venerdì 25 dicembre 2009

Natale in stazione

Riassumendo: più di due ore in piedi fino all'una di notte, che non se ne poteva più, la mia gente, l'attesa, della nascita o dell'evento?, il treno che parte e non bisogna sostare sulla linea gialla, la vita che nasce senza copula, cioè il soffio di vita dello Spirito, che è anche quindi nella comunità di persone che amano senza appunto copulare, lì dove si posa la stella cometa, lì da dove perciò è difficile andare via, soprattutto se contro la propria volontà, il microfono che si sente solo a tratti, La strada di Gaber all'ingresso e Il pescatore di De Andrè all'offertorio, le preghiere dei fedeli scritte nei post-it, la stretta di mano dal Padre nostro alla pace, il barbone alla chitarra e le zingare in platea, il nero musulmano carcerato che dà la comunione, Maria e Giuseppe coppia irregolare, perché lei era sposa (=fidanzata), non moglie, la fede vissuta religiosamente uccide la fede, il giornalista che stenografa, il fotografo che fotografa, la tv, il Natale scomodo di don Tonino Bello, incarnarsi che vuol dire non vergognarsi di quello che si è, stare in mezzo agli altri, e non giudicare senza prima conoscere, la preghiera a Gesù che andava contro la gerarchia, religiosa e politica e ne ha ricavato la croce...

...partendo dall'inizio: il segno della croce significa iniziare nel nome dell'altro da sé. Chi? Il senza tetto, dice uno. La giustizia, dice l'altro. E chi è senza lavoro, e chi spende la sua vita per gli altri, eccetera eccetera.

Teologia più impegno sociale. O, magari, teologia=impegno sociale. L'onestà intellettuale di chi crede in quello che fa. Personalismo? Sì, forse. Attaccamento fideistico al leader? Chissà. E però un pastore a cui hanno tolto le sue pecore. Un padre a cui hanno tolto i figli. Il diritto di esistere. Di esserci. Di vivere. Di amare.

Tutto ciò è stata la messa di Natale di don Santoro, celebrata alla stazione di Santa Maria Novella.

sabato 19 dicembre 2009

senza parole

In questo Paese di emme, bastano due fiocchi di neve perchè i trasporti vadano in tilt.

Di chi è la colpa?

Dei vari amministratori di Trenitalietta che se ne sono andati via col bottino lasciando le casse della società vuote?

Del ministero dei trasporti, che è tutto preso dal ponte di Messina?

No, LA COLPA è NOSTRA!

In Francia, per molto meno, avrebbero fatto le barricate.

White Christmas



venerdì 18 dicembre 2009

Tanti auguri

Mentre Santoro fa gli auguri a Spatuzza, il Presidente della Camera manda un flacone di valium a un direttore di giornale che gli risponde di andarci piano col lambrusco, il direttore di Libero chiama un collega direttore "Concitina nostra, la direttora dell'Unità", e tutti chiedono di abbassare i toni, per potersi mettere d'accordo sulla durata dei processi o sulla forma di Stato, presidenziale o meno, l'Istat ci dice che rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso ci sono 508 mila persone in più che hanno perso il lavoro.

508 mila famiglie che avranno poco da mettere sotto l'albero.

A loro, a quelli che stanno sopra il tetto della Yamaha che chiude, ai lavoratori di Termini Imerese che non sanno se i loro nuovi padroni saranno cinesi o indiani, all'imprenditore veneto che si è suicidato nei giorni scorsi perché non sapeva come dire ai suoi dipendenti che li doveva mandare in cassa integrazione, l'undicesimo suicidio dall'inizio dell'anno in quella zona per gli stessi motivi, se ho fatto bene i conti, mentre Totti, povero!, si è ridotto lo stipendio, per cui guadagnerà solo 740.000 euro al mese...

...a tutti loro, che accendono la tv e sentono il dibattito politico-culturale a livello di "Uomini e donne"...

auguro Buon Natale

lunedì 14 dicembre 2009

La guerra mediatica

La partita ora si gioca in tv e sui giornali.

Non si può prendersela più di tanto con uno psicolabile. Perciò bisogna focalizzare l'attenzione della gente sui mandanti morali: Di Pietro, La Repubblica e, ovviamente, Santoro. Ha iniziato oggi pomeriggio la trasmissione Il fatto del giorno, della cheerleader Monica Setta: i veri colpevoli sono quelli che hanno demonizzato Berlusconi. Per quel poco che ho visto, Porta a porta ha ribattuto, con più stile, sullo stesso tasto. Non ho visto il Tg4, né il Tg1, ma chissà perché, ho il sospetto che abbiano seguito la stessa linea.

Il lancio della statuetta, che non possiamo che giudicare esecrabile, senza dubbio o esitazione alcuna, ha già prodotto l'effetto di ribaltare l'inerzia della partita mediatica.

Con le dichiarazioni di Spatuzza, si stava mettendo male per Berlusconi, che infatti era molto preoccupato. Aveva provato a disinnescare la "bomba", anticipando la notizia (la miglior difesa è l'attacco). Ci sarebbe anche riuscito se non ci fosse stato Fini e il solito Santoro. Questo incidente di Milano però ha spostato l'emozione della gente di nuovo a suo favore.

Ecco perché ora i pidiellini hanno gioco facile a far passare le critiche politiche per demonizzazione. Quel viso insanguinato, il giusto sdegno che ci ha colpito tutti, è un argomento fortissimo. E il Pd è troppo debole per ribaltarlo. Basterebbe ammettere che Repubblica fa una campagna contro il Premier da mesi, e così Santoro. Ma la loro faziosità si bilancia con quella dei Tg di Fede e Minzolini. E la Setta e Bruno Vespa pareggiano Fazio e la Dandini. Il Fatto Quotidiano di Travaglio e L'Unità hanno l'uguale e contrario con Libero e Il Giornale. E Lerner...non lo guarda nessuno.

Il lancio della statuetta ha sbilanciato a tal punto la forza della comunizione a destra, che i leghisti possono tranquillamente accusare Di Pietro di usare toni violenti e demonizzanti, con il Pd che non riesce a ribattere nulla, imbambolato com'è, lasciando a Casini il compito fin troppo facile di ricordare qualche battutina dei vari Borghezio e Gentilini...

Auguri Presidente

Ricordo una lezione di diritto penale sulla pena di morte. Il professore sostenne che quando si perde il senso della sacralità della vita ogni barbarie è possibile. Detto da un laico mi fece effetto, e lo ricordo ancora.
In nome di questa sacralità, qualsiasi forma di violenza, da qualunque parte venga, fosse anche dallo Stato, ci si chiami Berlusconi o Cucchi, rappresenta un cancro mortale per la convivenza civile.

Un'altra "sacralità" che imparai a Giurisprudenza è quella delle istituzioni. Di tutte le istituzioni. Non ci sono istituzioni di serie A e di serie B. La prima carica dello Stato italiano è il Presidente della Repubblica, anche se non è scelto direttamente dal popolo. Non è la legittimazione popolare che dà la "sacralità" all'istituzione. Questa "sacralità" è data dalla volontà di un popolo di vivere in pace, nel rispetto reciproco, e non solo, nella fratellanza. La separazione dei poteri che Montesquieu ci ha regalato, è l'argine alla dittatura, alla negazione delle nostre libertà, per le quali altri prima di noi hanno lottato, sacrificando perfino la vita.

La delegittimazione delle figure istituzionali, chiunque le incarni, è un pericolosissimo crimine contro le libertà democratiche di tutti noi. Questo vale per il Presidente del Consiglio come per la Corte Costituzionale o il Presidente della Repubblica.
Altra cosa è il diritto di critica che è la sentinella della democrazia.


giovedì 10 dicembre 2009

Dove arriveremo?


Provo a riflettere, anche se non è facile. Se Berlusconi è arrivato a tanto, vuol dire che ha paura. Sono pochi gli italiani che hanno creduto a Spatuzza, ma è proprio l'atteggiamento dell'accusato che desta i maggiori sospetti. Ha anticipato le dichiarazioni, dicendo che ci dovevamo preparare a nuove infamanti accuse su di lui, in modo da ammortizzare la "bomba" (parole di Fini), facendola brillare prima. Ora, questo nuovo attacco alle istituzioni di garanzia, Presidente della Repubblica e Corte Costituzionale, francamente indecente e che ci fa fare una figura meschina all'estero, rivelano una insofferenza che nasce secondo me dalla paura. Altrimenti perché questo continuo appellarsi al consenso del popolo? Ora non ci resta che sperare che la nostra democrazia abbia gli anticorpi necessari per reagire, prima di trovarsi trasformata in un regime sudamericano. Dovrebbero essere gli stessi moderati e liberali del centrodestra a smarcarsi da queste parole irresponsabili, che rischiano di fare un danno enorme al nostro Paese. Possibile che nessuno in quella sponda abbia altrettante "palle" per proporre la sfiducia? Possibile che a destra non riescano a riscoprire i loro valori e mettere da parte Berlusconi?
Dove arriveremo?

mercoledì 9 dicembre 2009

A Christmas Carol - recensione


Chissà se Charles Dickens nel 1843, quando pubblicò il primo dei suoi Racconti di Natale, A Christmas Carol, immaginò che il suo canto avrebbe partecipato dell’essenza del Natale, che non è il ricordo di una nascita, ma il miracolo continuamente rinnovato nelle vite degli uomini di una rinascita.

Chissà se, tratteggiando con l’inchiostro un vecchio avaro e battezzandolo Scrooge, s’immaginò che quel nome, di un personaggio “solitario come un’ostrica”, sarebbe entrato nei vocabolari d’inglese, in compagnia di milioni di altre parole, come sinonimo di taccagno, al pari di Arpagone.

Certamente Dickens, quando descrisse un naso aguzzo, mai si sarebbe immaginato che un secolo dopo, nel 1947, quel naso si sarebbe trasformato in un vero e proprio becco nei disegni di un certo Carl Barks, e che il suo Ebenezer Scrooge, avrebbe indossato le ghette e sarebbe diventato un papero: Uncle Scrooge McDuck. Zio Paperone.

Se poi qualcuno, venuto dal futuro, magari lo spirito del Natale Avvenire, gli avesse detto che un giorno il suo personaggio non solo si sarebbe potuto leggere o vedere disegnato, ma sarebbe andato oltre la forma bidimensionale, rappresentato attraverso immagini in movimento tridimensionali, Charles Dickens sarebbe probabilmente trasecolato. O forse no, chissà.

Di sicuro, quello che lo scrittore inglese paventava, più di vent’anni prima del Capitale, era il risvolto egoistico e spietato del capitalismo nascente: l’egoistica ricerca del massimo profitto, a scapito di tutto, compreso lo sfruttamento del lavoro minorile, che lui stesso aveva sperimentato sulla propria pelle in una fabbrica di lucido da scarpe. Questo pericolo Dickens se lo immaginava eccome, e se qualcuno gli avesse detto che un secolo e mezzo dopo quel 1843, il venti percento della popolazione mondiale avrebbe sfruttato l’ottanta percento delle risorse del pianeta, o che ogni cinque secondi un bambino sarebbe morto di fame, forse non si sarebbe meravigliato. Forse avrebbe detto: “è esattamente quello da cui volevo mettere in guardia quando ho scritto l’episodio di Scrooge che fa visita alla sua tomba”.

Ma A Christmas Carol è una favola di Natale. Per questo inizia con una morte e finisce non con una nuova vita ma con una vita nuova. Quella di Scrooge, che si era progressivamente chiuso in se stesso, escludendo tutti gli affetti, a partire dalla fidanzata, che pure un tempo amava; che, dominato dalla passione del guadagno, si era reso incapace di amare, e condannato alla solitudine; finché, presa coscienza della sua condizione e delle responsabilità di fronte alla vita, s’impegna a diventare un altro uomo, proteso al bene verso il prossimo.

E che cos’è questa se non l’essenza del Natale? Il Verbo che si incarna sceglie la relazione con gli uomini, nella dimensione dell’amore, del dono di sé agli altri.

Chissà cosa ci accadrebbe se capitasse anche a noi l’opportunità di vedere dall’alto il nostro passato, presente e futuro. Forse anche noi sentiremmo l’esigenza di cambiare qualcosa nella nostra vita, di rinascere. Leggere A Christmas Carol o andarlo a vedere al cinema, dà questa opportunità, perché fa riflettere. Ma il bello è che il Natale arriva anche per chi non legge o non sta davanti al grande schermo.


martedì 8 dicembre 2009

la corona longobarda

Ho appena letto un editoriale di Gad Lerner su La Repubblica. Interessante. Lo condivido con voi.

http://www.repubblica.it/2009/12/sezioni/politica/giustizia-20/lerner-commento/lerner-commento.html

mercoledì 25 novembre 2009

Urgente!!!



Cari bloggisti, se volete farmi vincere una macchina fotografica andate su http://corrierefiorentino.corriere.it/concorso/gallery.shtml?pagina=1
e votate le mie foto! S'intitolano: finestre sull'acqua e finestre sull'acqua2

sono le stesse che posto qui

N.B. il concorso scade domani quindi affrettatevi a votarmi e spargete la voce!!

martedì 24 novembre 2009

e somiglia...


La mia collega di musica,che ringrazio, mi ha fatto notare la somiglianza fra questo concerto di Telemann (1681 - 1767) e...

Indovinatelo voi!

Ma forse i più bravi lo sapevano già...

Io, che sono ciuho, non lo sapevo, e ho dovuto guardare su internet per verificare che si tratta, com'era ovvio, di citazione voluta, non di plagio.

lunedì 23 novembre 2009

Che schif...!

Quando Renato Schifani è diventato Presidente del Senato, cioè seconda carica dello Stato, mi sono chiesto: "Ma come ha fatto?" Ho ripensato, incredulo, a una gag di Ficarra e Picone che lo prendeva in giro, o alle tante battute sul suo riporto, e ancora una volta mi sono chiesto: "Com'è successo?"

Ora, letta l'inchiesta del Fatto, sto cominciando a darmi una risposta. E non mi piace per niente.

http://antefatto.ilcannocchiale.it/glamware/blogs/blog.aspx?id_blog=96578&id_blogdoc=2384496&yy=2009&mm=11&dd=20&title=storia_di_un_palazzo_abitato_d

lunedì 16 novembre 2009

Segreteria seconda e ultima (?) parte

Pensavo non interessasse a nessuno, invece qualcuno mi ha chiesto com'è finita la mia odissea in segreteria.

Dunque. Mercoledì scorso, mio giorno libero insieme al lunedì, mi sono presentato alle sette e mezza davanti al portone della segreteria in via San Gallo, solo per trovarmelo chiuso con affisso un bel cartello: per tutti i mercoledì di novembre la segreteria resterà chiusa.

Non demordo e oggi mi ripresento, più o meno alla stessa ora. Ho più fortuna. In lista sono 26esimo. Aprono il portone alle otto, ma gli uffici alle nove. Quindi, intanto, c'è da aspettare un'ora. Mi sono preparato: ho con me due quotidiani e Tacito.

Prima di iniziare a leggere, però, faccio mente locale per vedere se ho preso tutto, e mi accorgo che, cambiando borsa, ho lasciato a casa le fototessere. Chi non ha testa abbia gambe (e soldi). Mi fiondo per strada, trovo un ottico aperto e mi faccio fare le foto. Ora sto tranquillo...

Leggo per intero i due quotidiani, ripasso i capitoli dall'uno al tre degli Annali, traduco il quattro e il cinque, e finalmente arriva il mio turno. Sono passate tre ore. Ho trattenuto un bisogno diventato via via impellente, ma preferisco farmela addosso che perdere il turno.

Mi trovo di fronte Geppy Cucciari. Se non è lei è la sorella gemella omozigote separata dalla nascita. Giuro. Purtroppo non ha nessuna voglia di ridere, tantomeno di farmi ridere. Appena accenno al fatto che ho tutti i documenti ma prima di scrivere i codici degli esami nel modulo vorrei avere conferma dell'esattezza, visto che il sito non è molto chiaro e anche le professoresse, che me li hanno dati, non erano sicure, Geppy storce il musetto sirbone, aggrotta le sopraccicglia e mi dice che dovevo controllare sul sito, che non è compito suo, che non può perdere tempo a guardare lei, che devo controllare nella guida, ecc. ecc. Il profluvio di parole mi dà il tempo di pensare. Subito mi viene in mente di bloccarla e di dirle che il minimo che mi aspetto da una segretaria è che sappia le procedure, i codici e quant'altro e che, se non li sa, quantomeno dovrebbe essere in grado di trovarli in fretta. Poi considero la mia decennale esperienza di burocrazia e uffici pubblici e convengo con me stesso che la linea dura di rivendicazione dei propri diritti di cittadino-utente non paga, e approvo la linea di condotta all'italiana: chiedere un aiutino, fare la faccia supplice, circuire invocando il buon cuore di chi ha il potere di vita o di morte: l'impiegato. Così, in un momento di pausa del monologo di Geppy, prima che mi mandi via con l'ordine perentorio di informarmi meglio prima di ritornare, intervengo sottomesso per apporre gentilmente il concetto che a me la guida dello studente non viene data perché ho il torto di essermi già laureato, che i codici li ho già, presi dal sito e confermati dagli insegnanti, e che mi basterebbe giusto una controllatina veloce alla guida dello studente, non ci dovrebbe volere molto, altrimenti sarei costretto a mettere i codici che ho, perché sono due mesi che aspetto di essere ricevuto dalla signoria vostra, la Segreteria illustrissima.

Insomma, il buon vecchio metodo all'italiana funziona. La Geppy sbuffa e con l'aria di dire Guarda giusto perché sei tu, mi controlla la guida. Non ha la più pallida idea di quale siano i corsi di laurea degli esami in questione. Suggerisco sommessamente lettere antiche per letteratura latina e linguistica per sociolinguistica. Per fortuna ci azzecco, e dopo tanta fatica, sudore e pagine della guida sfogliate, ecco saltare fuori i codici. Sono gli stessi che ho io. Così la pratica va avanti e Geppy mi consegna libretto, password e numero di matricola nuovi di zecca.

Habemus papam! L'iscrizione è fatta!

Dovrei sbronzarmi dalla felicità, se non fossi astemio e contrario agli eccessi alcolici. Dovrei organizzare un festino a base di trans e coca, ma non sono un politico.

Soprattutto, sono prudente. Non voglio illudermi. Uno dei due codici, pur dato dalla professoressa con cui devo fare l'esame, corrisponde ad un altro docente. E la professoressa in questione non compare negli elenchi e non ha un suo codice d'esame. Boh, sarà affiliata all'altro prof.? Con la fortuna che mi canta, va a finire che il codice è sbagliato e Geppy è stata categorica: se metto quel codice poi devo fare per forza l'esame a cui corrisponde. Non mi ha detto se la pena è l'arresto, però spero tanto di non essermi sbagliato. Temo meno il giudizio universale. Ci sono poi problemi anche per l'altro esame: la prof. mi ha detto, spaventatissima, che lei non ha mai fatto l'esame con un iscritto a un corso singolo e quindi non sa in che verbale deve verbalizzare. Mi ha detto anche: S'informi in segreteria. Non volendo suscitare le ire di Geppy, né disturbarla ulteriormente, ma soprattutto avendo la certezza che non ne avrebbe avuto la minima idea, non ho chiesto. Vedrò come mi viene verbalizzato il primo esame e riferirò alla professoressa del secondo.

Come vedete, ancora non è il momento di farsi i ... a vicenda, come disse Harvey Keitel in Pulp fiction.

sabato 14 novembre 2009

2 films. Pillole





Basta che funzioni, di Woody Allen. Commedia minore. Divertente. Sguardo in macchina che non ha più nulla di rivoluzionario. Qualche battuta folgorante, delle sue. Tipo: Davanti alla tv, in piena crisi di panico: "Ho visto l'abisso", "Tranquillo guardiamo qualcos'altro". Nevrosi ossessiva: ripetizione continua di una visione caospolitica della vita. Forse per lenire il senso di colpa ebraico-freudiano legato al sesso? Sarebbe troppo scontato, ma forse è proprio così ed è inutile scervellarsi a cercare altro.








L'uomo che fissa le capre. Con una battuta: comicità alla fratelli Coen, senza essere un film dei fratelli Coen. Bella l'idea di mostrare la follia della guerra attraverso la follia psichedelica da LSD. Divertente, ma a tratti troppo marcatamente surreale.




mercoledì 11 novembre 2009

- preti + prati

Spero di non incorrere nell'apologia di reato se dico che certe scritte sui muri sono capolavori della sintesi.

Questa che prendo in prestito per il titolo del post la vidi sul muro di una chiesa. Forse non era una chiesa cattolica, ma una chiesa avventista del settimo giorno. Fatto sta che mi fece sorridere, perché feci mente locale e mi accorsi che nel raggio di duecento metri c'erano almeno cinque chiese, di varie confessioni. Mi misi nei panni del writer, evidentemente ecologista e miscredente, e non riuscii a dargli tutti i torti.

Già da qualche puntata, quelli delle Iene stanno smascherando alcuni pretacci che palpano ragazzi e ragazze. Dovrebbero, contestualmente, fare una denuncia a un magistrato, secondo me.

Proprio oggi, sui giornali fiorentini, appare la notizia di un prete sospeso per molestie sessuali http://corrierefiorentino.corriere.it/firenze/notizie/cronaca/2009/10-novembre-2009/prete-accusato-molestie-sessuali-condannato-ex-sant-uffizio-1601990207492.shtml

Mi viene da considerare che si tratta più che di preti, di figli di una società malata. La stessa , fatti i dovuti distinguo, dei Marrazzo o dei Berlusconi.

Ci sono, per fortuna, anche altri preti. Ieri ho comprato il libro di don Mazzi: Come rovinare un figlio in dieci mosse. L'ho letto in due ore. Due ore spese bene. Di solito sono allergico ai pistolotti morali, soprattutto quando vengono da un pulpito da cui preferirei semmai sentire un po' più di preparazione teologica. In questo caso, però, mi sembra che la morale di don Mazzi non sia tanto quella dell'ortodossia cattolica tout court, sotto molti aspetti arretrata, ma quella di chi, prima di farsi prete, è stato allevato in una famiglia povera, in una società contadina, semianalfabeta, eppure molto colta, perché esperta delle cose vita e dei suoi valori che attingevano a una saggezza antica, a un buon senso semplice, ma non sempliciotto. Da qui il continuo porre il dito da parte di don Mazzi sui nostri figli "che hanno troppo". Ci sono anche alcuni passaggi divertenti, come quello in cui si fa un decalogo su come scoprire se il proprio figlio si fa le canne: esilarante.

Altri preti. Due giorni fa sono andato in piazza Duomo. C'era una fiaccolata di solidarietà per don Santoro. Il Vescovo lo ha sospeso perché ha celebrato un matrimonio fra una donna nata uomo e il suo compagno. Un gesto fortemente simbolico in risposta ai ripetuti episodi di omofobia in molte città d'Italia, Firenze compresa.

Ora. Si può discutere il fatto. Non c'è dubbio che sposare un uomo diventato donna possa destare scandalo o disorientamento nella comunità dei fedeli. E il vescovo non può fare finta di nulla. Però a me desta più scandalo che don Santoro, che alle Piagge, zona socialmente "difficile", ha creato dal nulla una comunità, ha messo in piedi tante iniziative bellissime a favore dei più poveri e dei più emarginati, ha persino dato la sua casa a una famiglia che aveva bisogno, ecco, a me scandalizza di più che il vescovo lo abbia separato dalle persone che gli devono molto, che hanno bisogno di lui e che gli vogliono bene, per spedirlo a meditare in un luogo sperduto, dove non ha contatti con nessuno.

Quando sono arrivato alla fiaccolata di fronte alla curia, non c'era tantissima gente, ma mi hanno detto che ero in ritardo e che all'inizio c'è stata parecchia partecipazione. Non ho visto estremisti o eversivi, ma bambini che hanno fatto in terra una croce di candeline accese. Faceva impressione il contrasto fra quella luce fioca delle fiammelle vive e le finestre buie e morte della curia. Di fronte al portone chiuso, tre carabinieri in tenuta antisommossa, con a lato il cellulare blindato. Perché mons. Bettori, pastore di anime, non è sceso, non ha aperto i portoni della curia, non ha fatto entrare le sue pecorelle in quello che dovrebbe essere il loro ovile più che la sua residenza privata? Perché non è venuto incontro, non si è fatto prossimo a questa gente? Perché non è sceso a stringere le mani, a parlare, ad ascoltare? Perché non ha accolto? Di che cosa aveva paura? Perché i carabinieri armati davanti ai bambini?



http://www.youtube.com/watch?v=521Rq6lP2GI

http://firenze.repubblica.it/dettaglio/Alle-Piagge-primo-giorno-senza-don-Santoro/1775260

http://firenze.repubblica.it/dettaglio/caso-santoro-in-chiesa-e-in-strada-la-protesta-contro-monsignor-betori/1773537

http://firenze.repubblica.it/multimedia/home/17689508


http://www.altracitta.org/



Piccolo spazio pubblicità (ok il prezzo è giusto)


Dopo aver comprato le scarpe, mi servivano un paio di pantaloni e una camicia. Maglioni ne ho in abbondanza. Il fatto è che ancora non fa così freddo, perciò mi servivano capi da mezza stagione, autunnali.

Le scarpe le ho prese alla Camper. Comodissime. Mi hanno detto che sembrano le scarpe di Pippo, che sono comode perché sono "appantofolate", ma non m'importa. Mi sono piaciute subito e, soprattutto, è la prima volta che trovo un paio di scarpe che non mi fanno venire le bolle per tre mesi prima di adattarsi al piede.

Per la camicia sono andato da Coin. C'erano diversi modelli che mi piacevano. Alcune avevano lo sconto del 30%: anziché 39 e 90 , 27 euro e qualcosa (non ricordo il prezzo preciso, perciò non fate i conti perché probabilmente non tornano). Per un attimo sono stato indeciso se prendere due di queste a sconto, oppure una più bella e di qualità migliore a 59 euro. Mentre ci pensavo, sono andato al reparto pantaloni e ho visto un bel modello della Timberland: 89 euro. Tanto. Però mi piacevano quei pantaloni. Ho pensato: faccio la pazzia?

Come spesso mi capita, è subentrata la ragione. Avevo già speso tanto per le scarpe. Così, mi sono detto, per ora una camicia basta e avanza.

Tornando a casa ho pensato: certo che se queste aziende che dicono di essere in crisi abbassassero i prezzi... oggi da Coin avrei preso due camice e un pantalone, anziché una camicia sola.

I pantaloni, però, continuavano a servirmi, non potendo andare a scuola disordinato. Così oggi, mio giorno libero, ho pensato di tornare da Coin. Ci sono passato di fronte, ma ho tirato dritto. 89 euro valgono bene un surplus di riflessione. Un collega mi ha suggerito il mercato del sabato in piazza Sant'Ambrogio... Che faccio? Aspetto o non aspetto?

Poi ho avuto l'illuminazione. Perché non tornare alla cara vecchia Oviesse, che tanti problemi mi ha risolto in passato? L'avevo incosciamente abbandonata per non dare soldi al suo proprietario, che mi sembra ne abbia già abbastanza.

Insomma, la faccio breve. Sono andato all'Oviesse: pantaloni + camicia = 29,90. In tasca avevo 50 euro, ci sarebbe uscito anche un lupetto a 19,90, che però non ho preso.

Rispetto ai pantaloni Coin, risparmio secco di 60 euro e due capi anziché uno. Qualità inferiore? ECCHISSENEFREGA! Sono dignitosissimi.


venerdì 6 novembre 2009

Escort e trans

Il mio commento sul caso Marrazzo?

Il mio commento sulla D'Addario?

Eccolo:

una mia collega, un paio di anni più grande di me, laureata, fatta una scuola di specializzazione, fatte le SSIS, dopo una supplenza annuale, quest'anno, visti i tagli della Gelmini, non è stata richiamata a scuola, e non ne trova un'altra che l'assuma;

una ragazza che conosco, figlia di professori universitari, laureata con il massimo dei voti, fatte le SSIS, non trova lavoro;

un amico, laureato con il massimo dei voti, tesi pubblicata, dottorato di ricerca, è dovuto andare all'estero, perché qui non si trova un lavoro che duri più di tre mesi;

un'altra collega, appena assunta per una supplenza annuale, l'ha persa per il ritorno imprevisto della collega titolare della cattedra. Ora è senza lavoro, dall'oggi al domani, con figlio a carico e marito disoccupato;

...

Devo continuare? O si è capito quale è il mio commento? No...?

Allora ve lo scrivo. Il mio commento è: E QUESTI VANNO A MIGNOTTE???!!!

mercoledì 4 novembre 2009

dove avrò sbagliato?


"Le donne del terzo stato andarono armate ha ribellarsi in 60.000 alla corte di Versailles e quell'anno venne chiamato anno del terrore perchè si credeva che la rivoluzione finisse."

"Gli intransigenti erano quelli che dicevano che finiva la rivoluzione francese"

"I preti poi fecero un giuramento di rimanere fedele al popolo e se diedero il nome di Sanculotti perché si mettevano sempre dei pantaloni molto aderenti."

"Luigi XVI compra gli Stati Uniti"

"Il re porta tutte le lamentele scritte nel quaderno detto (cahier d'Orleans)"

"La Francia in quegli anni era suddivisa in tre costituzioni 'clero e nobilta' ciò è i borghesi e il 'terzo stato' ciò è i contadini e persone fuori dalla reggia di Versailles"

"Nel 1781, un banchiere Necker pubblica una bilancia degli sprechi alla corte di Versaile"

"Dopo viene istituita una costituzione dell'anno scorso..." [Cost. dell'anno I]

"a Versail si viveva nel' usso estremo"

lunedì 2 novembre 2009

Un ricordo di Alda

La sala conferenze del dipartimento di itailanistica era piena. La prof aveva organizzato un ciclo di incontri sulle poetesse italiane. La settimana prima c'era stata la Spaziani. Ricordo che disse una frase del genere: "Lo deciderà la storia chi è stato più grande fra Montale e me". Mi sembrò un tantinello presuntuosa. Raccontò anche di una lite con lo stesso Montale perché, passeggiando per strada, lei gli mostrò dei fiori che lui non riconobbe, pur avendogli dedicato una poesia. Sembrava più preoccupata di non farsi oscurare dalle sue frequentazioni montaliane, piuttosto che parlare della sua poesia. Sicuramente ne parlò, ma a distanza di anni è questa l'impressione che mi è rimasta.

Alda Merini, invece, ebbe tutto un altro impatto sul pubblico, in gran parte composto da studenti. Fu molto simpatica. In prima fila c'erano tutti i professoroni della Facoltà. Lei, seduta al centro del tavolo dei conferenzieri, stette in silenzio ad ascoltare le lodi sperticate che la prof le dedicava nella presentazione, ricca non tanto di notizie biografiche quanto di paroloni difficili e teorie cervellotiche sulla sua poesia. Poi arrivò il momento di darle la parola. Lei avvicinò la bocca al microfono e spiazzò tutti: "Ma io non ho nulla da dire. Se volete farmi delle domande...".

Gelo in sala. Panico fra gli organizzatori del convegno. E ora?

La Merini era così. Per nulla convenzionale. Forse tutte quelle elucubrazioni sui suoi versi l'avevano indispettita. La sua poesia era diretta e sincera. Letteratura che viene dal cuore, non dal cervello. Semmai, che dal cuore va al cervello.

Insomma, i prof in prima fila si sentirono in dovere di interrogarla, anche perché altrimenti potevamo andarcene tutti a casa. Peccato che fecero l'errore di non porgerle delle domande dirette, ma dilungarsi in premesse di mezzore, miste di complimenti e considerazioni di critica letteraria. Ricordo una prof in particolare, che aveva preso a cuore il compito di avviare il dibattito. Ogni volta la Merini la rimetteva al suo posto con risposte che avevano il tono di un "No, non ha capito nulla".

Da studente era divertente vedere come una profesoressa veniva sbugiardata da un autore. Noi, abituati ad essere giudicati, vedevamo i nostri insegnanti passare dall'altra parte della cattedra ed essere loro sotto giudizio!

Ricordo che alla fine questa prof, particolarmente bersagliata dalla Merini, fece un'ultima domanda, questa volta senza tanti giri di parole. Alda Merini non la fece neanche finire ed esclamò: "Oh! Lo vede che ogni tanto anche lei fa delle domande intelligenti?".

Era così, Alda Merini: diretta e sincera. Come chi ne ha passate troppe nella vita. Come chi sa il valore delle parole (chi conosce questo segreto è un poeta) e soffre nel vederle sprecate.


giovedì 29 ottobre 2009

DUETTO FRANCESCO DE GREGORI MORGAN cantano DE ANDRE' - Il suonatore Jones - X FACTOR 28/10/09

De Andrè canta De Andrè

Visto il concerto di Cristiano De Andrè, se ne conclude quanto segue:

1) Cristiano deve cantare sempre le canzoni del padre, perché le canta e le arrangia benissimo.

2) Alcune canzoni le fa anche meglio del padre (lo so, è una bestemmia, ma è così). Per esempio, Smisurata preghiera. Cristiano la canta con più rabbia, e in questa versione emoziona di più.

3) Per chissà quale mistero, Cristiano sul palco è identico a Corrado Guzzanti. Il concerto è stato bello, ma alla fine mi è dispiaciuto che non ha fatto Tremonti.






mercoledì 21 ottobre 2009

Libertà di informazione. Puntini sulle i


Ho appena sentito in tv il sottosegretario alla giustizia Maria Elisabetta Alberti Casellati (foto tratta da Senato.it) parlare di "doppiopesismo" a proposito della vicenda del giudice Mesiano: se si invoca la libertà di informazione per mostrare le foto di Zappadu a Villa Certosa, allora anche il servizio sul giudice dai calzini celesti rientra in tale libertà.

Mi viene da obiettare che per invocare la libertà di informazione e, aggiungo, la libertà di stampa, bisogna che ci sia una notizia. Ora, mi sembra del tutto evidente che la notizia ci sia se un Presidente del Consiglio ospita a casa sua delle escort e frequenta un procacciatore di ragazze e droga come Tarantini. Per non parlare del fatto che ha ospitato a casa sua un boss mafioso, Mangano!

Queste sì che sono notizie! Di queste cose sì che i cittadini devono essere informati!

Mi sembra, invece, che in un giudice che passeggia per strada, va dal barbiere, indossa i calzini celesti, non ci sia nessuna notizia. E se non c'è, non si può invocare neanche la libertà di informazione!

E poi la gente non è stupida. Non prendeteci in giro! Lo abbiamo capito benissimo che quel servizio era una "vendetta". Il tono del commento, palesemente canzonatorio, non voleva per niente informare, ma mettere in ridicolo.

Visto che ci sono, mi permetto di chiedere anche al ministro Tremonti di non prenderci in giro. Perché lui e Berlusconi che si dicono a favore del posto fisso sono proprio una presa in giro per tutti coloro che non riescono ad uscire da un precariato che loro (insieme al centrosinistra, per carità) hanno creato. Io il libro bianco del povero Biagi, me lo ricordo. E l'ho sperimentato sulla mia pelle.

In generale, se questa pletora di politici da talk show si occupasse della crisi, delle aziende che chiudono, dei posti di lavoro che si perdono, dei contratti a tempo che non vengono rinnovati, dei tirocini gratuiti (e prima ancora delle lauree, dei dottorati, dei master!) che non portano a niente, invece che pensare ai calzini celesti e scannarsi per modificare gli organi di garanzia in modo da avere più potere e magari impunità, sarebbe meglio. Molto meglio.

Nel frattempo, tornando a bomba, l'Italia perde ancora posti nella classifica dei reportes sans frontières sulla libertà di stampa. Chissà come mai. Anzi io lo so: perché non ce ne importa niente, siamo rassegnati al peggio.





sabato 17 ottobre 2009

Italietta

Berlusconi, il proprietario di Mediaset, "prevede" che la metà degli italiani smetterà di pagare il canone, cioè della sua principale concorrente. Nel frattempo fa seguire il giudice che l'ha condannato dalle sue telecamere, per sputtanarlo. Infine dice che cambierà la Costituzione a colpi di maggioranza.

Per meno della metà di tutte queste cose, in un Paese normale, i giudici smetterebbero di lavorare e scenderebbero in piazza; i giornalisti della Rai, insieme ai loro dirigenti, manderebbero in onda un bel nero e scenderebbero in piazza a protestare; i cittadini, difenderebbero la Costituzione, scioperando in massa e andando in piazza a protestare. Un Paese normale si fermerebbe. In Francia avrebbero già fatto le barricate.

Ma in Italia siamo fatti così. Non ce ne frega niente. Non facciamo nulla finché non ci entrano i tedeschi in casa. E anche in quel caso, molti lasciano che siano gli altri a liberarli.

martedì 13 ottobre 2009

giovedì 8 ottobre 2009

Toh, chi si rivede alla Consulta!

Il Corriere della Sera pubblica oggi questa bella foto dei giudici della Corte Costituzionale (tratta dall'Ansa). Guradando bene, chi ti ritrovo? Due miei professori dell'università: Ugo De Siervo, addirittura vicepresidente, e Paolo Grossi. De Siervo mi diede 30 a diritto costituzionale, chiedendomi anche con chi mi laureavo. Risposi che mi volevo laureare in diritto penale. Il diritto costituzionale mi piaceva, ma De Siervo era un regionalista e temevo di ritrovarmi a studiare le leggi e leggine regionali. Grossi, invece, insegnava Storia del diritto italiano. Ricordo che a lezione era molto amabile, ci chiamava "amici". Vestiva benissimo, sembrava un lord inglese. Tanto che a lezione a volte mi sorprendevo a fantasticare di avere un giorno i soldi per vestire come lui. Sono sempre stato di gusto classico nel vestire. Pensai anche che i suoi fossero vestiti fatti dal sarto, su misura. L'esame fu però una delusione. Interrogava due persone per volta. Cosa questa che mi suscitò un certo imbarazzo. Se il mio compagno d'esame non sapeva rispondere, la domanda veniva girata a me. Il mio istinto era quello di suggerire, non di fare bella figura a scapito del mio collega, che ne sapeva meno di me. Alla fine anche io incappai in un errore. Non ricordo l'argomento preciso, ma ricordo che dissi Stato pontificio e il professore si irrigidì. Coome! Ma che dice? Lo Stato pontificio non c'era più! La breccia di Porta pia!! Questa è storia, non sarà diritto ma è storia! ... e via dicendo. Mi diede 27, facendomi intendere che fino a quel momento avevo meritato trenta.
Ora lui è lì, non professore ma giudice della Corte costituzionale. E io sono qui, non più studente ma professore... di storia.

mercoledì 30 settembre 2009

Non giurare

Quando mi sono diplomato al liceo scientifico, ho sentito un'inebriante sensazione di liberazione, perché finalmente mi ero liberato della Matematica e del Latino. Ho giurato: mai più matematica, mai più latino! Nello scegliere la facoltà in cui iscrivermi, il criterio di non ritrovarmi queste due materie non è stato secondario. Perciò mi sono iscritto a Giurisprudenza. Poi la vita mi ha portato a Lettere, ma sono riuscito ad evitare il Latino, perché non avevo nessuna intenzione di insegnare.

Quando mi sono laureato, ho riprovato lo stesso senso di liberazione del liceo, pensando: "mai più code in segreteria!"

Ieri, alle due del pomeriggio, ero in fila in segreteria, per inoltrare la domanda di iscrizione al corso singolo di Letteratura latina, per accedere alla classe di concorso per l'insegnamento.

Quando si dice la coerenza. Sono uno spergiuro.

Naturalmente non ci sono riuscito. C'era una lista, messa lì dalla mattina. Io sono arrivato all'una e mezza (la segreteria apre alle tre!) e mi sono iscritto: 55esimo. Sono andato di corsa a casa, a togliermi la camicia sudata e mettermi una maglietta e i pantaloni corti. Un caldo infernale. Cinque minuti e via di nuovo verso la segreteria. Una schiacciatina al prosciutto presa al volo, ed eccomi di nuovo a fare la fila. Fuori dalla porta della segreteria, c'erano almeno una settantina di persone. Qualcuno aveva mandato un parente, la mamma o uno zio, per tenergli il posto. C'era chi bivaccava, con panini e birra. Qualcuno si arrotolava una sigaretta per ingannare l'attesa. Ci si scambiava le proprie frustrazioni per la burocrazia che demoralizzerebbe anche il più ottimista. Alle due e un quarto aprono il portone. In base alla lista bisogna distribuire i numerini, come al supermercato. Entrare significa spingere ed essere spinti, ma una volta dentro c'è solo da aspettare che il ragazzo o la ragazza che ha in mano la lista faccia il tuo nome. Io sono tranquillo perché sono 55esimo e mi hanno detto che danno solo trenta numeri. Se sono rimasto è perché spero che 25 nel frattempo siano morti. Hai visto mai. Insomma, inizia la lettura e la distribuzione dei biglietti. Al quinto nome scoppia un parapiglia. Un ragazzo urla che era lui il quinto. Una ragazza gli dà manforte. A quanto pare, era stata fatta una lista che poi è stata strappata e quella che ora viene letta sarebbe successiva e perciò fraudolenta. Gli animi si scaldano al grido: "Io ci sono dalle 11!", "E io sono venuto da Sesto alle otto!", ecc. ecc. Due ragazze si spintonano. Le separano prima che si attacchino l'una ai capelli dell'altra. La lista viene strappata. Non si sa più quale sia il criterio. Continuano le urla e le spinte. Gli unici tranquilli sono quelli che si sono iscritti online. Categoria privilegiata alla quale non posso accedere per via del fatto che ci vuole il numero di matricola ed io, essendo già laureato, non ce l'ho più.

Così sono andato via, ripensando ai miei giuramenti farlocchi e, contemporaneamente, giurando che avrei trovato su internet, nel sito della Facoltà, i codici degli esami, che mi servono per completare la domanda. Stamattina mi sono alzato presto. Sono collegato da più di un'ora. Ho sfogliato pagine e pagine del sito www.unifi.it e non sono ancora riuscito a trovare quello che cerco. Un labirinto è meno complicato.

Questa è in sintesi la situazione della facoltà di Lettere a Firenze, Non credo sia molto diversa da quella delle altre facoltà d'Italia. Ma, mi rivolgo a chi pensa di iscriversi: non fatelo!

Io intanto vedrò di non giurare più nulla.

venerdì 25 settembre 2009

Il grande sogno - recensione


Cos’è un sogno? È una realtà parallela, in cui tutto è creduto possibile. In cui il desiderio inconfessabile si realizza e corre libero, vestito solo di una maschera in volto. Chi sogna? Verrebbe da dire: tutti! Ma, a ben vedere, sogna chi ha desideri, o almeno così cantava Cenerentola. Per chi invece anche i desideri sono un lusso, non resta che l’incubo: realtà non parallela, ma concreta, delle anime morte a stento nel 1968, salve nel 1996. Un sonno, il loro, senza sogni, ma per questo più leggero e sottile di una gomena. Vite, se così si possono chiamare, appese a un filo; quel filo che realizzerà la promessa escatologica, centrando la cruna dell’ago.

Chi erano i sognatori, the dreamers, nel Sessantotto? Quelli che avevano desideri. Quali desideri? Questo è il punto! Per esempio, il desiderio di andare al cinema. Ma andare al cinema nel Sessantotto era un atto politico. Come anche impedire di andarci. Si pensi a Godard che capeggia il tentativo di bloccare il festival di Cannes, e con Truffaut riesce ad impedire una proiezione, incitando ad unirsi alla rivolta delle università e delle fabbriche. Fare un film nel Sessantotto, soprattutto in Francia, ma prim’ancora in Cecoslovacchia, durante la breve primavera, o nella Germania di Brecht, significava sperimentare nuovi linguaggi, che fossero sovversivi rispetto ai codici tradizionali. Il Verfremsdungeffekt, l’effetto di straniamento, ottenuto con alcuni espedienti tecnici, come il collage, lo sguardo in macchina, il montaggio discontinuo, la recitazione stilizzata, le scritte sovrapposte all’immagine, ha come unico scopo impedire allo spettatore l’identificazione passiva con la storia, con le vicende che coinvolgono i personaggi sullo schermo, per stimolare invece la riflessione. Politica, naturalmente.

Il Sessantotto non è stata una rivoluzione politica, perché non era quello l’obbiettivo. C’è stato un momento, a Parigi, quando De Gaulle sparì, in realtà andando in Germania per assicurarsi la fedeltà delle truppe di Massú, che gli studenti e gli operai avrebbero potuto prendere il potere. Non lo fecero. Prevalse lo spettro della dittatura comunista. O forse la comodità della democrazia rappresentativa rispetto alla fatica della democrazia diretta. Restando nella metafora del sogno, e all’interpretazione che ne ha dato Freud, la rivoluzione del proletariato era il contenuto manifesto che censurava un contenuto latente, più confuso e meno ambizioso: cambiare i costumi. Questo è quello che il Sessantotto è riuscito a fare, probabilmente perché è quello che voleva veramente.

Tutti gli altri obiettivi li ha falliti. O, per l’eterogenesi dei fini, ne ha conquistato la parodia. L’alternativa alla famiglia tradizionale non è stata la comune, ma la famiglia allargata, nel caso migliore, il familismo in quello peggiore. Proprio le comuni sono finite principalmente per l’incapacità di sconfiggere gli istinti naturali della gelosia o della maternità. Il capitalismo è ancora l’impronta dominante della società, la sua unica dimensione, con buona pace di Marcuse. La provocazione di “coloro che non vogliono fare carriera” ha lasciato il posto alla rassegnazione di “coloro che non possono fare carriera”. E mentre il femminismo si rifà il look con il silicone o il botulino, il dibattito è ormai una chiacchiera sul nulla dei talk show. La solidarietà tra le classi o il suo opposto, il conflitto sociale, siedono comode nella propria poltrona dell’autoreferenzialità. Dell’anarchia defenestrata (qui poco importa se per induzione), è rimasto solo il disprezzo per le regole, senza più poesia, senza più l’amore, che non sia amore per se stessi. La liberazione sessuale è finita in manette, quelle fetish, nel carcere della mercificazione. La democrazia diretta si esprime soprattutto nell’astensionismo.

Non era questo che sognavano i dreamers del Sessantotto. Quello che sognavano ce lo dice il film di Bertolucci del 2003. Non ce lo dice invece il film di Michele Placido, indeciso se raccontare il Sessantotto (contenuto manifesto) o se stesso, quando faceva il poliziotto e il suo Grande Sogno era diventare attore, e nient’altro (contenuto latente). Davanti agli occhi stralunati di Nicola (Riccardo Scamarcio), c’è in modo maldestro la poesia di Pasolini sulla battaglia di Valle Giulia, ma dietro, dentro, quello sguardo c’è solo l’incomprensione di un desiderio collettivo che non è il proprio. Quello che sogna Nicola è quello che sognava Placido. Quello che non interessa a Nicola è quello che non interessa a Placido: cioè, se Libero (Luca Argentero) è diventato terrorista, o se Laura (Jasmine Trinca) ha perduto la verginità. Non gli interessa, e si vede. Così come al regista non importa granché che il suo film sia distribuito dalla Medusa. Che doveva fare? Si è dovuto adeguare ai tempi, come il suo personaggio Nicola. Gli altri, quelli che hanno fatto il Sessantotto, invece, sognavano proprio il contrario, di non adeguarsi.