domenica 2 maggio 2010

Due maggio

Ieri mattina sono uscito. Era una bella giornata. Mi servivano due magliette, le ho comprate. Poi mi è venuto in mente che serviva anche un dosatore del sapone per il bagno. Così ho comprato anche quello. Ho speso una ventina di euro...

E chi se ne frega?, direte voi.

Avete ragione. Ma forse ai più attenti non sarà sfuggito il fatto che ieri era il Primo Maggio. Qui a Firenze c'è stato un botta e risposta fra il neo sindaco, Matteo Renzi, e il neo governatore Enrico Rossi. Il primo era favorevole all'apertura dei negozi, il secondo no. Evidentemente l'ha spuntata il primo, se ho potuto comprare le magliette.

Se avessi riflettuto, non avrei comprato niente. L'apertura dei negozi il giorno della festa dei lavoratori è la caduta di uno degli ultimi tabù, una bestemmia laica. Possibile che non possiamo rimanere un giorno senza comprare niente? Il consumismo è il nuovo dio, che esige di essere santificato ogni giorno.
Nei giorni scorsi i quotidiani hanno celebrato un rito che ha perso il suo significato. Degli articoli che ho letto sull'argomento, il più bello a mio avviso è quello che ha scritto Maurizio Maggiani su Vanity Fair: Quando in manifestazione gli operai mettevano l'abito della festa.

L'articolo si divide in due parti. Nella prima, Maggiani ricorda cos'era la festa del Primo Maggio negli anni Cinquanta; nella seconda, riflette su cosa ne è rimasto.

Ne riporto qualche brano. Scrive Maggiani:
Primo Maggio fave e formaggio. Finché c'è stato un Primo Maggio che volesse dire qualcosa, questo mi diceva: che gli operai avrebbero preso le loro mogli, i loro figli, le fidanzate e le amanti per portarseli in collina e prendersi i prati di erba smeraldina e fare festa con le fave novelle, il pecorino fresco e il vino allungato con la gazzosa. [...] Sembrava una gran cosa che di prima mattina gli operai si mettessero in ghingheri per sfilare per la città con la banda musicale e le bandiere. [...] Mio padre, operaio elettricista senza padrone e senza mutua, si metteva il vestito del matrimonio e portava i suoi figli alla manifestazione, a passeggiare per la città, almeno quel giorno, come se fosse il signore del mondo e i suoi figli i principi eredi. Io e mia sorella eravamo vestiti come il giorno della Prima comunione [...] mi sentivo davvero un principe, e tutti quegli uomini che marciavano e si salutavano con mio padre, tutti sbarbati e profumati di colonia, [...] quegli uomini a testa alta, con le bandiere a spalla e il giornale dei lavoratori che gli spuntava dalla tasca di dietro dei pantaloni, mi facevano sentire in un posto sicuro, tra gente coraggiosa e forte. Almeno quella mattina. [...]
Poi, per decenni, del Primo Maggio non ho saputo più nulla. Gli operai hanno smesso di sfilare, e con l'aumento delle temperature le fave hanno cominciato a maturare già ai primi d'aprile, cosicché, anche a voler tornare in collina, il Primo Maggio erano già dure e indigeste. Si son sentiti dei discorsi, si son sentiti dei concerti, ma non si è sentita mai più quell'aria di festa, e a me non è mai più capitato di vedere quegli uomini così fieri e ridenti, così profumati e sbandieranti passeggiare assieme per le vie della città. Cosicché mi è persino passato di mente che ci fosse da far festa per quel giorno.

Poi Maggiani racconta di un Primo Maggio in cui è capitato in una pieve in Toscana dove un sacerdote ascoltava Revolution dei Beatles. Si riferisce a don Gigi, di cui credo di aver già scritto su questo blog. La cosa è sorprendente, ma, a ben vedere, non più di tanto. La Chiesa per prima ha dovuto piegarsi all'apertura dei negozi la domenica. Anch'io potrei abbandonarmi ai ricordi d'infanzia, quando le domeniche si percepiva l'aria di festa, si andava alla messa, si mangiavano le paste...

Prima abbiamo rinunciato alle domeniche. Ora al Primo Maggio. L'apertura dei supermecati nei giorni di festa è comoda, ovviamente. Ma forse abbiamo rinunciato troppo in fretta a qualcosa di importante. No?

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