domenica 22 novembre 2015

Mr. Holmes - recensione (o qualcosa del genere)

Non so più scrivere le recensioni. Ho scordato come si fa. Non ricordo. I ferri del mestiere: movimenti di macchina, montaggio, fotografia... Non so dove li ho messi. Non li uso più da troppo tempo. A dirla tutta, non vado neanche più al cinema. Da quando è nato G., non posso più.

Oggi ho fatto un'eccezione. Mi piace Sherlock Holmes. Da sempre. Sono stato prima un lettore di sir Arthur, poi ho visto i film. Gli ultimi, quelli tutto muscoli, azione, arti marziali di Robert Downey jr. L'ultima è stata sciropparmi tutta la serie TV su Netflix dello Sherlock ambientato ai giorni nostri.

Ma non è per questo che sono andato a vedere Mr. Holmes. Giorni fa ho letto su Repubblica che non si trattava del solito film su Sherlock Holmes. Che c'era di più. È per vedere questo di più che sono tornato al cinema, dopo così tanto tempo.

Alla fine del primo tempo ero annoiato. Mi rimproveravo di essermi abbrutito. Troppe serie TV mi hanno drogato alla velocità. Non sono più in grado di apprezzare i film lenti. E mr. Holmes mi sembrava terribilmente lento.

Poi, esiste ancora questa cosa dell'interruzione tra primo e secondo tempo? Non si era superata vent'anni fa?

Invece, il secondo tempo ha preso un'altra piega. È stato un crescendo. È iniziato il "di piu". Il film è diventato filosofico. Non più Sherlock. Il diminuire dell'ingombrante personaggio e il prendere peso la riflessione sulla morte. Poi sulla vita.  Sul senso. Sull'amore. Infine, sulla letteratura.

E quando in un'opera d'ingegno c'è tutto questo, di solito è una poesia.

sabato 16 maggio 2015

Mia madre, di Nanni Moretti

Ovvero: l'altra stanza del figlio. Il distacco, il lutto. Declinato questa volta dal lato materno. Come una precisazione. Scusate: mi ero dimenticato che c'era anche questo e questo. Dal lutto immaginato a quello vissuto per davvero non c'è molta distanza. È una questione di sfumature, piccoli particolari. Come la vita intrecciata in una buona sceneggiatura e quella intrecciata nella realtà. No, cioè: non come la vita... come la morte. La morte reale, in fondo, non arriva sempre di sorpresa, anche per chi se l'aspettava? Non ci credo, certo doveva succedere prima o poi, e i medici non ci avevano lasciato speranze, eppure... mi sembra di sognare... è come se mi guardassi vivere... come fossi dentro un film. Non può essere vero. Riportatemi dentro la realtà!, grida Turturro. Insomma, è questo che Nanni Moretti voleva precisare. Il lutto del figlio immaginato era reale; il lutto materno, vissuto, cinematografico. Le parole, retorica. Ma sono dettagli, giusto per la precisione. È l'entomologia dei sentimenti legati alla perdita. Meglio: l'entomologia delle emozioni. Perché le emozioni sono tutto nella vita. (Peccato questa battuta appartenga ad un altro film, quello di Sorrentino). Finita la proiezione, qualcuno mi ha detto: bravissima la Buy, Moretti invece non sa recitare, fa sempre la stessa parte. È vero, ho risposto. Ma perché Nanni Moretti non recita. Non interpreta: è l'interpretazione autentica dell'autore. Non so se ha capito cosa volessi dire. D'altronde che vuol dire che l'attore non deve annullarsi nel personaggio, ma essergli accanto? È difficile spiegarlo a chi mi sta accanto. Spiegarlo a quel qualcuno, mia madre.