sono.

Maggiani ha raccontato come ha conosciuto don Gigi. Era il 25 aprile e non sapeva dove andare a festeggiarlo. Ha preso la macchina e si è ritrovato con la compagna in una pieve isolata. Scesi dalla macchina si sono avvicinati per visitarla e stupiti hanno sentito provenire da lì le note inconfondibili di Revolution dei Beatles...
Post scriptum. Don Santoro non voleva prendere la parola. Poi l'ha fatto, solo per dire quanto soffra a stare lontano dalla sua comunità delle Piagge, isolato da tutto e da tutti. A sentirlo ci si è stretto il cuore.