Mathias Malzieu è una
rockstar francese, ma nel libro che ha scritto, oltre alla musica, scandita dal
tic toc di un orologio a cucù, c’è soprattutto tanto cinema. L’incipit a
Edimburgo, nel “giorno più freddo del mondo”, immerge fin da subito il lettore
nelle atmosfere dark di un film di Tim Burton. Così, non stupisce incontrare
personaggi fantastici, come la levatrice Madeleine, che aiuta a partorire le
prostitute e si diletta nel riparare il cuore di un bambino con uno strano pacemaker,
costituito da un orologio meccanico. Né, sospendendo l’incredulità, si ha nulla
da obiettare a che il bambino sopravviva. Anzi, ci si lascia abbracciare dalla
storia delicata di questa povera creatura che non può innamorarsi, perché i
suoi ingranaggi non reggerebbero le pene d’amore, e invece, inevitabilmente,
irreparabilmente, s’innamora. A far fremere gli ingranaggi meccanici del suo
cuore-orologio è Acacita, piccola cantante andalusa, col vizio di andare a
sbattere per non voler mettere gli occhiali. Via di questo passo, nell’intreccio
del romanzo si susseguono personaggi insieme reali e fantastici, divertenti e
inquietanti.
Malzieu mescola sapientemente i vari piani
di interpretazione della realtà e di scrittura narrativa/cinematografica: dalla
cifra documentaristica (quasi positivista, la vicenda non a caso si svolge alla
fine dell’Ottocento) della descrizione scientifica del cuore meccanico, si
arriva all’elaborazione soggettiva della realtà, ovvero all’invenzione.
Pertanto, appare sorprendente ma non straniante la comparsa di Jack lo
Squartatore, personaggio che nel corso della sua storia ha attraversato i
confini della letteratura per entrare più volte nel grande schermo. Soprattutto,
in quest’ottica, l’introduzione del personaggio di Georges Mèliés, uno dei
padri, insieme ai fratelli Lumière, del cinema, non è solo un coupe de theatre, che peraltro sarebbe
piaciuto al cineasta-prestigiatore, ma diventa centrale, giustissima, quasi
necessitata.
L’esplorazione scientifica e l’incontro
ravvicinato con gli extraterrestri del Viaggio
sulla Luna di Mèliés si trasformano nelle pagine di Malzieu nel progetto romantico
di un cuore innamorato. Il viaggio diviene così metafora dell’amore. Quelli che
nella finzione cinematografica dei primi anni del Novecento erano semplici
trucchi di magia, volti a meravigliare, assurgono alla dignità di simboli,
tessere di riconoscimento della realtà nella sua essenza, volti a far
riflettere.
Da Tim Burton a Georges Méliès, Mathias Malzieu
compie così un viaggio à
rebours che non è solo
l’omaggio di un cinefilo, o peggio ostentazione di erudizione, ma è un percorso
di riconoscimento, di conoscenza per accettazione dell’autorità dei propri
modelli di riferimento. È questa, come ha scritto Casetti ne L’occhio del Novecento, è una componente essenziale, ontologica, del cinema
inteso come testimone della realtà. E la realtà che Malzieu ha inteso
rappresentare è quella ultima e prima, l’alfa e l’omega della vita eterna:
l’amore infinito. Perciò, in poco meno di centocinquanta pagine, lo scrittore
di Montpellier ha dovuto sviscerare le varie sfaccettature dell’amore che è
ossimoricamente tutto: vertigine, fuoco, dolore, violenza, ma anche e
soprattutto tenerezza, gioia che trabocca; l’amore che può essere prigione,
meccanismo che stritola, egoismo; l’amore che è libertà sconfinata, volo senza
paracadute verso il mistero giallo della Luna.
Post scriptum. Casualità o causalità, il libro avrà una
riduzione cinematografica (manco a dirlo, in 3D) che presto arriverà nelle
sale, firmata da Luc Besson. Un approdo, per quanto detto, quasi naturale. Si
spera non scontato: Besson è un regista capace di realizzare buone cose (Nikita,
Leon, Il quinto elemento) e
altre meno buone. Di certo, rimarrà il dubbio sul film che ne avrebbe potuto
trarne Tim Burton…
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