martedì 26 agosto 2008

L'estate sta finendo...

...e un anno se ne va...cantavano i Righeira. Insomma, vacanze finite, ahimé! Facciamoci del male con le foto...






...e con il ricordo della Luna che nasce...

Vedi, laggiù...quella luce
non è una lanterna rossa
ad incendiare la notte
nell'anno primo dell'era cinese
ma l'astro di fuoco
e poi d'alabastro
che traccia sul mare
un sentiero di attese...

sabato 16 agosto 2008

sabato 9 agosto 2008

L'immortalità dell'anima

Arrivato al capitolo sull'immortalità dell'anima, Mancuso affronta il tema spinoso dell'handicap. Nel suo ragionamento che cerca di seguire l'idea dell'evoluzione naturale nel senso della vita, di un sempre maggiore ordine della vita, grazie a un Principio Ordinatore impersonale (alla cui origine c'è però il Dio personale), ecco che l'handicap diviene un'imperfezione nel processo naturale, un errore. Mancuso però si guarda bene da fermarsi a questo e anzi si preoccupa di rimarcare la dignità delle persone handicappate, agli occhi di Dio e del mondo. Tuttavia i suoi argomenti per spiegare che ne sarà di queste persone li ho trovati un po' deboli dal punto di vista razionale.
Ora, sarebbe troppo lungo discuterli qui. Non li riporto neanche. Mi riservo di farlo nei prossimi giorni. Mi limito a trascrivere il passo sulla visione del mondo a partire dal dolore innocente:
Non c'è alcun disegno divino intelligente su di noi, non c'è alcuna vocazione se non quella della libertà. So bene che vi sono parole bibliche che invece affermano l'esistenza di un disegno e di una vocazione, ma ve ne sono altre che la negano; di parole, la Bibbia ne ha tante e tutto dipende dall'evidenziatore che abbiamo nella testa mentre la leggiamo. Per chi ama la verità, per chi vuole la verità e solo la verità, non c'è nulla di più sacro dell'esperienza, e l'esperienza ci attesta che ogni giorno vengono al mondo oltre 8000 bambini gravemente handicappati, di cui 76 in Italia. Se il mondo fosse come lo descrive la dottrina tradizionale sulla base di alcune pagine della Bibbia, se ciascuno di noi fosse plasmato direttamente dalle Sue mani e dotato di una particolare missione da compiere, allora inevitabilmente, per citare ancora Teilhard de Chardin, "avremmo qualche difficoltà a giustificare, dentro noi stessi, la presenza di esseri umani dolorosamente bloccati nelle loro possibilità e nel loro slancio". [...] E ciò che l'handicap dice della nascita, cioè l'esistenza del caso e della fatalità, si presenta tale e quale nella morte. Si può morire perché un ubriaco ti travolge con la sua auto: era il disegno divino scritto nel cielo? Si può morire a due anni perché un cane impazzito ti sbrana: disegno divino scritto nel cielo? Si può morire una mattina all'università perché qualcuno per gioco ti spara dall'aula docenti: disegno divino scritto nel cielo? Si può morire perché ti uccide tua madre, si può morire perché ti uccide tuo figlio. [...] Dov'è il disegno divino scritto nel cielo? E' vero, alcune pagine della Bibbia ne parlano, ma la realtà dice un'altra cosa. E' doveroso prenderne atto. Il caso esiste, e può fare male. Il mondo però, come ho ripetuto, non è in balìa del caso, perché è governato dall'impersonale Principio Ordinatore posto in esso dal Dio personale al momento della creazione [qui bisogna dire, per chi il libro non lo ha letto, che nelle pagine precedenti M. spiega perché crede nel Dio personale all'origine del Principio Ordinatore naturale]. Il mondo non è governato da una provvidenza personale, ma è governato. Si tratta di una distinzione essenziale. Chi invece si ostina a mantenere uniti mondo e Dio personale, lo può fare solo a prezzo di omissioni, forzature, aporie oppure ritenendo che è Dio il responsabile del dolore, come si è fatto per secoli mediante il paradigma del dolore colpevole (se soffri, è perché Dio ti castiga) oppure madiante il paradigma del dolore necessario (se soffri, è perché Dio vuole operare la salvezza con la tua sofferenza espiativa). Per chi rifiuta l'idea del dolore come voluto da Dio o come castigo o come espiazione, si impone una nuova visione del mondo. E' la visione del mondo che scaturisce dal dolore innocente [...]. Tale visione del mondo ci dice che veniamo al mondo come ogni altro essere vivente, generati dall'azione della natura, condotti all'essere dall'impersonale sapienza divina all'opera nel cosmo. Si tratta di un processo che la gran parte delle volte produce ordine; ma che talora, a causa del fatto che è impersonale e sempre in divenire, produce anche disordine. Talora, vengono al mondo esseri umani il cui ordine fisiologico è intaccato fin dall'origine, fino a livello genetico, sicché non possono giungere al livello dell'anima razionale, e tanto meno a quello dell'anima spirituale. Un errore della natura ha impedito l'evoluzione della loro energia. (pp. 138-139)
A questo punto M. dice espressamente di rifiutare che persone nate così abbiano il destino del "riciclo cosmico come le piante e gli animali" e di pretendere anche per loro "un futuro di vita personale". Qui adduce i due argomenti che non mi hanno persuaso del tutto, che ho trovato un po' deboli. Ma, come dicevo, non voglio discuterne, per ora. Preferisco riportare un ultimo brano (ancora di matrice balducciana, mi pare) che chiude il capitolo e che mi sembra molto bello, sottolineandone le parti che mi colpiscono di più:
Per giungere alla vera gioia, alla permanente e indistruttibile gioia di vivere, si deve superare se stessi. [...] Il senso spirituale della vita consiste nel giungere a sconfiggere la paura che è dentro di noi, la quale è la conseguenza necessaria della nascita della libertà, quando cioè ci si rende conto di dover fare qualcosa di noi stessi ma non si sa bene che cosa, quando si vede davanti a noi solo una sterminata sequenza di giorni e non si sa come riempirli. La nascita della libertà, che coincide con il distacco dalla rassicurante necessità della natura, produce inevitabilmente un sentimento di vuoto che genera paura. L'horror vacui di cui parlava la fisica antica, anche se (forse) non è più un concetto scientificamente adeguato, di certo descrive alla perfezione una caratteristica dell'anima. Ma questa paura del vuoto, questo timore di fronte alla vita e al suo destino che nasce in ogni uomo con l'apparire della libertà, può essere vinto. Se si lavora bene dentro di sé, lo si vede, lo si domina, lo si supera. E allora si nasce alla gioia, la gioia di essere qui, la gioia che gode del presente, che è giunta al totale distacco da sé e dalla propria ansia di salvezza come ultima auto-affermazione, che celebra il dono della vita sapendo che viene dal Padre e che al Padre ritorna, e che per questo giunge a vivere la morte come affidamento al Padre della propria intimità: "Pater, in manus tuas commendo spiritum meum". Lo scopo della vita è la nascita alla gioia dell'essere, che è la porta dell'eternità, perché chi la vive entra nell'eternità, dove, una volta entrati, non si esce più. L'anima è giunta a casa. (pp. 147-148)
P. S. Nel riportare questi brani mi viene il dubbio che possa aver violato i diritti d'autore. Io li trascrivo come in un diario, dove si annotano le proprie riflessioni. Se le pubblico sul blog è per stimolare la riflessione di chi le legge e per invogliare chi vuole a comprare il libro, il cui acquisto intendo incoraggiare. Tuttavia se l'autore, o chi per lui, ritenesse tutto ciò lesivo della sua opera e dei diritti ad essa annessi, me lo dica per favore e io rimuoverò subito i post in questione.

venerdì 8 agosto 2008

Origine dell'anima

Continuando nella lettura de L'anima e il suo destino di Vito Mancuso, ho trovato altre pagine interessanti che mi hanno fornito altri spunti di riflessione.
Nel capitolo sull'origine dell'anima la tesi del teologo sostanzialmente è (lo dico con parole mie, cioè terra terra) che l'anima non è infusa da Dio al momento del concepimento senza il concorso dei genitori, come vuole la dottrina ufficiale della Chiesa, ma viene generata insieme al corpo con cui costituisce un tutt'uno, non essendo la materia inerte ma espressione dell'energia vitale. In altre parole, se ho ben capito, anche un sasso è sostanzialmente energia (protoni, neutroni, elettroni, ecc.) e perciò ha anch'esso un'anima: l'anima vegetativa; gli animali hanno in più l'anima sensitiva, che sono alla base dei loro istinti: l'appetito, l'istinto all'accoppiamento, ecc.; l'uomo ha entrambe queste anime e in più quella razionale e quella spirituale. Ma tutte queste anime sono già racchiuse nella materia, così come è concepita dopo le acquisizioni della fisica moderna, da Einstein in poi. Queste le parole di Mancuso:
Un essere umano nasce e nascendo, per il fatto stesso di essere vivo, ha l'anima come principio di vita, l'anima vegetativa come le piante, quella che controlla le funzioni vitali in modo inconsapevole come, per esempio, il battito del cuore, il metabolismo, la respirazione. Dopo alcuni giorni si sviluppa in lui, in associazione alla nascita dei primi elementi del sistema nervoso, la base biologica per l'anima sensitiva, la stessa degli animali, quella che controlla altre funzioni di cui invece abbiamo sensazione, come l'appetito o, a partire dall'adolescenza, l'impulso all'accoppiamento. E' risaputo sulla base di dati sperimentali, che in un bambino allevato non da uomini ma da animali l'anima rimane a questo livello sensitivo. [...] E' altresì vero che, per quanto allevati da uomini e in grado di parlare, vi sono esseri umani che non progrediscono molto oltre la vita animale, sono totalmente in balìa dei loro sensi, ora sono fame, ora sonno, ora sesso, [...]. Quando entra in contatto con la cultura mediante la famiglia, la scuola e la società, l'energia attinge il livello superiore della razionalità e, solo a questo punto, si può parlare di anima razionale. [...] Ma esiste un livello superiore, quello dello spirito, della libertà creativa. Si attinge questo livello entrando nella vita della cultura non più esteriormente, come avveniva al livello precedente, ma partecipandone interiormente. La cultura non è più erudizione o prestigio [...] Non è più, neppure, estetismo, quando cioè viene tenuta a distanza dalla vita concreta pensando che tra essa e la morale non vi sia nulla che fare. La cultura ora diviene bisogno intimo dell'anima, vive della solitudine, del colloquio personale con i grandi. Si diventa contemporanei degli scrittori, dei filosofi, dei pittori, dei musicisti, si incontrano ogni giorno le loro anime. [...] Si entra nella comunione degli spiriti. Quando l'anima giunge a questo livello, conosce la vita spirituale, diviene anima spirituale. (pp. 98-100)
Dopo c'è un ulteriore livello, secondo Mancuso, quello della spiritualità volta al bene, che non è altro che la santità. Ma il punto più interessante è che l'anima rimane comunque una, pur in tutte le sue estrinsecazioni, ed è legata alla materia. Non c'è dualismo anima/corpo. Scrive Mancuso:
Lo spirito non è contrapposto alla materia, ma ne è la scaturigine, essendo tutto, sia spirito sia materia, energia. Il livello più alto, più informato, più complesso dell'energia, si chiama spirito. In questa prospettiva l'origine dell'anima spirituale va posta in stretta unione con il corpo e quindi con i genitori, sia nella generazione fisica sia nella generazione spirituale [...]. (p. 104)
La conclusione è che: Ciò che Dio crea, e crea da sempre, è l'energia e le leggi che ne regolano il dinamismo, finalizzato all'apparire di una vita cosciente e libera. Dio vuole una vita cosciente e libera di fronte a sé. [...] la creazione va intesa come posizione delle condizioni che rendono possibile la nascita della libertà, perché l'amore (che è l'essenza di Dio e quindi ciò che Dio vuole, perché egli vuole sempre e solo la sua essenza, come insegna Tommaso d'Aquino) può nascere solo dall'incontro di due libertà.
Ora, queste ultime parole sull'amore sono molto belle, le condivido e sono cose che credo anche io da sempre. Chi mi conosce mi ha sempre sentito sostenere che una coppia funziona solo se entrambi i componenti sono liberi e indipendenti, ossia non dipendono in alcun modo l'uno dall'altro. Tuttavia la distinzione fra le varie estrinsecazioni dell'unica anima pone vari problemi. Il problema dell'embrione, per esempio. Se è solo anima vegetativa, si può dire uomo? Mancuso risolve così:
Occorre precisare che non ci sono diverse anime, ma diversi stadi della medesima anima, della medesima energia che trascende l'espressione corporea. Quindi, nell'anima vegetativa è contenuta in potenza l'anima sensitiva, poi quella razionale, infine quella spirituale. Ne viene che sopprimendo l'embrione o il feto, si sopprime una vita umana con tutta la sua potenzialità, non ci può essere il minimo dubbio al riguardo. E' per questo che sia l'aborto sia la soppressione di embrioni umani precedentemente creati sono eticamente condannabili.
Queste parole lette ieri non mi lasciavano, come vuole l'autore, il "minimo dubbio". Oggi invece il "minimo dubbio" si è insinuato. Non vorrei che questo ragionamento, apparentemente così convincente, fosse in realtà un "gesuitismo". Come la mettiamo se un'analisi dell'embrione o del feto dovesse riscontrare una di quelle malattie genetiche che impediscono lo sviluppo dell'anima e che condannano alla perpetua vita vegetativa? Insomma, se proprio la scienza, così cara a Mancuso, esclude la condizione dello "sviluppo in potenza" delle "altre" anime? O ancora: nel caso di una patologia incorsa in un individuo già nato che lo condanna all'irreversibile condizione di vegetale, come la mettiamo? Si invoca il rispetto dell'uomo che è stato e che non potrà più essere? Mi chiedo: è un argomento sufficiente questo per condannare l'eutanasia?

giovedì 7 agosto 2008

BATMAN, IL CAVALIERE OSCURO

Batman, il cavaliere oscuro di Christopher Nolan ha vinto la scommessa dell’uscita estiva, sbancando il botteghino. Spiace dirlo ma la curiosità intorno al film, tale da convincere migliaia di spettatori a chiudersi nelle sale cinematografiche magari rinunciando alla passeggiata serale con gelato incluso, è stata amplificata dalla morte di uno dei protagonisti, Heath Ledger, morto poco dopo le riprese, pare per overdose. Spiace anche, ma non stupisce, anzi si può dire che era inevitabile, che la produzione abbia cavalcato l’onda dell’emozione del pubblico per la prematura scomparsa di uno degli attori giovani più promettenti del panorama hollywoodiano, incentrando il battage pubblicitario sul personaggio non tanto di Batman quanto di Joker, impersonato appunto da Ledger. E già si parla di Oscar alla memoria…
In effetti l’interpretazione maiuscola di Ledger è destinata a rimanere nella storia del cinema. Il suo Joker non fa rimpiangere il precedente illustre del Joker di Jack Nicholson. Non lo fa rimpiangere perché non pretende di imitarlo, pur conservando tutti i tratti caratteristici che sono quelli del personaggio del fumetto, ormai quarantennale, di Bob Kane. In particolare, proprio la figura dell’antagonista in questo secondo film di Nolan (che aveva già diretto Batman begins) consente di cogliere l’evoluzione delle pellicole dedicate a Batman, che negli anni hanno progressivamente perso il loro carattere fumettistico, per assumere i connotati più realistici del film d’azione moderno, ricco di mirabolanti effetti speciali. L’uso del sistema Imax consente inoltre di amplificare la spettacolarità delle immagini, allargando il fotogramma tradizionale da 35 mm fino a dieci volte, in modo da offrire allo spettatore la visione nitida di molti particolari in più, che altrimenti non si coglierebbero. Insomma, la qualità della visione e del suono è la massima possibile per la tecnologia attuale. Peccato che non tutte le sale cinematografiche italiane abbiano schermi sufficientemente grandi e sale sufficientemente attrezzate per far apprezzare questi particolari!
Tornando a Joker, Ledger gli ha fatto perdere il carattere fumettistico della straordinaria maschera di Nicholson e gli ha fatto assumere i connotati del “cattivo moderno”, a-morale, che colpisce a caso, senza altro motivo che quello di fare più male possibile. Il personaggio del cattivo nei film di oggi non ha più un codice di comportamento, ovviamente criminale, come il fuorilegge dei vecchi film western, inscritto ancora nel codice dei duelli, delle taglie, ecc.; o il mafioso vecchio stampo, come ad esempio il King Banny interpretato da Gassman in Sleepers, tanto per fare un esempio. Il cattivo di oggi colpisce a caso, senza un movente particolare, o meglio, senza una vittima particolare. Nel suo uccidere non c’è niente di personale. Non cerca ricchezza o potere. Non vuole dominare il mondo come il capo della Spectre. Il cattivo del cinema di oggi porta sul grande schermo il criminale che un giorno apre la finestra e spara sulla gente che si trova di lì a passare, o entra in una scuola e fa fuoco su ogni cosa o persona che incontra. In altre parole, porta in scena il male assoluto. Il terrore. Si pensi, ad esempio, al recente Non è un paese per vecchi, dei fratelli Coen, in cui viene descritto il tramonto di un sistema di valori, quello dello sceriffo, non a caso prossimo alla pensione, e l’alba di un nuovo mondo, dove la violenza è espressione della nuova religione del caos. Anton Chigurh, interpretato nel film dall'ottimo Javier Bardem, ha come unico dio se stesso, e decide della vita o della morte in base al responso di una monetina. Alessandra Levantesi ha colto nel segno quando ha visto in Joker il Diavolo (Il Joker? Il Diavolo, probabilmente, su La Stampa del 22 luglio 2008). Proprio così: il male per il male. È questo che terrorizza oggi. Verrebbe fin troppo facile trovare un riferimento al terrorismo post 11 settembre, ma non sarebbe corretto perché il terrorismo di matrice islamica ha una sua finalità ideologica ben precisa. Qui si tratta invece del terrore che nasce dalla progressiva perdita dei valori della nostra società, in primis quello della vita umana, continuamente vilipesa, violentata, nell’indifferenza dell’egoismo quotidiano. Un’involuzione culturale che non è nata oggi e che dal cinema è stata già raccontata e in qualche modo profetizzata nei suoi esiti attuali dall’Arancia meccanica di Stanley Kubrik del 1971.
È da notare infine che ad opporsi al male assoluto non c’è il bene assoluto. Anche il cavaliere Batman deve avere una certa dose di oscurità. E lo stesso vale per il personaggio del procuratore Harvey Dent, interpretato da Aaron Eckhart, che è destinato a palesare inevitabilmente due facce. Il “buono” ha sempre il suo doppio, come nell’ultimo Spiderman. Quasi che il cinema non riesca più a pensare a un cavaliere senza paura che sia anche senza macchia.

mercoledì 6 agosto 2008

Budelli

Pubblico questo articolo della Nuova Sardegna, ripreso su scala nazionale da Repubblica. L'unica cosa che posso dire è "che rabbia!", anche pensando a Il deserto rosso di Antonioni...

«Spiaggia rosa invasa da rifiuti e turisti»
di Andrea Nieddu

Budelli, protesta l'associazione Kronos. Il presidente del Parco: la proprietà è di privati

LA MADDALENA. Per gli ambientalisti della Kronos Sardegna, l'associazione di tutela guidata da Marco Buioni, l'invasione quotidiana della spiaggia rosa di Budelli da parte di centinaia di turisti «e' una situazione ai limiti della indecenza: rifiuti di ogni genere abbandonati sull'arenile, feste, cene e aperitivi sulla spiaggia, oltre ad una balneazione fuori da ogni controllo». L'attacco frontale arriva con un comunicato dell'associazione, che sostiene d'avere documentazione fotografica a sostegno di quanto afferma. «Un Parco che non tutela nulla, senza regolamenti e leggi. Secondo noi la spiaggia rosa non gode di alcuna tutela e conservazione, è una spiaggia come tutte le altre dell'arcipelago della Maddalena - dice il documento inviato alla presidenza del Consiglio e ai ministri competenti -. Questo non può essere accettato, soprattutto da parte di chi, come il Parco, ha come simbolo la spiaggia rosa. Se è così il presidente dell'Ente Parco e i suoi consiglieri vanno allontanati, con il loro operato sono un esempio di cattiva gestione dei beni dello Stato». La risposta di Giuseppe Bonanno, presidente del Parco non si è fatta attendere. «L'isola di Budelli è in gran parte proprietà privata, conseguentemente qualsivoglia attività di vigilanza all'interno di aree non appartenenti al demanio viene esercitata dal guardiano dell'isola. Per quanto riguarda le aree marine, nel periodo estivo è presente personale dell'Ente Parco, mentre le sanzioni devono essere elevate dalle forze dell'ordine, ovvero la Capitaneria di Porto, che svolge un prezioso ausilio nel monitoraggio del vastissimo territorio dell'Arcipelago. Per quanto concerne la sua accessibilità, è stato chiesto al Ministero dell'Ambiente un parere, ed emanata un'ordinanza specifica. Inoltre, l'Ente Parco è impegnato con la proprietà dell'isola di Budelli per trovare meccanismi di fruizione controllata dell'isola, anche in sintonia col Ministero dell'Ambiente. Quando Marco Buioni afferma che non esiste alcun regolamento del Parco, occorre precisare che i regolamenti adottati dal precedente Consiglio direttivo sono stati bocciati dal Ministero dell'Ambiente, così come le deliberazioni riguardanti il piano per il Parco, l'unico strumento che consentirà di disciplinare in modo organico l'organizzazione e la programmazione del territorio. Il lavoro svolto in passato non è in alcun modo disconosciuto dall'attuale Consiglio Direttivo. L'Ente Parco è sempre stato aperto e disponibile alle critiche costruttive, ma rigettano interventi di speculazione politica. L'attenzione del Parco è rivolta a smascherare eventuali comportamenti che implicano gravi danni all'ambiente e a fare chiarezza sulle reali responsabilità, in piena sinergia con le Forze dell'Ordine».

(ho visto che su youtube ci sono altri spezzoni di questo film, quindi non penso di violare il copyright, nel caso qualcuno ritenga di si mi informi subito e io lo tolgo immediatamente)

martedì 5 agosto 2008

L'anima e il suo destino di Vito Mancuso

L'ho comprato diversi mesi fa, forse è passato addirittura un anno. Aspettavo il momento giusto per leggerlo e mi prefiguravo l'estate, che consente di dedicare più tempo alla lettura e alla meditazione. Devo dire che mi aspettavo molto da questo libro. L'ho appena iniziato, ne ho letto solo due capitoli, eppure mi sento già di dire che non ha deluso le mie attese. L'approccio con il suo autore, Vito Mancuso, docente di Teologia moderna e contemporanea presso la Facoltà di Filosofia dell’Università San Raffaele di Milano, all'inizio non è stato positivo. Lo sentii parlare a Firenze in occasione della presentazione di un altro libro, molto discusso, Io, prete gay di Marco Politi. Il discorso di Mancuso sull'omosessualità non mi piacque per niente e mi sembra di ricordare che sostenne la tesi dell'omosessualità contro natura, che io non condivido. Ma forse ricordo male, sono passati alcuni anni. Ricordo, questo sì, che l'impressione non fu positiva. Quando però è uscito L'anima e il suo destino ho seguito il successo mediatico del libro proprio perché conoscevo l'autore. Dalle varie interviste del teologo, lette sui giornali o viste in tv, ho ricavato un'impressione completamente diversa da quella che mi ero fatto inizialmente. Ecco perché la mia curiosità è aumentata e ho voluto comprare il libro.

Due capitoli non sono certo sufficienti per recensirlo, ma qualcosa la voglio dire lo stesso. Già dalle prime pagine si capisce che è un libro coraggioso, e Dio solo sa quanto ci sia bisogno di teologi coraggiosi al giorno d'oggi! Intendo teologi disposti a rischiare, affrontando argomenti scomodi ma che interpellano con urgenza le coscienze di tutti, cristiani e non. Mancuso è uno di questi, al punto da dichiarare in limine di voler ridiscutere alcune dottrine tradizionali (precisamente: 1) la creazione dell'anima umana da parte di Dio senza nessun concorso dei genitori; 2) il peccato originale; 3) la risurrezione della carne; 4) la dannazione eterna nell'Inferno)! Musica per le mie orecchie!!! Ecco alcune affermazioni che danno un esempio di quello che ho definito coraggio:

Oggi in teologia, soprattutto in Italia, vige imperante il principio di autorità, secondo cui è così perché "sta scritto così", sta scritto nella Bibbia, o nei concili, o nelle encicliche papali. Oggi in teologia, soprattutto in Italia, per lo più non si pensa, si obbedisce, nel senso che anche quando si pensa, spesso lo si fa come vuole l'autorità, per fondare, spiegare e difendere ciò che già è stato stabilito dall'autorità. (p. 32)

Troppo spesso nella Chiesa si ricorre al principio di autorità, dicendo che è così perché è stato deciso così. (p. 33)

A proposito dell'assistenza alla Chiesa da parte dello Spirito santo si usa ripetere, per esempio, che è lui a scegliere il papa in conclave: a giudicare dalla storia dei papi, per molti secoli lo Spirito santo doveva essere abbastanza distratto! Il fatto è che non esiste per nessuno una polizza celeste che metta al riparo dagli errori e dalle imperfezioni. Alla luce di ciò, ritengo teologicamente legittimo condurre una critica alla dottrina della Chiesa anche in quelle sue formulazioni che sono state dichiarate dogmi di fede. (p. 30)

Ora, per chi come me professa la sua "fede radicata sul dubbio", cioè come un credere nonostante faccia di tutto per non credere, un rimettere sempre tutto in discussione per lasciarsi riconvincere ogni volta dalla verità (uso volutamente questa parolona, sebbene mi spaventa sempre molto), le affermazioni di Mancuso sono intellettualmente seducenti. In più Mancuso è laureato alla Laurenziana, dove feci un colloquio con il pro-rettore di allora, l'attuale vescovo di Oristano, S. E. Mons. Ignazio Sanna (http://www.ignaziosanna.com/), per vedere se c'era la possibilità di ottenere una borsa di studio e intraprendere così lo studio della teologia che da sempre mi appassiona. Poi non se ne fece niente e il mio sogno rimase nel cassetto. Perciò Mancuso, teologo laico, si può dire che ha realizzato il mio sogno! E, probabilmente, il suo libro è il libro che avrei voluto scrivere io...

La tesi de L'anima e il suo destino, almeno fino al punto in cui sono arrivato nella lettura, davvero interessante, è che la scoperta einsteiniana della materia come energia, non solo non va contro il dettato biblico ma verifica l'incipit giovanneo In principio era il Logos (erroneamente tradotto come Verbo), cioè "in principio era la relazione". Qui il discorso si fa lungo, perciò non vado oltre e lascio che ciascuno, se vuole, soddisfi la sua curiosità leggendo il libro. Personalmente mi richiama alla memoria lo studio fatto in Fuci del Vangelo di Giovanni: in quell'occasione ci soffermammo molto sulla bellezza della volontà originaria di Dio di mettersi in relazione.

Detto questo, anche solo dalla lettura dei primi capitoli si può avvertire, qua e là, un certo azzardo speculativo, come se a volte l'autore si fosse lasciato trascinare dall'entusiasmo un po' ingenuo della sua giovane età. Da ciò si capiscono le riserve, espresse però con benevolenza paterna, del cardinal Martini nella prefazione al testo. Alcuni passaggi sembrano richiedere una maggiore riflessione, forse una maggiore esperienza o "saggezza", intendendo con quest'ultimo termine una meditazione allenata nel tempo, come quella degli anziani (e penso appunto al cardinal Martini). Tuttavia è un peccato veniale che si perdona volentieri perché è il prezzo che si paga al coraggio della gioventù a cui prima accennavo.

Per fare un esempio, riporto un brano alle pagine 72-73, dedicate all'amore:

Proprio perché l'essere è relazione, è così importante l'amore. [...] La coppia umana è qualcosa di più della somma di un atomo più un altro atomo, la coppia non è due atomi. C'è un salto nell'essere, una sua differente e più profonda configurazione, la quale porta il singolo a non essere più atomo ma a sussistere diversamente ponendo il suo centro vitale (il suo nucleo) fuori di sé. Non però semplicemente nell'altro, perché in questo caso l'amore creerebbe dipendenza, assoggettamento, asimmetria, come è il caso di quella forma immatura di amore che è l'innamoramento. L'amore maturo conduce il singolo a sussistere fuori di sé, ma non nell'altro, bensì in qualcosa di più alto di sé e dell'altro e che si potrebbe esprimere come idea del matrimonio, della relazione perfetta ed eterna.

Ecco, questo brano, che non riporto per intero perché troppo lungo, non convince del tutto. O meglio, sono d'accordo con quanto dice Mancuso, tuttavia il riferimento al matrimonio andrebbe a mio avviso argomentato meglio. Dopo il brano citato, l'autore aggiunge qualcosa, ma lo avverto come insufficiente a spiegare bene cosa intendeva chiamando in causa il sacramento del matrimonio. Forse è perché non sono sposato e quindi non posso capire del tutto... O forse è perché il passo in questione risente dell'insegnamento di Padre Balducci (chissà se inconsapevole, visto che l'autore non lo cita), che però si riferiva all'amore verso il prossimo, quindi in una accezione più ampia di quella, bella quanto si vuole ma ristretta, del matrimonio. Anzi proprio il riferimento esplicito a Balducci avrebbe a mio avviso illuminato il senso di quello che Mancuso probabilmente voleva dire, cioè che nella relazione matrimoniale non ci si deve chiudere nel rapporto di coppia, che rischia di diventare asfittico, ma aprire la coppia alla società, al mondo...


Tra parentesi, lo dico come poscritto, queste parole così belle di Balducci, che ho subito fatto mie il giorno che le ho sentite, mi sembrano anche indicare una via di uscita alla depressione. La psicologa di casa non me ne vorrà ma credo che in qualche caso il depresso viva un richiesta pressante di amore non esaudita, il cui frutto è una frustrazione continua. Così, ad esempio, è nel lutto, quando viene a mancare una persona che dava amore e che non lo può più dare. Questa mancanza credo la si possa colmare solo cambiando prospettiva: amare prima di chiedere di essere amati. Cioè, appunto, mettendo il centro di sé fuori di sé.

E qui casca a fagiolo la citazione che Mancuso fa dei Fratelli Karamazov, che, guarda caso, ho finito di leggere pochi giorni fa, e mi sembra perfetta. Si tratta del passo che riporta il testamento spirituale dello starec Zosima:

Amate tutta la creazione divina, nel suo insieme e in ogni granello di sabbia. Amate ogni fogliolina, ogni raggio di sole! Amate gli animali, amate le piante, amate ogni cosa! Se amerai tutte le cose, coglierai in esse il mistero di Dio. Coltolo una volta, comincerai a conoscerlo senza posa ogni giorno di più e più profondamente. E finirai per amare tutto il mondo di un amore ormai totale e universale.

lunedì 4 agosto 2008

8 x 1000

Forse qualcuno penserà che ce l'ho con la Chiesa se pubblico questo articolo sul blog. Non è così. Semplicemente l'ho trovato interessante e ho deciso di postarlo per amplificarne la fruizione anche a chi non ha letto La Stampa, dove oggi è stato pubblicato.


4/8/2008 (7:45) - L'INCHIESTA
8x1000, più soldi al Molise che al Terzo Mondo

Del denaro lasciato dai contribuenti allo stato, in Asia e Africa sono arrivate briciole. E la Chiesa spende in carità solo il 20%
RAPHAEL ZANOTTI

La televisione, dove l’unico spot circolante è quello della Chiesa Cattolica, ci ha abituati a pensare all’8x1000 come a una magnifica occasione per aiutare i derelitti della Terra. Nelle pubblicità compaiono bambini di Paesi poveri, fame e miseria. Far tornare un sorriso su quei volti emaciati è facile: basta apporre una firma sulla dichiarazione dei redditi e si destina una quota dell’Irpef a quelle popolazioni in difficoltà. Una bella favola. Peccato che resti, appunto, una favola. La Chiesa Cattolica destina solo il 20% di quello che riceve con l’8x1000 per fare della carità (fonte Cei). Il resto lo incamera. Le istituzioni laiche non fanno meglio. Tra il 2001 e il 2006 lo Stato italiano, attraverso l’8x1000, ha destinato all’Africa 9 milioni di euro per combattere la piaga della fame: un quinto di quanto ha dato per la regione Lazio (43 milioni). E pensare che il Continente Nero, con i suoi oltre 800 milioni di abitanti, ha preso più degli altri. All’Asia, 4 miliardi di individui, è arrivato un milione e mezzo: il prezzo di una villa in Sardegna. O se si preferisce un quarto di quanto il governo ha stanziato - prelevandolo dallo stesso fondo - al solo Molise (7,2 milioni di euro). Seguono l’America Centrale con 610mila euro e quella Meridionale con 560mila, poco più e poco meno di 10mila euro all’anno. E sarebbe andata ancora peggio se nel 2006 tutta la quota statale, ovvero 4,7 milioni di euro, non fosse stata completamente destinata a progetti contro la fame nel mondo. Evidentemente la beneficenza va di moda solo negli spot. Secondo la sezione di controllo sulla gestione delle amministrazioni dello Stato della Corte dei Conti dal 2001 al 2006 lo Stato italiano ha elargito 272 milioni di euro grazie all’8x1000 degli italiani. Ma se si vanno a guardare le aree di intervento, le differenze sono enormi: 179 milioni (il 66%) sono serviti per finanziare progetti di conservazione di beni culturali; 59 milioni (il 22%) per affrontare calamità naturali; 22 milioni (l’8%) per l’assistenza ai rifugiati; solo il 4% è andato a progetti contro la fame nel mondo. Una scelta difficile da spiegare, a meno che non si entri nel dettaglio e s’intuiscano alcuni meccanismi che governano la classe politica italiana. Se si scorrono i progetti finanziati nei sei anni presi in esame, si scopre che il 40% circa ha riguardato il restauro di chiese, abbazie, conventi e parrocchie. Un aspetto che non è sfuggito alla Corte che, in adunanza pubblica, ha chiesto conto alla rappresentante del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali di tanti finanziamenti a enti religiosi. La risposta è stata che il patrimonio artistico, culturale, storico e architettonico degli enti religiosi in Italia è di grande eccellenza. Vero, ma la Corte non ha potuto che richiamare alle norme che regolano la distribuzione dell’8x1000 e che parlano di bilanciamento nella scelta dei progetti e di urgenza degli stessi. La disparità di trattamento, invece, è evidente. Tanto più se si tiene conto di altri dati. I numeri parlano da soli: i 315 milioni di euro attribuiti allo Stato dal 2001 al 2007 impallidiscono di fronte ai 6.546 milioni ricevuti dalla Chiesa Cattolica. È il ritorno dello spot televisivo? I creativi sono bravi, ma non così tanto. A meno che non si voglia annoverare in questa categoria (e il personaggio di sicuro lo merita) anche l’attuale ministro delle Finanze Giulio Tremonti. È sua l’idea del meccanismo di redistribuzione che tanti mal di pancia fa venire ai laici che siedono in Parlamento ma non solo. Non tutti gli italiani dichiarano a chi deve andare il loro 8x1000. Solo il 40% lo fa scegliendo tra Stato, Chiesa Cattolica, Valdesi, Luterani, Comunità ebraica, Avventisti o Assembleari. E il restante 60%? In altri Paesi, dove la donazione deve rispecchiare una volontà esplicita del contribuente, questa quota rimane allo Stato e quindi a disposizione di tutti. In Italia viene invece ridistribuita secondo le proporzioni del 40%, dove i cattolici vanno forte. Alla fine circa il 90% dell’intero gettito va alla Chiesa. Si tratta di quasi un miliardo di euro all’anno, 991 milioni nel 2007. E pensare che quando nacque l’8x1000, la sua funzione era quella di sostituire la congrua per il pagamento dello stipendio ai sacerdoti. Lo Stato era anche disposto a mettere di tasca propria il denaro necessario per arrivare alla cifra di 407 milioni di euro nel caso i fondi fossero risultati insufficienti. Oggi gli stipendi dei preti rappresentano un terzo dell’8x1000 che va alla Chiesa, ma nessuno ha mai osato mettere in discussione la cifra, nemmeno la commissione bilaterale italo-vaticana che aveva il compito di rivedere le quote nel caso il gettito fosse stato eccessivo. Del fiume di denaro che va alla Chiesa Cattolica, la Cei destina il 20% per opere caritatevoli, il 35% per pagare gli stipendi dei 38mila sacerdoti italiani e il resto, circa mezzo miliardo di euro, viene ufficialmente utilizzato per non meglio precisate «esigenze di culto», «catechesi» e «gestione del patrimonio immobiliare». Forse anche per questo lo slogan scelto dai Valdesi per un loro spot radiofonico di qualche tempo fa era: «Molte scuole, nessuna chiesa». La pubblicità in questione è stata vittima di una sorta di censura: per mesi non è stata mandata in onda. Non è l’unica disparità che lamentano le altre confessioni religiose. Diversamente dai cattolici, infatti, Valdesi, Luterani, Comunità Ebraiche, Assembleari e Avventisti ottengono i fondi (volontariamente sottoscritti dagli italiani) solo dopo tre anni. Alla Cei, invece, lo Stato versa un anticipo del 90% sull’introito dell’anno successivo. Le vie del Signore, in alcuni casi, si fanno scorciatoie. Ma le disparità tra religioni diverse non sono le uniche che si possono riscontrare tra i finanziamenti statali dell’8x1000. Nonostante i criteri di scelta dicano che, per finanziare i progetti, è necessario tener conto di vari fattori, tra cui anche quello della maggiore o minore popolazione presente sul territorio su cui insiste il progetto, ci sono regioni che paiono baciate dalla fortuna. In sei anni all’Abruzzo sono andati 13 milioni di euro, quanto la Sicilia e la Toscana, e quattro volte l’Umbria (3 milioni di euro). E che dire delle Marche (22 milioni di euro), che ha ricevuto più del doppio di una regione come il Piemonte? Capire perché questo accade è praticamente impossibile. Il Dipartimento per il coordinamento amministrativo della Presidenza del Consiglio, che si occupa della distribuzione dei fondi, dichiara di aver tenuto conto dei criteri scelti dalla Presidenza, ma anche «della commissione tecnica di valutazione», dei «pareri non vincolanti delle Camere», di imprecisate «indicazioni arrivate da autorità politiche» e dei suggerimenti delle «commissioni parlamentari». Come dire: di tutti. Il risultato è stata la solita guerra tra lobby, che però ha provocato un effetto perverso: l’enorme frammentazione dei finanziamenti. Se ognuno vuole la sua fetta di torta, per quanto piccola, l’esito è scontato: l’8x1000 si perde in una serie infinita di rigagnoli. Il 78% dei finanziamenti erogati, ovvero tre su quattro, è inferiore a 500.000 euro. Quasi la metà (43,22%) è compreso tra i 100 e i 500 mila euro. Chi dovrebbe evitare tutto questo è la Presidenza del Consiglio. Per legge dovrebbe essere il filtro che dà unitarietà e razionalità agli interventi, ma non accade. La Corte rileva che i ministeri si rivolgono direttamente al dicastero delle Finanze per i progetti. Questo ha un ulteriore conseguenza: se si elimina la responsabilità della Presidenza del consiglio, chi controlla gli esiti dei lavori? Il regolamento stabilisce che, passati 21 mesi, se questi non sono iniziati, il finanziamento viene revocato. Sarebbe dovuto accadere per esempio per la Chiesa della Martorana di Palermo, per il Complesso di Santa Margherita Nuova in Procida o per la Chiesa di santa Prudenziana a Roma. Non è avvenuto. Di fronte a questi risultati non stupisce la disaffezione dei cittadini. Nel 2004 il 10,28% dei contribuenti aveva affidato il suo 8x1000 allo Stato. La percentuale è scesa all’8,65% nel 2005, all’8,38% nel 2006 e al 7,74% nel 2007. Forse avranno contribuito le leggi che in questi anni hanno decurtato la quota statale senza tener minimamente conto delle finalità per cui era stato istituito l’8x1000. Nel 2001 sono stati prelevati 77 milioni di euro per finanziare la proroga della missione dei militari italiani in Albania e nel 2004 il governo Berlusconi ha deciso una decurtazione di 80 milioni di euro anche negli anni successivi per sostenere la missione italiana in Iraq. Le decurtazioni dal 2001 al 2007 sono ammontate a 353 milioni di euro, più dei 315 milioni rimasti nel fondo 8x1000. Siamo lontani anni luce dai bambini dello spot in tv.

Aggiungo alcuni dati vecchi (del 2001, e quindi da aggiornare) che mi fecero riflettere quando ne venni a conoscenza, e che non credo siano cambiati di molto:


1) per soddisfare il fabbisogno di acqua e infrastrutture nel mondo sarebbero necessari 9 miliardi di dollari (ripeto: dati del 2001); il consumo annuo di gelati in Europa è di 11 miliardi di dollari.


2) per soddisfare le esigenze di salute di base nel mondo occorrerebbero 13 miliardi di dollari; la spesa annua in cosmetici nei soli Usa è di 8 miliardi di dollari.

Si sa, sono un inguaribile idealista. Ma, secondo voi, non sarebbe ora di riconsiderare i nostri consumi alla luce della situazione di povertà mondiale?