giovedì 27 maggio 2010

domenica 16 maggio 2010

La Sindone

Ho appena finito di leggere il libro di Baima Bollone sulla Sindone. Devo dire che è stata un impresa finirlo. Più di una volta ho accarezzato l'idea di abbandonarlo, e qua e là ho saltato qualche pagina.

Il motivo è che è per lo più scritto con il linguaggio scientifico, precisamente medico legale. Pagine e pagine di disquisizioni su centimetri, microparticelle e quant'altro.
Non dico che non sia interessante, ma il rigore scientifico è noioso da leggere.

A lettura ultimata, l'impressione è che la scienza nulla toglie e nulla aggiunge alla Sindone e alla sua problematicità.
Indubbiamente i risultati delle analisi scientifiche vanno nella direzione di un'autenticità della reliquia, ma la fede ne può fare tranquillamente a meno, e chi la fede non ce l'ha avrà sempre argomenti per confutare i risultati che non gli piacciono e avvalorare quelli che lo soddisfano.

Sono stato a Torino a vedere l'ostensione.

Sono partito senza particolari emozioni. Senza aspettarmi niente. Cosa ho trovato?
Prima di tutto, la Basilica di Superga: una vista mozzafiato, purtroppo però vanificata dalla nebbia (un caso o un segno?).

All'interno della Basilica, la sala dei papi, con la collezione dei ritratti di tutti i pontefici della storia, che ha l'equivalente solo a San Paolo fuori le mura.

Poi, la messa, la foto di gruppo, il pranzo.
Il ristorante, visto da fuori, sembrava più un bar, situato in prossimità del Duomo e del Palazzo reale, ma più sull'interno della strada, in quello che sembrava più un quartiere malfamato di periferia che una zona residenziale del centro...

Però, inaspettatamente, il mangiare era ottimo. Cucina casalinga.

Dopopranzo ci siamo messi in fila. Di fronte a noi, sulla punta degli alberi, la Mole...

Un enorme serpentone di gente... In mezzo alla folla c'era un gruppo di Nuoro. Il mondo è piccolo.

Si procedeva a rilento. Poi qualcuno farà il conto e scopriremo di essere stati in fila tre ore. Lì per lì non me ne accorgevo. Verso la fine del percorso ha iniziato pure a piovere. Sembrava di essere in mezzo alla campagna inglese.

Prima di accedere alla Sindone, un'animazione video su un grandeschermo spiegava in dettaglio tutti i particolari del lenzuolo. Vedere le immagini nitide delle lesioni subite da un corpo martoriato, evidentemente crocifisso, mi faceva crescere l'emozione. Poi si passava lungo un corridoio con musica gregoriana in sottofondo. Cominciavo a predispormi al raccoglimento. Pensavo che l'ostensione fosse imminente. Invece il serpentone continuava.

Quando entravamo nella cappella, ci bloccavano. Dovevamo attendere che il gruppo del turno precedente al nostro consumasse il suo tempo davanti alla Sindone: tre minuti. Così, dando un'occhiata alle cappelle laterali, notavo che in quella alla mia sinistra era sepolto Piergiorgio Frassati. Non lo sapevo. Volevo accostarmi, riflettere sulla sua figura, che per me è stata sempre d'esempio, dire una preghiera. Ma eravamo tutti lì ammassati, tra poco sarebbe toccato a noi, era meglio non distrarsi.

Quando finalmente ci facevano passare, mi aspettavo di poter stare lì davanti alla Sindone, in silenzio, a pregare. Invece, c'era una donna al microfono. Diceva che stavamo guardando la Sindone (!), che era considerato il lenzuolo funerario di Gesù (!) e poi si cimentava nella descrizione della reliquia, ripetendo né più né meno le cose che avevamo già sentito nel filmato. Quindi, ci faceva recitare una preghiera.
Così sono passati i tre minuti. Non ho avuto neanche il tempo di ricordarmi di pregare per tutti quelli che me lo avevano chiesto. Quell'accidenti di microfono ha rovinato tutto. Non c'è stato modo di concentrarsi e raccogliersi in preghiera.

All'uscita, pioveva. Una ragazza mi si avvicinava e mi dava un volantino. C'era raffigurato un pollo sgozzato. Diceva che noi cattolici dovevamo essere contro l'uccisione degli animali. O qualcosa del genere.

domenica 9 maggio 2010

Cultura di destra


Un tempo si diceva che la cultura era di sinistra. Forse non è mai stato vero. Di sicuro non lo è ora. Ne ho avuto la riprova seguendo un paio di volte la rubrica "editorial-gastronomica" di Unomattina, intitolata "Buono No buono".

La conduce un certo Angelo Mellone. Non dico "un certo" per sminuirlo alla maniera di Emilio Fede, ma perché non mi è mai capitato di trovare le sue pubblicazioni all'università, perciò non lo conoscevo. Colpa mia. Per fortuna internet mi ha consentito di colmare la lacuna e scoprire che Angelo Mellone è:
Docente di scienza politica e comunicazione politica alle Università "Luiss" e "San Pio V" di Roma, conduttore radiofonico per la Rai, opinionista del Giornale e di Epolis, con diversi libri all'attivo, tra cui "Dì qualcosa di destra" (2006) e "Dopo la propaganda" (2008).
[fonte: italiafutura.it]

Insomma, mi capita ogni tanto, la domenica mattina, di sintonizzarmi su Rai uno, e vedere la rubrica "Buono No buono" di Angelo Mellone. Già una volta avevo notato che i libri di Travaglio & co vengono immancabilmente bollati come no buono, con l'elaborata analisi critica per cui si tratterebbe di libri ideologici. Oggi, in pochi minuti, ho visto attibuire lo stesso peccato mortale a un libro sulle Br edito da Donzelli; poi, ho sentito definire l'ultimo libro di Maggiani, appartenente a una certa "sinistra bucolica" (che non so cosa vuol dire ma dev'essere qualcosa di spregevole, anche se non troppo pericoloso), ovviamente no buono; dulcis in fundo, ho sentito definire buoni un libro di critica letteraria che ci mostra come il Novecento sia stato un secolo di tante cose belle, e l'ultimo libro di Giampaolo Pansa sui politici della Prima repubblica. Di cui evidentemente noi tutti abbiamo nostalgia.

Trattandosi di editoria gastronomica, che dire? I gusti sono gusti.

P.s. Ma Giampaolo Pansa è divenuto l'icona della destra? Come la Ferilli o la Parietti lo sono della sinistra? ...e se si tornasse a una sana iconoclastia?

Non è un Paese normale

http://www.corriere.it/politica/10_maggio_09/cricca_bondi_sarzanini_8dfbac96-5b33-11df-8949-00144f02aabe.shtml

In un Paese normale, un articolo così, pubblicato dal più prestigioso quotidiano italiano, avrebbe destato un'ondata di riprovazione dell'opinione pubblica, tale che avrebbe determinato le dimissioni del ministro e probabilmente anche la caduta del Governo.

Ma siamo in Italia, non in un Paese normale.

giovedì 6 maggio 2010

hola

Era una donna forte. Di quelle donne latine, corpulente per sostenere il peso della famiglia. Ha insegnato al figlio che nella vita bisogna combattere, senza piangersi addosso. Perché quando vieni da certe parti del mondo, la vita è una lotta più che per gli altri. Non voleva che il figlio si creasse l'alibi della lingua per essere trattato dai professori con un occhio di riguardo. "Lei mi dica se sta studiando, se c'è bisogno che lo riprenda per studiare di più...". Quando si accorse che il bambino era troppo timido e fragile, che bastava un soffio di vento sulle sue meravigliose gote paffute per farlo piangere, lo ha iscritto a pugilato. Così gli ha insegnato a farsi rispettare e ad essere più sicuro di sé. E lui ha imparato, non ha più avuto paura delle interrogazioni, e ha saputo rimettere a posto quei compagni che magari lo pigliavano un po' in giro. Quando è venuta l'ultima volta a ricevimento, già sapevo che era malata. Mi aspettavo di trovarla deperita, con quei turbanti in testa che si mettono le donne per nascondere la chemio. Invece, venne truccata e ben vestita, con la stessa dignità di sempre. Non ho avuto bisogno di far cenno al fatto che ero pronto a tener conto della situazione nel giudicare il calo del figlio. Lei mi ha subito tolto dall'imbarazzo facendomi le solite domande sul rendimento e sul comportamento. Quando le ho detto dei voti un po' più bassi del solito, prima che potessi io avanzare delle giustificazioni, mi ha anticipato: "Ah, bene, ha fatto bene a dirmelo, ora ci penso io...", "Signora, guardi, non sono brutti voti, ma certamente rispetto a prima...", "Si, si, non serve che dica altro, ora glielo dico io che deve venire a recuperare!". Neanche dopo una settimana i voti erano tornati al giusto livello.
Ci sono momenti che è difficile fare lezione, proprio difficile. Non puoi interrogare dei ragazzi che hanno i luccichii agli occhi, né puoi spiegare pretendendo che quei volti pallidi stiano attenti a quello che dici. Puoi solo guardare i loro cuoricini stretti e concentrarti per mostrarti forte, tranquillo, per insegnargli che non devono disperare, che la vita va avanti, che devono essere coraggiosi.
Che devono lottare.

Hola, signora cara. Sono contento di averla conosciuta.

domenica 2 maggio 2010

Due maggio

Ieri mattina sono uscito. Era una bella giornata. Mi servivano due magliette, le ho comprate. Poi mi è venuto in mente che serviva anche un dosatore del sapone per il bagno. Così ho comprato anche quello. Ho speso una ventina di euro...

E chi se ne frega?, direte voi.

Avete ragione. Ma forse ai più attenti non sarà sfuggito il fatto che ieri era il Primo Maggio. Qui a Firenze c'è stato un botta e risposta fra il neo sindaco, Matteo Renzi, e il neo governatore Enrico Rossi. Il primo era favorevole all'apertura dei negozi, il secondo no. Evidentemente l'ha spuntata il primo, se ho potuto comprare le magliette.

Se avessi riflettuto, non avrei comprato niente. L'apertura dei negozi il giorno della festa dei lavoratori è la caduta di uno degli ultimi tabù, una bestemmia laica. Possibile che non possiamo rimanere un giorno senza comprare niente? Il consumismo è il nuovo dio, che esige di essere santificato ogni giorno.
Nei giorni scorsi i quotidiani hanno celebrato un rito che ha perso il suo significato. Degli articoli che ho letto sull'argomento, il più bello a mio avviso è quello che ha scritto Maurizio Maggiani su Vanity Fair: Quando in manifestazione gli operai mettevano l'abito della festa.

L'articolo si divide in due parti. Nella prima, Maggiani ricorda cos'era la festa del Primo Maggio negli anni Cinquanta; nella seconda, riflette su cosa ne è rimasto.

Ne riporto qualche brano. Scrive Maggiani:
Primo Maggio fave e formaggio. Finché c'è stato un Primo Maggio che volesse dire qualcosa, questo mi diceva: che gli operai avrebbero preso le loro mogli, i loro figli, le fidanzate e le amanti per portarseli in collina e prendersi i prati di erba smeraldina e fare festa con le fave novelle, il pecorino fresco e il vino allungato con la gazzosa. [...] Sembrava una gran cosa che di prima mattina gli operai si mettessero in ghingheri per sfilare per la città con la banda musicale e le bandiere. [...] Mio padre, operaio elettricista senza padrone e senza mutua, si metteva il vestito del matrimonio e portava i suoi figli alla manifestazione, a passeggiare per la città, almeno quel giorno, come se fosse il signore del mondo e i suoi figli i principi eredi. Io e mia sorella eravamo vestiti come il giorno della Prima comunione [...] mi sentivo davvero un principe, e tutti quegli uomini che marciavano e si salutavano con mio padre, tutti sbarbati e profumati di colonia, [...] quegli uomini a testa alta, con le bandiere a spalla e il giornale dei lavoratori che gli spuntava dalla tasca di dietro dei pantaloni, mi facevano sentire in un posto sicuro, tra gente coraggiosa e forte. Almeno quella mattina. [...]
Poi, per decenni, del Primo Maggio non ho saputo più nulla. Gli operai hanno smesso di sfilare, e con l'aumento delle temperature le fave hanno cominciato a maturare già ai primi d'aprile, cosicché, anche a voler tornare in collina, il Primo Maggio erano già dure e indigeste. Si son sentiti dei discorsi, si son sentiti dei concerti, ma non si è sentita mai più quell'aria di festa, e a me non è mai più capitato di vedere quegli uomini così fieri e ridenti, così profumati e sbandieranti passeggiare assieme per le vie della città. Cosicché mi è persino passato di mente che ci fosse da far festa per quel giorno.

Poi Maggiani racconta di un Primo Maggio in cui è capitato in una pieve in Toscana dove un sacerdote ascoltava Revolution dei Beatles. Si riferisce a don Gigi, di cui credo di aver già scritto su questo blog. La cosa è sorprendente, ma, a ben vedere, non più di tanto. La Chiesa per prima ha dovuto piegarsi all'apertura dei negozi la domenica. Anch'io potrei abbandonarmi ai ricordi d'infanzia, quando le domeniche si percepiva l'aria di festa, si andava alla messa, si mangiavano le paste...

Prima abbiamo rinunciato alle domeniche. Ora al Primo Maggio. L'apertura dei supermecati nei giorni di festa è comoda, ovviamente. Ma forse abbiamo rinunciato troppo in fretta a qualcosa di importante. No?