sabato 9 agosto 2008

L'immortalità dell'anima

Arrivato al capitolo sull'immortalità dell'anima, Mancuso affronta il tema spinoso dell'handicap. Nel suo ragionamento che cerca di seguire l'idea dell'evoluzione naturale nel senso della vita, di un sempre maggiore ordine della vita, grazie a un Principio Ordinatore impersonale (alla cui origine c'è però il Dio personale), ecco che l'handicap diviene un'imperfezione nel processo naturale, un errore. Mancuso però si guarda bene da fermarsi a questo e anzi si preoccupa di rimarcare la dignità delle persone handicappate, agli occhi di Dio e del mondo. Tuttavia i suoi argomenti per spiegare che ne sarà di queste persone li ho trovati un po' deboli dal punto di vista razionale.
Ora, sarebbe troppo lungo discuterli qui. Non li riporto neanche. Mi riservo di farlo nei prossimi giorni. Mi limito a trascrivere il passo sulla visione del mondo a partire dal dolore innocente:
Non c'è alcun disegno divino intelligente su di noi, non c'è alcuna vocazione se non quella della libertà. So bene che vi sono parole bibliche che invece affermano l'esistenza di un disegno e di una vocazione, ma ve ne sono altre che la negano; di parole, la Bibbia ne ha tante e tutto dipende dall'evidenziatore che abbiamo nella testa mentre la leggiamo. Per chi ama la verità, per chi vuole la verità e solo la verità, non c'è nulla di più sacro dell'esperienza, e l'esperienza ci attesta che ogni giorno vengono al mondo oltre 8000 bambini gravemente handicappati, di cui 76 in Italia. Se il mondo fosse come lo descrive la dottrina tradizionale sulla base di alcune pagine della Bibbia, se ciascuno di noi fosse plasmato direttamente dalle Sue mani e dotato di una particolare missione da compiere, allora inevitabilmente, per citare ancora Teilhard de Chardin, "avremmo qualche difficoltà a giustificare, dentro noi stessi, la presenza di esseri umani dolorosamente bloccati nelle loro possibilità e nel loro slancio". [...] E ciò che l'handicap dice della nascita, cioè l'esistenza del caso e della fatalità, si presenta tale e quale nella morte. Si può morire perché un ubriaco ti travolge con la sua auto: era il disegno divino scritto nel cielo? Si può morire a due anni perché un cane impazzito ti sbrana: disegno divino scritto nel cielo? Si può morire una mattina all'università perché qualcuno per gioco ti spara dall'aula docenti: disegno divino scritto nel cielo? Si può morire perché ti uccide tua madre, si può morire perché ti uccide tuo figlio. [...] Dov'è il disegno divino scritto nel cielo? E' vero, alcune pagine della Bibbia ne parlano, ma la realtà dice un'altra cosa. E' doveroso prenderne atto. Il caso esiste, e può fare male. Il mondo però, come ho ripetuto, non è in balìa del caso, perché è governato dall'impersonale Principio Ordinatore posto in esso dal Dio personale al momento della creazione [qui bisogna dire, per chi il libro non lo ha letto, che nelle pagine precedenti M. spiega perché crede nel Dio personale all'origine del Principio Ordinatore naturale]. Il mondo non è governato da una provvidenza personale, ma è governato. Si tratta di una distinzione essenziale. Chi invece si ostina a mantenere uniti mondo e Dio personale, lo può fare solo a prezzo di omissioni, forzature, aporie oppure ritenendo che è Dio il responsabile del dolore, come si è fatto per secoli mediante il paradigma del dolore colpevole (se soffri, è perché Dio ti castiga) oppure madiante il paradigma del dolore necessario (se soffri, è perché Dio vuole operare la salvezza con la tua sofferenza espiativa). Per chi rifiuta l'idea del dolore come voluto da Dio o come castigo o come espiazione, si impone una nuova visione del mondo. E' la visione del mondo che scaturisce dal dolore innocente [...]. Tale visione del mondo ci dice che veniamo al mondo come ogni altro essere vivente, generati dall'azione della natura, condotti all'essere dall'impersonale sapienza divina all'opera nel cosmo. Si tratta di un processo che la gran parte delle volte produce ordine; ma che talora, a causa del fatto che è impersonale e sempre in divenire, produce anche disordine. Talora, vengono al mondo esseri umani il cui ordine fisiologico è intaccato fin dall'origine, fino a livello genetico, sicché non possono giungere al livello dell'anima razionale, e tanto meno a quello dell'anima spirituale. Un errore della natura ha impedito l'evoluzione della loro energia. (pp. 138-139)
A questo punto M. dice espressamente di rifiutare che persone nate così abbiano il destino del "riciclo cosmico come le piante e gli animali" e di pretendere anche per loro "un futuro di vita personale". Qui adduce i due argomenti che non mi hanno persuaso del tutto, che ho trovato un po' deboli. Ma, come dicevo, non voglio discuterne, per ora. Preferisco riportare un ultimo brano (ancora di matrice balducciana, mi pare) che chiude il capitolo e che mi sembra molto bello, sottolineandone le parti che mi colpiscono di più:
Per giungere alla vera gioia, alla permanente e indistruttibile gioia di vivere, si deve superare se stessi. [...] Il senso spirituale della vita consiste nel giungere a sconfiggere la paura che è dentro di noi, la quale è la conseguenza necessaria della nascita della libertà, quando cioè ci si rende conto di dover fare qualcosa di noi stessi ma non si sa bene che cosa, quando si vede davanti a noi solo una sterminata sequenza di giorni e non si sa come riempirli. La nascita della libertà, che coincide con il distacco dalla rassicurante necessità della natura, produce inevitabilmente un sentimento di vuoto che genera paura. L'horror vacui di cui parlava la fisica antica, anche se (forse) non è più un concetto scientificamente adeguato, di certo descrive alla perfezione una caratteristica dell'anima. Ma questa paura del vuoto, questo timore di fronte alla vita e al suo destino che nasce in ogni uomo con l'apparire della libertà, può essere vinto. Se si lavora bene dentro di sé, lo si vede, lo si domina, lo si supera. E allora si nasce alla gioia, la gioia di essere qui, la gioia che gode del presente, che è giunta al totale distacco da sé e dalla propria ansia di salvezza come ultima auto-affermazione, che celebra il dono della vita sapendo che viene dal Padre e che al Padre ritorna, e che per questo giunge a vivere la morte come affidamento al Padre della propria intimità: "Pater, in manus tuas commendo spiritum meum". Lo scopo della vita è la nascita alla gioia dell'essere, che è la porta dell'eternità, perché chi la vive entra nell'eternità, dove, una volta entrati, non si esce più. L'anima è giunta a casa. (pp. 147-148)
P. S. Nel riportare questi brani mi viene il dubbio che possa aver violato i diritti d'autore. Io li trascrivo come in un diario, dove si annotano le proprie riflessioni. Se le pubblico sul blog è per stimolare la riflessione di chi le legge e per invogliare chi vuole a comprare il libro, il cui acquisto intendo incoraggiare. Tuttavia se l'autore, o chi per lui, ritenesse tutto ciò lesivo della sua opera e dei diritti ad essa annessi, me lo dica per favore e io rimuoverò subito i post in questione.

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