martedì 5 agosto 2008

L'anima e il suo destino di Vito Mancuso

L'ho comprato diversi mesi fa, forse è passato addirittura un anno. Aspettavo il momento giusto per leggerlo e mi prefiguravo l'estate, che consente di dedicare più tempo alla lettura e alla meditazione. Devo dire che mi aspettavo molto da questo libro. L'ho appena iniziato, ne ho letto solo due capitoli, eppure mi sento già di dire che non ha deluso le mie attese. L'approccio con il suo autore, Vito Mancuso, docente di Teologia moderna e contemporanea presso la Facoltà di Filosofia dell’Università San Raffaele di Milano, all'inizio non è stato positivo. Lo sentii parlare a Firenze in occasione della presentazione di un altro libro, molto discusso, Io, prete gay di Marco Politi. Il discorso di Mancuso sull'omosessualità non mi piacque per niente e mi sembra di ricordare che sostenne la tesi dell'omosessualità contro natura, che io non condivido. Ma forse ricordo male, sono passati alcuni anni. Ricordo, questo sì, che l'impressione non fu positiva. Quando però è uscito L'anima e il suo destino ho seguito il successo mediatico del libro proprio perché conoscevo l'autore. Dalle varie interviste del teologo, lette sui giornali o viste in tv, ho ricavato un'impressione completamente diversa da quella che mi ero fatto inizialmente. Ecco perché la mia curiosità è aumentata e ho voluto comprare il libro.

Due capitoli non sono certo sufficienti per recensirlo, ma qualcosa la voglio dire lo stesso. Già dalle prime pagine si capisce che è un libro coraggioso, e Dio solo sa quanto ci sia bisogno di teologi coraggiosi al giorno d'oggi! Intendo teologi disposti a rischiare, affrontando argomenti scomodi ma che interpellano con urgenza le coscienze di tutti, cristiani e non. Mancuso è uno di questi, al punto da dichiarare in limine di voler ridiscutere alcune dottrine tradizionali (precisamente: 1) la creazione dell'anima umana da parte di Dio senza nessun concorso dei genitori; 2) il peccato originale; 3) la risurrezione della carne; 4) la dannazione eterna nell'Inferno)! Musica per le mie orecchie!!! Ecco alcune affermazioni che danno un esempio di quello che ho definito coraggio:

Oggi in teologia, soprattutto in Italia, vige imperante il principio di autorità, secondo cui è così perché "sta scritto così", sta scritto nella Bibbia, o nei concili, o nelle encicliche papali. Oggi in teologia, soprattutto in Italia, per lo più non si pensa, si obbedisce, nel senso che anche quando si pensa, spesso lo si fa come vuole l'autorità, per fondare, spiegare e difendere ciò che già è stato stabilito dall'autorità. (p. 32)

Troppo spesso nella Chiesa si ricorre al principio di autorità, dicendo che è così perché è stato deciso così. (p. 33)

A proposito dell'assistenza alla Chiesa da parte dello Spirito santo si usa ripetere, per esempio, che è lui a scegliere il papa in conclave: a giudicare dalla storia dei papi, per molti secoli lo Spirito santo doveva essere abbastanza distratto! Il fatto è che non esiste per nessuno una polizza celeste che metta al riparo dagli errori e dalle imperfezioni. Alla luce di ciò, ritengo teologicamente legittimo condurre una critica alla dottrina della Chiesa anche in quelle sue formulazioni che sono state dichiarate dogmi di fede. (p. 30)

Ora, per chi come me professa la sua "fede radicata sul dubbio", cioè come un credere nonostante faccia di tutto per non credere, un rimettere sempre tutto in discussione per lasciarsi riconvincere ogni volta dalla verità (uso volutamente questa parolona, sebbene mi spaventa sempre molto), le affermazioni di Mancuso sono intellettualmente seducenti. In più Mancuso è laureato alla Laurenziana, dove feci un colloquio con il pro-rettore di allora, l'attuale vescovo di Oristano, S. E. Mons. Ignazio Sanna (http://www.ignaziosanna.com/), per vedere se c'era la possibilità di ottenere una borsa di studio e intraprendere così lo studio della teologia che da sempre mi appassiona. Poi non se ne fece niente e il mio sogno rimase nel cassetto. Perciò Mancuso, teologo laico, si può dire che ha realizzato il mio sogno! E, probabilmente, il suo libro è il libro che avrei voluto scrivere io...

La tesi de L'anima e il suo destino, almeno fino al punto in cui sono arrivato nella lettura, davvero interessante, è che la scoperta einsteiniana della materia come energia, non solo non va contro il dettato biblico ma verifica l'incipit giovanneo In principio era il Logos (erroneamente tradotto come Verbo), cioè "in principio era la relazione". Qui il discorso si fa lungo, perciò non vado oltre e lascio che ciascuno, se vuole, soddisfi la sua curiosità leggendo il libro. Personalmente mi richiama alla memoria lo studio fatto in Fuci del Vangelo di Giovanni: in quell'occasione ci soffermammo molto sulla bellezza della volontà originaria di Dio di mettersi in relazione.

Detto questo, anche solo dalla lettura dei primi capitoli si può avvertire, qua e là, un certo azzardo speculativo, come se a volte l'autore si fosse lasciato trascinare dall'entusiasmo un po' ingenuo della sua giovane età. Da ciò si capiscono le riserve, espresse però con benevolenza paterna, del cardinal Martini nella prefazione al testo. Alcuni passaggi sembrano richiedere una maggiore riflessione, forse una maggiore esperienza o "saggezza", intendendo con quest'ultimo termine una meditazione allenata nel tempo, come quella degli anziani (e penso appunto al cardinal Martini). Tuttavia è un peccato veniale che si perdona volentieri perché è il prezzo che si paga al coraggio della gioventù a cui prima accennavo.

Per fare un esempio, riporto un brano alle pagine 72-73, dedicate all'amore:

Proprio perché l'essere è relazione, è così importante l'amore. [...] La coppia umana è qualcosa di più della somma di un atomo più un altro atomo, la coppia non è due atomi. C'è un salto nell'essere, una sua differente e più profonda configurazione, la quale porta il singolo a non essere più atomo ma a sussistere diversamente ponendo il suo centro vitale (il suo nucleo) fuori di sé. Non però semplicemente nell'altro, perché in questo caso l'amore creerebbe dipendenza, assoggettamento, asimmetria, come è il caso di quella forma immatura di amore che è l'innamoramento. L'amore maturo conduce il singolo a sussistere fuori di sé, ma non nell'altro, bensì in qualcosa di più alto di sé e dell'altro e che si potrebbe esprimere come idea del matrimonio, della relazione perfetta ed eterna.

Ecco, questo brano, che non riporto per intero perché troppo lungo, non convince del tutto. O meglio, sono d'accordo con quanto dice Mancuso, tuttavia il riferimento al matrimonio andrebbe a mio avviso argomentato meglio. Dopo il brano citato, l'autore aggiunge qualcosa, ma lo avverto come insufficiente a spiegare bene cosa intendeva chiamando in causa il sacramento del matrimonio. Forse è perché non sono sposato e quindi non posso capire del tutto... O forse è perché il passo in questione risente dell'insegnamento di Padre Balducci (chissà se inconsapevole, visto che l'autore non lo cita), che però si riferiva all'amore verso il prossimo, quindi in una accezione più ampia di quella, bella quanto si vuole ma ristretta, del matrimonio. Anzi proprio il riferimento esplicito a Balducci avrebbe a mio avviso illuminato il senso di quello che Mancuso probabilmente voleva dire, cioè che nella relazione matrimoniale non ci si deve chiudere nel rapporto di coppia, che rischia di diventare asfittico, ma aprire la coppia alla società, al mondo...


Tra parentesi, lo dico come poscritto, queste parole così belle di Balducci, che ho subito fatto mie il giorno che le ho sentite, mi sembrano anche indicare una via di uscita alla depressione. La psicologa di casa non me ne vorrà ma credo che in qualche caso il depresso viva un richiesta pressante di amore non esaudita, il cui frutto è una frustrazione continua. Così, ad esempio, è nel lutto, quando viene a mancare una persona che dava amore e che non lo può più dare. Questa mancanza credo la si possa colmare solo cambiando prospettiva: amare prima di chiedere di essere amati. Cioè, appunto, mettendo il centro di sé fuori di sé.

E qui casca a fagiolo la citazione che Mancuso fa dei Fratelli Karamazov, che, guarda caso, ho finito di leggere pochi giorni fa, e mi sembra perfetta. Si tratta del passo che riporta il testamento spirituale dello starec Zosima:

Amate tutta la creazione divina, nel suo insieme e in ogni granello di sabbia. Amate ogni fogliolina, ogni raggio di sole! Amate gli animali, amate le piante, amate ogni cosa! Se amerai tutte le cose, coglierai in esse il mistero di Dio. Coltolo una volta, comincerai a conoscerlo senza posa ogni giorno di più e più profondamente. E finirai per amare tutto il mondo di un amore ormai totale e universale.

1 commento:

mamma ha detto...

Molto interessante, mi piacerebbe discuterne a fondo.Mi riservo di leggere e comprendere meglio,ma già mi colpisce il significato di matrimonio, che troppo spesso viene inteso, anche dai cattolici, come un accordo, un patto per stare insieme. Sono d'accordo che sia una relazione perfetta, che si instaura nel momento in cui si esce da sè e si incontra l'altro che ha percorso lo stesso cammino. E in questo proiettarsi fuori, ma a mani tese, c'è tutta l'apertura all'altro, e con lui agli altri. Diventa quindi una relazione feconda, aperta principalmente a donare la vita,perchè possa allargarsi attraverso la famiglia, aprirsi sempre più agli altri, alla società, alla natura, al bene.
Questo è il mistero e la mistica del matrimonio.