giovedì 31 luglio 2008

Uffa...

...a me il nero piaceva! E così meglio va? Rompi...

mercoledì 30 luglio 2008

new look

Come avrete capito, sono come le scale di Hogwarts...mi piace cambiare. Oltre al cambio di look, ho aggiunto nella colonna di destra un elenco di link. Per ora c'è un indirizzo solo: è il blog a tre voci di Travaglio-Gomez-Corrias. Mi permetto di suggerirvelo. Buona lettura!

martedì 22 luglio 2008

Tornando al gestaccio di Bossi...

...ecco un passaggio dell'articolo di fondo di Federico Geremicca pubblicato oggi su La Stampa:

E quanto ai leghisti, meglio lasciar stare. Infatti, nonostante gli avessero spiegato in tutti i modi che il contestato «schiava di Roma» non si riferiva alla Padania ma alla “Vittoria”, Federico Bricolo, capogruppo del Carroccio al Senato (e dunque si presume il migliore dei suoi) ha tuonato in aula che «noi della Lega non vogliamo essere schiavi di nessuno!». E quando a Bossi hanno riferito della mezza ramanzina di Fini, ha replicato che «nell’Inno c’è anche scritto che i bimbi d’Italia si chiaman balilla...»: magari volendo rinfacciare al presidente i suoi trascorsi e forse nemmeno sospettando che l’inno è stato scritto una settantina d’anni prima dell’avvento del fascismo e che il verso di Goffredo Mameli è dedicato a Giovan Battista Perasso, patriota genovese del ‘700, detto appunto Balilla.

L'articolo di Curzio Maltese

Nelle due settimane di vacanza ho avuto modo di leggere molto, soprattutto i quotidiani, cosa che non sempre mi riesce nella stagione lavorativa. Fra tutti gli articoli che ho letto, alcuni mi sono rimasti più impressi di altri e aspettavo l'occasione di tornare a Firenze per pubblicarli sul blog. Uno era quello sui cattocomunisti, e l'ho già pubblicato; l'altro è questo di Curzio Maltese, che mi sembra un piccolo capolavoro. Buona lettura!


Il polverone del cavaliere
Repubblica — 05 luglio 2008

La festa appena cominciata è già finita. Lo scandalo di letto e potere che ha tanto appassionato i media in questi giorni è stato chiuso ancora prima di esplodere davvero. Berlusconi ha deciso che da oggi non se ne parlerà più e magari andrà proprio così. Si parlerà dei successi del governo e dell'infallibile rimozione dei rifiuti a Napoli, entro il mese. Le montagne d'immondizia che soffocano le istituzioni, quelle dovranno aspettare. Nelle democrazie gli uomini di potere rispondono all'opinione pubblica e all'opposizione. In Italia è il contrario. In una democrazia si sarebbe discusso dello scandalo vero: e cioè l'incredibile commistione tra un alto dirigente della tv pubblica e il leader politico proprietario della rete concorrente. Invece il patto scellerato Rai-Mediaset è stato oscurato dal polverone suscitato dalle intercettazioni scabrose che tutti dicono di conoscere ma che nessuno di noi ha visto e che - come ha scritto D'Avanzo - sono state in parte distrutte e in parte messe sotto chiave a Napoli. Il monarca si è infastidito e ha usato tutti i suoi poteri, legislativo, economico e mediatico, per mettere a tacere le voci. Da padrone delle televisioni si è convocato per dare spiegazioni in una delle sue reti e poi si è sconvocato. Quindi ha deciso di chiudere l'incidente, nel corso di una conferenza stampa in cui non erano previste domande, con un monologo dove si è presentato ancora come martire della magistratura. Fine della ricreazione. Berlusconi ha detto che queste vicende non interessano agli italiani. E' doppiamente vero. Primo, perché quello che interessa o non interessa agli italiani, da molti anni, lo decide direttamente Berlusconi, da dominus assoluto dell'informazione. Secondo, perché davvero sembra importare poco. Quand'anche fosse deflagrato con la pubblicazione dei dialoghi veri, ormai mandati al macero, il caso delle ministre forse non avrebbe suscitato questo grande scandalo. Magari all'estero sì, ma non in Italia. La maggioranza dei cittadini non si è scandalizzata neppure quando Berlusconi, in campagna elettorale, ha definito «eroe» il boss mafioso Mangano. La maggioranza dei cittadini non si scandalizza quando, ogni giorno, vengono picconati pezzi di Costituzione e si attenta all'indipendenza della magistratura. La maggioranza non si scandalizza per l'avanzata di un regime feudale che trasforma i cittadini, poco a poco, in sudditi. A Berlusconi l'elettorato ha dato stavolta una delega in bianco. Qualunque cosa abbia fatto, faccia o dica, l'importante è che il premier mantenga la sua fama di mago e risolva con un colpo di bacchetta la crisi, tramutando il declino in nuovo boom economico. Una fede immotivata, visti i precedenti, ma nonostante questo incrollabile. Meglio, tanto più incrollabile quanto più irrazionale. Tuttavia, poiché nessuna comunità riesce a sopravvivere senza un'istanza etica, non sarebbe giusto concludere che siamo diventato un paese totalmente amorale. Questa sarebbe almeno una soluzione chiara. Siamo al contrario una nazione che pullula di piccoli moralisti, ansiosi di ripristinare una legalità piccola ma feroce, nei confronti della piccola criminalità. L'antipolitica s'incarica poi di convogliare l'indignazione verso bersagli odaitissimi quanto irrilevanti. L'aumento di stipendio di un consigliere comunale oggi provoca inauditi furori, mentre «non interessa» che Berlusconi in quindici anni di politica si sia arricchito più di quanto potranno fare migliaia di amministratori locali in molte vite. Il mancato arresto di una borseggiatrice rom risulta assai più intollerabile della sicura impunità di grandi bancarottiere, colpevoli di aver rovinato migliaia di famiglie. La consulenza di poche centinaia di euro affidata da un assessore a una lontana parente, magari capacissima, suscita un'ondata di biasimo sociale, ben superiore all'eventuale nomina a ministro di un ex velina. La circostanza che le ministre chiacchierate siano le stesse cui il premier affida i solenni compiti di promuovere nel Paese una battaglia per la meritocrazia e la pari dignità fra i sessi, aggiunge soltanto un tocco di grottesco alla generale perdita di senso. In tanti anni di egemonia, il berlusconismo è riuscito nel capolavoro. La vita pubblica italiana è ormai la replica perfetta della poltiglia televisiva. Un blob grondante di volgarità e stupidità dove si capisce benissimo chi comanda e chi serve, come si ottiene il successo, quali sono il ruolo delle donne e i compiti del pubblico: applaudire e ridere a comando. Chi non sta al gioco, è cancellato dallo schermo. Negli intervalli, passano gli spot. Perfino il presidente del consiglio interrompe le conferenze stampa ufficiali per far passare spot dei suoi manifesti di partito. Alle minoranze dei non assuefatti, dei non rassegnati, fa male pensare al patrimonio di civiltà, cultura, intelligenza, opportunità che questo paese ha bruciato negli ultimi quindici anni per inseguire i problemi, le fantasie, i deliri, i progetti di un piccolo uomo. Ma al momento non s'intravvedono alternative all'orizzonte e i sondaggi che il Cavaliere sbandiera sono reali. E' reale la perdita di memoria collettiva di una Macondo dove un giorno bisognerà trovare nuovi nomi per le cose. S'è perso il ricordo stesso della grandezza. Dopo aver riscritto la Costituzione materiale e la storia repubblicana, forse nei prossimi anni si riscriverà anche la letteratura. Nella prossima versione per le scuole dei I Promessi Sposi, Lucia la dà senza tante storie a Don Rodrigo, che se ne vanta al cellulare con l'Innominato e gli chiede di trovare un posto a lei e a Renzo. Don Abbondio siede da tempo alle massime cariche dello stato, Azzeccagarbugli è ministro di giustizia. E' difficile però cambiare il finale, perché in questi casi, alla fine, arriva sempre la catastrofe, arriva la peste. Per quanto Don Ferrante, ministro dell'economia, sia molto ottimista.




CURZIO MALTESE




lunedì 21 luglio 2008

Ognuno ha la classe dirigente che si merita

Mi rendo conto, è un titolo provocatorio. Dopo il dito medio del disonorevole Bossi all'inno nazionale (ma non è reato?) mi sono chiesto per l'ennesima volta in che mani siamo. E non mi riferisco solo al Governo o all'attuale maggioranza parlamentare, ma alla classe dirigente in genere. Poi però mi sono ricordato di uno spezzone del film "La scuola" in cui il professore di francese si rammarica che nessuno dei suoi alunni abbia mai fatto carriera, perché ne avrebbe voluto ottenere, evidentemente, dei vantaggi personali. Allora ho pensato: ecco, noi italiani siamo fatti così. Quello che chiediamo alla classe dirigente è che ci dia un "appoggino": un lavoro, un avanzamento di carriera, un privilegio di corporazione... Da dove deriva tutto questo? Non lo so. Forse dal Sessantotto, come diceva tempo fa De Gregori. Forse è scritto nel nostro dna. Di sicuro con questa classe dirigente noi, intendo noi italiani, non vinceremo mai. E comincio a pensare che abbiamo la classe dirigente che ci meritiamo.

domenica 20 luglio 2008

Mamma li CATTOCOMUNISTI!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

C'è un articolo che è stato pubblicato su La Stampa una settimana fa e che mi ha colpito molto. Ho deciso di pubblicarlo sul blog perché anche voi lo leggiate se l'avete perso e magari esprimiate il vostro parere.

Milano, la rivincita dei cattocomunisti Curia, Paolini, ''Famiglia Cristiana'': gli orfani di Prodi all'attacco
di GIACOMO GALEAZZI

CITTA'DEL VATICANO La roccaforte e' l'arcidiocesi retta dal cardinale Dionigi TETTAMANZI, la piu' grande d'Europa, e il megafono e' «Famiglia cristiana», l'ammiraglia dell'editoria cattolica (tre milioni di lettori) che da settimane prende di petto governo e Pdl. Dopo la sconfitta elettorale, parte da Milano la «reconquista» dei cattolici di sinistra. «E' un'operazione camaleontica, studiata a tavolino - attacca il ciellino Luigi Amicone, direttore del settimanale ''Tempi'' -. Piu' i catto-progressisti perdono terreno nelle parrocchie, piu' sentono il bisogno di riorganizzarsi attorno all'arcivescovo e al giornale che tengono in vita un marchio decaduto. Nuovi sentieri, stessi marciatori, dunque. Sono i soliti pacifisti, dossettiani e terzomondisti usciti a pezzi dalle urne. I gattopardi come Bindi, Castagnetti e Franceschini si affidano ai Paolini, editori del Papa, e alla Chiesa ambrosiana per imbastire una manovra di vertice, priva di effetti concreti su quella base ecclesiale che si muove autonomamente - osserva Amicone -. Il cattolicesimo di sinistra alza la voce perche' si sente mancare la terra sotto ai piedi: la gran parte della galassia bianca segue altre strade e vota altrove». L'ala sinistra di quello che fu lo sterminato bacino della Dc «soffre il distacco dalla realta' per un ansia di visibilita' ed e' senza popolo ne' idee», quindi, secondo Amicone, «reagisce in modo artificioso, astioso e verticistico allo spostamento dell'elettorato cattolico verso il centrodestra». Nei giorni scorsi le bordate dalla Curia milanese e di «Famiglia cristiana» nelle infuocate polemiche sulle impronte ai bimbi rom e la moschea di viale Jennner hanno provocato persino la convocazione al Viminale dell'ambasciatore italiano in Vaticano. La Curia di Milano ha definito fascista il «giro di vite» sulla sicurezza e il ministro dell'Interno, Roberto Maroni ha deciso che d'ora in avanti non accettera' piu' alcuna offesa o insulto e rispondera' per via istituzionale all'attacco di una parte minoritaria della chiesa cattolica, assicura la Padania. L'ultimo strappo e' l'affondo del responsabile del dialogo interreligioso della Curia di Milano, monsignor Gianfranco Bottoni, che domenica ha bollato come un «provvedimento fascista e populista che limita la liberta' religiosa» la chiusura della moschea di viale Jenner ipotizzata da Maroni. E gia' TETTAMANZI aveva sentito il bisogno di prendere le distanze dalla decisione del governo di impiegare temporaneamente l'esercito per garantire la sicurezza dei cittadini. Un'opposizione frontale all'esecutivo che non e' certo passata inosservata nei Sacri Palazzi vaticani, dove piu' di qualcuno s'interroga sulla piega presa da quest'ultimo scorcio dell'episcopato di TETTAMANZI e dall'influenza di alcuni suoi collaboratori. «Sono un ''teocon'' e difendo il diritto dei vescovi di giudicare persone e leggi, ma non quello di insultare le autorita' dello Stato - insorge il senatore a vita Francesco Cossiga-. E' una vergogna che TETTAMANZI insulti un ministro della Repubblica. Ho consigliato al premier di presentare una nota di protesta alla Segreteria di Stato chiedendone la rimozione e, in caso di rifiuto, di sospendere alla diocesi di Milano la quota statale dell'otto per mille». Nell'area sinistra del cattolicesimo italiano, spiega il politologo don Gianni Baget Bozzo, e' in corso una rivoluzione. «Il bastone del comando e' passato dalla prodiana scuola di Bologna al movimentismo antipolitico dell'arcidiocesi di Milano e della casa editrice San Paolo - sottolinea Baget Bozzo-. Il pensatoio che ha ispirato la svolta e' la comunita' di Bose e l'ecumenismo estremo del priore Enzo Bianchi e' il collante ideologico dei nuovi cattocomunisti. Grazie a Dio, pero', alla Chiesa ambrosiana filoislamica e modernista si oppone la Genova moderata e degasperiana di Bertone e di Bagnasco che per dialogare preferisce Scajola ai noglobal anti-Occidente e agli imam fomentatori dell'odio verso i cristiani». A smussare i toni dello scontro e' il cardinale di Curia Achille Silvestrini, «Famiglia cristiana da' voce agli umori delle parrocchie e alle istanze sottoposte dai suoi lettori - afferma l'ex ministro degli Esteri vaticano e fautore della «Ostpolitik» della Santa Sede -. A Milano il terreno di confronto tra Chiesa e istituzioni riguarda soprattutto problemi locali ed e' fuorviante estenderne la portata». Eppure sente puzza di bruciato anche l'ex Guardasigilli, Alfredo Biondi, allievo del cardinale conservatore Giuseppe Siri. «TETTAMANZI e' una ''porpora rossa'', nel senso ideologico del termine. Si muove sulla scia del suo predecessore Carlo Maria Martini attaccando un giorno il governo di centrodestra e l'altro, sia pur piu' velatamente, Benedetto XVI - sostiene Biondi-. Ma chi crede di essere compiendo tutte queste invasioni di campo? Si limiti a fare il pastore d'anime senza ribellarsi all'autorita' dello Stato e al Papa. Purtroppo Martini ha fatto scuola e a Milano i preti cattobuonisti senza clargyman predicano come animatori di un villaggio Valtur. Intanto il modernismo uccide la Chiesa, che per sua natura deve essere dogmatica come ripeteva Siri, mio insegnante di religione alla scuola Doria di Genova. Nella gerarchia ecclesiastica, avremmo bisogno di piu' cardinali come lui, Bertone e Bagnasco, cioe' coerenti con il Magistero e fedeli ai principi invece che alle mode». Bersaglio costante dei fulmini di «Famiglia Cristiana», la componente cattolica dell'esecutivo (Rotondi e Giovanardi in primis) attribuiscono da settimane l'interventismo dei Paolini alla volonta' di riorganizzare i cattolici di sinistra attorno alle bandiere guelfe dell'episcopato progressista. «Rimpiangono i tempi in cui al governo avevano i loro amici Prodi e Bindi e sognano un'improbabile rivincita», chiosa il cattolico Giovanardi.

La Stampa, 12/7/2008

L'unica cosa che posso dire è che sono pacifista, terzomondista e dossettiano; ma, se è per quello, anche lapiriano, lazzatiano, bonhoefferiano, edithsteiniano, turoldiano, donmilaniano, enzobianchiano, cardinalmartiniano...che dite, rischio la scomunica?

venerdì 18 luglio 2008

Altra barzelletta...

...lo so, non si dicono le parolacce...però questa fa ridere troppo:

Un uomo, perennemente assatanato, fa un viaggio ad Amsterdam, sapendo che questa è la capitale del sesso e della lussuria. La prima sera che si trova nella città olandese si dirige immediatamente nel quartiere a luci rosse. Gira per un paio d`ore e non sa dove dirigere, tanta è la scelta. Ad un tratto si decide ed entra in un bordello chiamato `Paradiso del sesso`; non c`è nessuno all`entrata: c`è soltanto una fessura vicino ad una porta con una scritta in diverse lingue: `PREGO INSERIRE UNA CARTA DI CREDITO PER IL PAGAMENTO DELLA PRESTAZIONE` Senza nemmeno pensarci due volte, inserisce la sua carta di credito: si accende una luce verde e la porta si apre. Una volta entrato si trova di fronte a tre porte: `BIONDA`, `BRUNA`, `ROSSA`. Ci pensa un po` e poi apre la porta con su scritto BIONDA. Si trova così di fronte ad altre tre porte: `ALTA`, `MEDIA`, `BASSA`. Essendo lui di statura normale, sceglie la MEDIA. Aperta quest`altra porta se ne trova davanti altre tre: `MAGGIORATA`, `BEN CARROZZATA`, `ANORESSICA`. Senza pensarci un istante si tuffa sulla porta della maggiorata. Dentro, inutile dirlo, trova ancora tre porte: `POMPINO`, `SCOPATA`, `INCULATA`. Curioso di provare una nuova esperienza, si dirige verso la terza porta. Poi di nuovo tre porte: `PICCOLA INCULATA`, `MEDIA INCULATA`, `GRANDE INCULATA`. Pensa tra se e se: `Visto che sono qui faccio le cose in grande...`Apre la porta con su scritto `GRANDE INCULATA`... e si ritrova in mezzo alla strada...

giovedì 17 luglio 2008

Le foto delle mie vacanze a San Teodoro

Barzelletta

Nella home page di google mettono ogni giorno una barzelletta. Oggi questa mi ha fatto ridere:

Una donna spesso riceve il suo amante in casa durante la giornata quando il marito è a lavorare, senza sapere che il figlioletto di 9 anni si nasconde nell'armadio. Un giorno il marito rientra improvvisamente e la donna nasconde l`amante nell´armadio con il bimbetto. Il piccolo dice: "Com´è buio qua dentro!" E l´uomo, preso alla sprovvista: "Eh, sì..." Bimbetto: "Io ho una mazza da baseball!" L´uomo: "Bene, che bello..." Bimbetto: "Vorresti comprarla?" L´uomo: "No, grazie." Bimbetto: "Lì fuori c´è il mio papà..." L`uomo: "Ok, quanto vuoi per la tua mazza da baseball?" Bimbetto: "750 euro" Qualche giorno dopo il bimbetto si ritrova nuovamente nell´armadio con l´amante della madre. Di nuovo, dice: "Com´è buio qua dentro!" E l´uomo: "Eh, sì..." Bimbetto: "Io ho un guanto da baseball!" L´uomo, memore della volta prima, chiede subito: "Quanto vuoi per il guanto?" Bimbetto: "250 euro" L´uomo: "Va bene...!" Giorni dopo il padre dice al bimbetto: "Prendi il tuo guanto e la tua mazza che andiamo al parco a fare qualche lancio!" E il bimbetto: "Non li ho più, li ho venduti!" Il padre: "Come li hai venduti? E quanto ti sei fatto dare?!" Il Bimbetto, tutto fiero: "Mille euro!" Il padre: "Ah, quello che hai fatto non è bello! Non si vendono le proprie cose per un prezzo così alto agli amici. È molto più di quello che li ho pagati io quando te li ho regalati! Ora andremo insieme in chiesa e ti confesserai". Vanno in chiesa e il padre accompagna il bimbetto al confessionale, lo fa entrare e gli chiude la porticina. Subito il piccolo dice: "Com´è buio qua dentro!" E il prete: "Non ricominciamo, eh!..."

martedì 15 luglio 2008


È un film che ha fatto molto discutere, né poteva essere altrimenti, visto che ha per protagonista una persona ancora vivente e molto conosciuta; e questa persona è per di più un politico, anzi il politico, che ha attraversato tutte le fasi della storia della repubblica italiana, dalla sua nascita ad oggi: Giulio Andreotti. Paolo Sorrentino, il regista de Il Divo, ha giustificato la sua scelta facendo leva proprio su questa longevità politica che consente, parlando di Andreotti, di parlare di tutta la storia d’Italia, dal secondo dopoguerra ai giorni nostri. In più, ad affascinare Sorrentino è stata la personalità sfuggente, ambigua, del sette volte Presidente del Consiglio; una personalità che non si fa catalogare facilmente dietro etichette più o meno preconcette, e che è destinata a suscitare forte simpatia o forte antipatia, ma mai indifferenza, neanche nei più acerrimi detrattori, che manifestando il proprio astio dimostrano di subirne il fascino. Il fascino del potere…che, nel più celebre degli aforismi andreottiani, “logora chi non ce l’ha”.
E proprio qui sta il punto, che in pochi sembrano avere colto. Seguendo acriticamente il giudizio a caldo del diretto interessato, si è dato per acquisito che il film fosse “una mascalzonata”, salvo poi dividersi tra chi l’ha biasimata e chi invece se n’è rallegrato. Tutti, insomma, ne hanno dato una lettura politica, per di più applicando lo schema della dicotomia o frattura insanabile tra destra e sinistra. Che cosa è la destra e che cosa la sinistra? - si chiedeva ironicamente Giorgio Gaber in una delle sue tante belle canzoni. In pochi lo sanno (forse solo quelli che hanno letto Bobbio), ma tutti sono pronti a schierarsi, fin dai tempi dei guelfi e ghibellini, o magari anche da prima (patrizi e plebei, Sparta e Atene?...).
Ma il film di Sorrentino ha un’altra ambizione e lo rivela sin dal titolo, molto significativo: Il Divo. Se si scorre la filmografia del regista napoletano, si può notare come il suo interesse ricorrente, che permane anche nel racconto di storie molto diverse tra loro, è quello di descrivere la mediocrità e la meschinità dell’uomo. In tutti i film precedenti il personaggio principale, o uno dei personaggi principali, ha sempre uno di questi tratti come aspetto dominante del proprio carattere, qualunque sia la propria estrazione sociale. Può essere un borghese colto, sensibile e introverso come Titta Di Girolamo de Le conseguenze dell’amore (Toni Servillo, 2004), riciclatore di denaro sporco per conto della mafia; oppure può essere uno spregevole usuraio semi-analfabeta, come Geremia de’ Geremei ne L’amico di famiglia (Giacomo Rizzo, 2006). Se poi la mediocrità o la meschinità si accostano a personaggi che hanno una es-posizione sociale, esse cambiano di segno per assumere i contorni della debolezza umana, della piccolezza dell’uomo, anche di quello che tutti considerano “un grande”. L’effetto che ne consegue è quello della “smitizzazione” del personaggio, che dietro la maschera scintillante del successo mostra quella tragica del fallimento. Così è ad esempio per Tony (Toni Servillo) e Antonio Pisapia (Andrea Renzi), i protagonisti del primo film di Sorrentino, L’uomo in più. Rispettivamente un cantante cocainomane e un ex calciatore, vagamente ispirati a Franco Califano e Agostino Di Bartolomei.
E così è anche, e in misura ancora maggiore, per Il Divo. Sorrentino non è interessato a dare un giudizio politico sulla Democrazia cristiana o ad avvalorare i sospetti di collusione mafiosa di Andreotti. Sorrentino vuole demistificare. Smitizzare il “Divo”. Umanizzarlo, se si vuole. Riportare il “dio” Giulio in terra. Non è la denuncia sociale, l’accostamento di Andreotti ai principali misteri della storia d’Italia, il filo conduttore del film. Questo accostamento, pur presente perfino nel famoso bacio con Totò Riina, è iscritto in una chiave talmente grottesca, così volutamente palesata, da far perdere all’intreccio la sua carica di polemica politica. Ciò vale ancor di più per il personaggio secondario, ma fondamentale come “richiamo” dello stesso concetto, di Cirino Pomicino. Interpretato dall’esilarante Carlo Buccirosso, Pomicino è descritto né più né meno come una “macchietta”.
Dunque, chi ha voluto racchiudere Il Divo in una cornice interpretativa di stampo politico, non ha colto il cuore del film, che invece si inserisce perfettamente nelle precedenti opere di Sorrentino, costituendone un ulteriore capitolo. Inoltre, una chiave interpretativa sbagliata rischia di mettere in secondo piano gli aspetti formali della pellicola, che confermano il talento di Sorrentino, capace di trovare soluzioni di regia nuove, di creare immagini che si stampano in maniera indelebile nella memoria dello spettatore: come l’incipit formidabile del “Divo” afflitto da una terribile emicrania e trafitto dai minuscoli aghi dell’agopuntura, o la memorabile scena dei coniugi Andreotti seduti sul divano a guardare in tv Renato Zero che canta I migliori anni della nostra vita. In entrambi i casi, significativamente, il protagonista è un uomo qualunque. L’Andreotti di Sorrentino è in fin dei conti un uomo mediocre, non all’altezza della sua fama, sopravvalutato perfino nell’intelligenza delle sue battute (che infatti non irretiscono chi lo conosce bene, la moglie). Di questo avrebbe dovuto dolersi il vero Giulio Andreotti: del reato di “lesa maestà”.


domenica 13 luglio 2008