




Vicky Cristina Barcelona: il nome delle due protagoniste e quello della città in cui si recano per trascorrere le vacanze. Perch
é questo titolo? Perché il film parla di Vicky, di Cristina e di Barcellona! Questa la risposta candida del regista. A settantatre anni non si cercano più spiegazioni complicate da dare alla vita, forse perché non si ha più niente da chiederle. Anche l’amore ha poco di romantico: è una passione del tutto irrazionale, che non si fa imbrigliare negli schemi della morale tradizionale, come una curva nello spazio di Gaudì o un gioco fantastico di Mirò. Senza però le implicazioni religiose dell’architetto né la ludica fantasia
del pittore. Piuttosto nel vortice sensuale dell’action painting, forma d’arte più vicina alla sensibilità pragmatica e all’estrazione culturale del regista newyorkese. Non è un caso se i personaggi interpretati da Bardem e da Penelope Cruz dipingono sgocciolando il colore sulla tela adagiata in terra. Woody Allen avrebbe avuto un aggancio straordinario se avesse preso in considerazione i quadri di Pollock dei primi anni Quaranta, chiaramente influenzati da Mirò (che conobbe Pollock solo nel ’47 ma era da questi ben conosciuto in virtù della person
ale dedicata al pittore catalano dal Museum of Modern Art nel 1941); ma il Pollock che interessa al regista è quello successivo, dei dripping, che meglio rappresenta la visione dolorosamente e non gioiosamente irrazionale della vita. In questo Woody Allen è estremamente coerente con se stesso. Nel 1977 fece iniziare il suo capolavoro, Io ed Annie, con una barzelletta: «C’è una vecchia storiella. Due vecchiette sono ricoverate nel solito pensionato per anziani e una di loro dice: “Ragazza mia, il mangiare qua dentro fa veramente pena!” E l’altra: “Si, è uno schifo! Ma poi che porzioni piccole!” Beh, essenzialmente è così che io guardo alla vita: piena di solitudine, di miseria, di so
fferenza, di infelicità e… disgraziatamente dura troppo poco!» Dunque, nella Barcellona di Vicky Cristina e Woody non c’è nulla dell’anima solare catalana, ma tutto della nebbia esistenziale newyorkese. La Barcellona rappresentata nel film è superficiale come una cartolina, e questo è infatti il tenore delle prime inquadrature. Sembra che a Woody Allen non interessi niente della città. L’ambientazione non è essenziale ma necessitata. Per questo il film non sembra del tutto riuscito. È piacevole, mirabile nel campo-controcampo della scena in cui Cristina incontra Juan Antonio alla galleria d’arte, ma sostanzialmente fuori contesto. Se proprio in Europa girare deve, allora meglio per Allen continuare con la location londinese, che più si avvicina al suo mondo metropolitano e anglosassone. In conclusione, Vicky Cristina Barcelona è un buon prodotto, ma non eccezionale come avrebbe potuto essere: come un biscotto cotto al microonde anziché nel forno tradizionale.




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