sabato 16 maggio 2015

Mia madre, di Nanni Moretti

Ovvero: l'altra stanza del figlio. Il distacco, il lutto. Declinato questa volta dal lato materno. Come una precisazione. Scusate: mi ero dimenticato che c'era anche questo e questo. Dal lutto immaginato a quello vissuto per davvero non c'è molta distanza. È una questione di sfumature, piccoli particolari. Come la vita intrecciata in una buona sceneggiatura e quella intrecciata nella realtà. No, cioè: non come la vita... come la morte. La morte reale, in fondo, non arriva sempre di sorpresa, anche per chi se l'aspettava? Non ci credo, certo doveva succedere prima o poi, e i medici non ci avevano lasciato speranze, eppure... mi sembra di sognare... è come se mi guardassi vivere... come fossi dentro un film. Non può essere vero. Riportatemi dentro la realtà!, grida Turturro. Insomma, è questo che Nanni Moretti voleva precisare. Il lutto del figlio immaginato era reale; il lutto materno, vissuto, cinematografico. Le parole, retorica. Ma sono dettagli, giusto per la precisione. È l'entomologia dei sentimenti legati alla perdita. Meglio: l'entomologia delle emozioni. Perché le emozioni sono tutto nella vita. (Peccato questa battuta appartenga ad un altro film, quello di Sorrentino). Finita la proiezione, qualcuno mi ha detto: bravissima la Buy, Moretti invece non sa recitare, fa sempre la stessa parte. È vero, ho risposto. Ma perché Nanni Moretti non recita. Non interpreta: è l'interpretazione autentica dell'autore. Non so se ha capito cosa volessi dire. D'altronde che vuol dire che l'attore non deve annullarsi nel personaggio, ma essergli accanto? È difficile spiegarlo a chi mi sta accanto. Spiegarlo a quel qualcuno, mia madre.