giovedì 29 gennaio 2009

Perché è un dovere ricordare

http://iltempo.ilsole24ore.com/2009/01/29/982852-lefebvriani_camere_usate_disinfettare.shtml

http://video.corriere.it/?vxSiteId=404a0ad6-6216-4e10-abfe-f4f6959487fd&vxChannel=Dall%20Italia&vxClipId=2524_7b9c4994-ebad-11dd-92cf-00144f02aabc&vxBitrate=300

«In questa prima occasione non ero tra quelli che dovevano portare i cadaveri fuori dalla camera a gas, sebbene in seguito mi sia capitato spesso di doverlo fare. Chi era destinato a tale compito cominciava tirando i cadaveri per le mani, ma nel giro di qualche minuto le mani si sporcavano e diventavano scivolose. Per evitare di toccare i corpi, qualcuno provava a usare un pezzetto di tessuto che però si sporcava e si bagnava subito. Bisognava arrangiarsi. Alcuni cercavano di spostare i corpi con una cintura, anche se ciò rendeva il lavoro ancora più difficile perché bisognava aprire e chiudere la cintura. Alla fin fine la cosa più semplice era usare un bastone e tirare il corpo da sotto la nuca. Si vede bene in un disegno di David Olère. Con tutte le persone anziane mandate a morire, non ci mancavano certo i bastoni. Ci evitavano, almeno, di dover tirare i cadaveri per le mani. Era molto importante per noi, non perché si trattasse di cadaveri... quanto perché la loro morte era stata tutto tranne che una morte dolce. Era una morte immonda, sporca. Una morte forzata, difficile e differente per ognuno di loro. Non l'avevo mai raccontato fino a ora. È talmente opprimente e triste che ho difficoltà a parlare di ciò che ho visto nelle camere a gas. Trovavamo persone con gli occhi fuori dalle orbite a causa della reazione dell'organismo. Altri sanguinavano dappertutto, o si erano sporcati coi propri escrementi o con quelli altrui. Per effetto della paura e del gas spesso le vittime evacuavano tutto quello che avevano in corpo. Alcuni corpi erano completamente rossi, altri pallidissimi, ognuno reagiva diversamente, ma tutti soffrivano durante la morte. Li trovavamo aggrappati gli uni agli altri, ognuno alla ricerca disperata di un po' d'aria. Il gas, buttato a terra, sviluppava degli acidi dal basso; tutti cercavano di raggiungere l'aria, anche se dovevano salire gli uni sugli altri fino a quando anche l'ultimo moriva. Non ne sono sicuro ma penso che molti cessassero di vivere prima che il gas venisse gettato. Erano talmente pigiati tra loro che i più piccoli, i più deboli, venivano immancabilmente soffocati. Sotto la pressione, l'angoscia, si diventa egoisti e non si pensa che a una cosa: salvarsi. Questo è l'effetto del gas. La scena che ci si presentava aprendo la porta era stroce, impossibile farsene un'idea. I primi giorni, malgrado la fame che mi attanagliava, facevo fatica a mangiare il pane che ci davano. L'odore rimaneva sulle mani, mi sentivo insudiciato dalla morte. Col tempo, poco a poco, ci siamo abituati a tutto. È diventata una routine a cui non si doveva più pensare. [...] Nello spogliatoio c'erano degli attaccapanni lungo il muro, ognuno con un numero, e delle panchine in legno su cui ci si poteva sedere per svestirsi. Per ingannarli meglio i tedeschi raccomandavano di fare attenzione ai numeri, in modo da ritrovare più facilmente le proprie cose uscendo dalla "doccia". Dopo un po' di tempo aggiunsero alle istruzioni quella di allacciare tra loro le scarpe, in modo tale che successivamente fosse più agevole sistemarle quando giungevano al Kanada. [...] Per tranquillizzarli e assicurarsi che andassero veloci e senza opporre resistenza, i tedeschi promettevano anche un pasto dopo la "disinfestazione". Molte donne si affrettavano per arrivare tra i primi e farla al più presto finita con tutto questo, mentre i bambini, terrorizzati, rimanevano incollati alle proprie madri. Per loro, più ancora che per gli altri, dovava sembrare tutto strano, inquietante, buio, freddo. Dopo essersi svestite le donne entravano nella camera a gas e aspettavano, pensando di trovarsi in una sala docce, coi rubinetti in alto. Non sapevano dove si trovavano veramente. Una volta una donna, assalita dai dubbi non vedendo arrivare l'acqua, era andata a parlare con uno dei due tedeschi che si trovavano davanti alla porta che avevano subito preso a picchiarla violentemente, costringendola a tornare al suo posto. Le passò in fretta la voglia di fare domande. Gli uomini venivano invece mandati nella camera a gas alla fine, quando la sala era già piena. [...] Il tedesco incaricato di controllare il processo si divertiva a far soffrire un po' di più queste persone in punto di morte: mentre aspettava l'arrivo della SS che doveva introdurre il gas, accendeva e spegneva la luce per spaventarli. Quando spegneva la luce nella camera a gas si udiva un rumore diverso; sembrava che la gente stesse soffocando per l'angoscia, capivano che stavano per morire. Poi riaccendeva la luce e si sentiva una specie di sospiro di sollievo, come se le persone pensassero che l'operazione era stata annullata. Alla fine arrivava il tedesco con il gas. prendeva due prigionieri del Sonderkommando per sollevare la botola dall'esterno, al di sopra della camera a gas, e introduceva lo Zyklon B dall'apertura. Il coperchio, in cemento, era molto pesante. Il tedesco non si sarebbe mai preso la briga di sollevarlo da solo; lo facevamo in due. Qualche vota io, qualche volta altri. Non l'avevo mai raccontato fino a ora; fa male ammettere che dovevamo sollevare e richiudere il coperchio, dopo che il gas era stato gettato. Ma è andata così. [...] Dopo che il gas era stato versato, passavano dieci o dodici minuti e non si sentiva più un rumore, più anima viva. Un tedesco verificava che fossero tutti morti guardando lo spioncino che si trovava sulla porta [...] Quando ne era certo, apriva la porta e se ne andava, dopo aver acceso la ventilazione. Per una ventina di minuti si udiva un intenso ronzio, come una macchina che aspirava l'aria. Poi potevamo entrare e cominciare a portare i cadaveri fuori dalla camera a gas. La stanza era invasa da un odore terribile, aspro. Difficile dirtinguere tra il fetore del gas e quello dei cadaveri e del liquame umano.» (Shlomo Venezia, Sonderkommando Auschwitz, Milano, Bur Rizzoli, 2007, pp. 81-89)

Shlomo Venezia a Che tempo che fa:
http://www.rai.tv/mpplaymedia/0,,RaiTre-Chetempochefa%5E7%5E55011,00.html

Speciale tg1 (25 gennaio 2009):
http://www.rai.tv/mpplaymedia/0,,News-Tg1%5E0%5E178951,00.html

(meglio tardi che mai):
http://www.corriere.it/cronache/09_gennaio_30/vaticano_condanna_negazione_shoah_0c51fd14-eeae-11dd-ba39-00144f02aabc.shtml

elezioni in Sardegna

non posso tornare a votare ma posso sempre schierarmi...

http://video.unita.it/?video=636

"[...] la campagna
elettorale sarda ha occupato ogni giorno le
pagine dei quotidiani direttamente o indirettamente
controllati dal presidente del Consiglio.
Da allora Berlusconi ha trascorso ogni
fine settimana nell’isola sostituendosi al
candidato alla Presidenza, tale Cappellacci.
Da allora i denari dei contribuenti sono stati
utilizzati allo scopo di enfatizzare una competizione
locale che ha sottratto tempo e
denaro ad altre incombenze degne di un
premier: dalla guerra in Medio Oriente alla
drammatica depressione economica italiana,
per dire. Barzellette e battute sulle donne
e sugli ebrei - da Nuoro, da Sassari - hanno
occupato i giornali stranieri, piani Marshall
e promesse di benessere ai pastori,
offese al contendente: tutto il repertorio. È
una partita truccata, chiunque conservi un
residuo di onestà non può negarlo. È così,
d’altra parte questo è Berlusconi: un intrattenitore
da cabaret, un simpaticone che usa
l’Italia come il suo guardaroba. Toglie e
mette i panni che gli servono. Oggi è sardo,
per chi ancora ci crede."

(Concita De Gregorio, L'Unità 29 gennaio 2009)

domenica 25 gennaio 2009

Il bambino con il pigiama a righe - recensione

Cos’è la guerra per un bambino? È correre a zig zag con le braccia aperte fendendo l’aria e facendo brum brum

con le labbra, proprio come gli aerei veri. Quelli che ogni tanto, di questi tempi, in tutti i tempi, quindi anche in questi, anche oggi, si sentono sfrecciare nel cielo.

Cos’è la guerra per un bambino? È correre in un corridoio, farsi inseguire dai compagni e poi inseguirli, e fare tatatatatà con le labbra, proprio come le mitragliette vere. Quelle che forse qui in città non si sentono, non ancora, ma basta spostarsi un po’…; e poi nei film! Sì, nei film si sentono e fanno proprio tatatatatà. Allora bisogna buttarsi per terra, lunghi distesi per il corridoio, e stare zitti e immobili, se no non vale, se no si vede che non sei morto! Però non è che devi startene lì per sempre! Dopo ti alzi e tocca agli altri morire. Una volta per uno. Sennò non vale. Sennò che gioco è?

Che gioco è?

Che gioco è trasferirsi e andare via di casa per stare in campagna, lasciando i propri amichetti, quelli degli aerei e delle mitragliette? Non è un bel gioco, proprio no! A meno che non sia, facciamo finta, un’avventura. Ma sì, un’avventura! Come quelle dei libri che piacciono tanto ai bambini che hanno tanta fantasia. Se poi uno da grande sogna di diventare esploratore…! Oh, allora sì che è un bel gioco! C’è una grande cameretta, che dalla finestra si vede una fattoria. È strana però quella fattoria, proprio strana! Ci sono dei contadini... (ma questo, va be’, è normale: nelle fattorie ci sono i contadini). Il fatto è che non sono come i contadini soliti. Per esempio, questi qui indossano il pigiama! Sì, un pigiama a righe! E non se lo tolgono dopo che si alzano dal letto e si lavano il viso, eccetera. Lo tengono su tutto il giorno! E ci vanno pure a lavorare! Eh, sì… è proprio una strana fattoria, però forte!

Non come di qua, a casa, dove non si può fare niente e si deve stare seduti a sentire un precettore noioso che dice sempre le stesse cose: che la patria, e il riscatto della nazione, e la grande storia che il popolo sta scrivendo…; o che gli ebrei sono i nemici che fanno perdere le guerre, e tolgono il lavoro, e sono cattivi cattivi…

No, lì alla fattoria è tutto molto più interessante. E misterioso, anche. Per esempio, se chiedi a un adulto, che magari è tuo papà, perché i contadini portano il pigiama, lui non solo non ti risolve il mistero ma ne aggiunge un altro, perché, a quanto pare, quelle persone, cioè i contadini, non sono affatto delle persone! Dice proprio così, lo giuro!, “Quelle persone, in realtà, non sono affatto persone”, testuali parole. E chissà allora cosa sono! Sembrano proprio persone, anche se qualcosa di strano ce l’hanno e di sicuro non sono quello che sembrano. Come quel contadino che pela le patate in cucina e dice che è un medico. Non doveva essere granché bravo se ora è in cucina a pelare le patate!

Comunque vale la pena indagare. Quella fattoria è molto più interessante di stare chiusi in casa tutto il giorno. E poi ci sono anche i bambini. E anche loro hanno il pigiama. E anche loro fanno i contadini, con le carriole e tutto. E se ti avvicini alla rete di recinzione, magari puoi parlare con uno di loro, e magari farci amicizia. E pazienza se poi scopri che non era una fattoria ma un campo di lavoro. E pazienza pure se scopri che quel bambino con il pigiama a righe è un ebreo, perciò è diverso come dice la mamma. Sarà ma sembra proprio un bambino, anche se ha i capelli rasati. Magari è pure simpatico, e non è cattivo cattivo come dice il precettore. Lui è cattivo, il precettore! E anche antipatico.

E anche se la fattoria non è una vera fattoria, è sempre meglio che stare rinchiusi qui, al di qua del filo spinato. Almeno di là ci sono i bambini, che saranno pure ebrei ma è sempre meglio di niente. E poi di qua è una noia, di là invece succedono un sacco di cose misteriose. Per esempio, ci sono delle ciminiere che quando esce il fumo nero fanno una puzza tremenda. E se chiedi a un adulto, magari tuo papà, ti dice che ci bruciano spazzatura, ma chissà se è vero. Bisognerebbe proprio andare a dare un’occhiata, no? Anche perché, non è finita mica qui! Ogni tanto, sembra proprio certo, scompaiono delle persone, cioè non delle persone, dei contadini! Sì, proprio così, scompaiono! Fino al giorno prima c’erano e poi non ci sono più! Non sono ottimi motivi per andare a esplorare? Sì, è vero, non si potrebbe, i genitori non vogliono, e se lo scoprono… però, magari, un’occhiatina soltanto…

Verso la Giornata della memoria

Il 27 è la Giornata della memoria. Mentre il nostro Presidente la aspetta in Sardegna raccontando barzellette (http://www.repubblica.it/2009/01/sezioni/cronaca/barzellette-antisemite/barzellette-antisemite/barzellette-antisemite.html?ref=search), il papa ha pensato bene di revocare la scomunica ai lefebvriani, come gesto di riconciliazione post-natalizio e in spirito di comunione. Peccato che, simpaticamente, uno di questi vescovi così progressisti, che faranno fare di certo un salto in avanti alla nostra amata Chiesa, sia un dichiarato e reiterato negazionista. L'ultima dichiarazione che ha reso alla tv svedese nega che le camere a gas siano esistite, e afferma che al massimo nei campi di concentramento saranno morti trentamila e non sei milioni di ebrei. Bene! C'è proprio da rallegrarsi che codesto monsignore sia stato riammesso nella Chiesa!

http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplrubriche/giornalisti/grubrica.asp?ID_blog=242&ID_articolo=117&ID_sezione=524&sezione=

Lasciando da parte l'ironia, a volte sembra proprio che il papa faccia di tutto per distruggere il dialogo interreligioso. È vero anche però, e i nostri fratelli maggiori, ora giustamente preoccupati per questa decisione, dovrebbero ricordarlo, che la prima uscita pubblica di BXVI fu ad Aushwitz. Come si conciliano le due cose? Non lo so. Non chiedetemelo.

venerdì 23 gennaio 2009

Quante cose nuove s'imparano...

... correggendo i compiti!

  1. Cristofolo Colombo
  2. Raffaello Sazio
  3. Tizio Vecellio
  4. Ferdinando Magellaro
  5. Leonardo davvinci
  6. Pace di augusto
  7. Francia e Spagnia
  8. Aztchi
e chi più ne ha più ne metta!

A qualcuno di voi piace il cioccolato?


http://corrierefiorentino.corriere.it/firenze/notizie/arte_e_cultura/2009/20-gennaio-2009/santa-croce-cioccolato-anche-l-happy-hour--150915522770.shtml

mercoledì 21 gennaio 2009

Sondaggio: la canzone più triste

Votate qui a fianco la canzone più triste. Se quelle che ho selezionato non vi sembrano le uniche e ve ne vengono in mente di più tristi ancora, fate la vostra classifica personale, mettetela come commento e io la pubblicherò.

p.s. ho scartato Masini o Mia Martini perché mi sembrava banale...ma fate voi...




qui i video delle altre canzoni:
http://it.youtube.com/watch?v=MLXvSdTV0R0

http://it.youtube.com/watch?v=nZ2vJGw-RhY


http://it.youtube.com/watch?v=fAFGfFmE5j8

http://it.youtube.com/watch?v=aPnYk0LM0Ls

giovedì 15 gennaio 2009

Postilla

Leggendo il Corriere.it scopro che la versione di Pelù del Pescatore di De Andrè è stata molto apprezzata (http://www.corriere.it/spettacoli/09_gennaio_14/Pelu_de_Andre_Gori_8707f6f2-e270-11dd-b227-00144f02aabc.shtml). Sentita, devo dire che non mi è dispiaciuta. Il fatto che l'arrangiamento si discosti molto dall'originale non è un male, ma non lo batte. Comunque, lo posto. Fatevi voi un'idea.

mercoledì 14 gennaio 2009

Tributo a Fabrizio De Andrè... spariamo giudizi a casaccio, così per sport...

Molti di voi domenica scorsa avranno visto come me il tributo a Fabrizio De Andrè andato in onda su rai tre e condotto da Fabio Fazio.

A quanto pare a qualcuno non è piaciuto...http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/spettacoli/200901articoli/40027girata.asp

A me invece è piaciuto, anche se ho notato come le canzoni di De Andrè sono abiti che non tutti possono indossare. Quell'impiastro di Dalla non ricordava le parole di Don Raffaè, per esempio. Non mi ha esaltato neanche Samuele Bersani, che di solito mi piace. Mi sembra l'abbia presa troppo bassa. Incredibilmente, quello che temevo di più che rovinasse tutto, Jovanotti, è riuscito con quel filino di voce che si ritrova a non stonare Il suonatore Jones. Tiziano Ferro, che ha ben altre corde vocali, mi è sembrato più tagliato per i toni bassi, anche se ha cantato Le passanti con un po' troppa partecipazione. La Nannini ha iniziato male, poi si è ripresa. Forse non sentiva l'orchestra. Bene Bocelli e la Ruggero, ma che c'entravano? Battiato di solito riesce a cantare De Andrè, ma questa volta il suo Inverno non mi è sembrato granchè. Pelù non l'ho sentito. PFM ok, ma va be', si conosce. Bennato & Bubola più no che si. Alla fine il migliore è stato Capossela, secondo me. Strano, perché di solito lui non è che mi emozioni più di tanto.



Non so perché ma nella nebbia dei ricordi ho l'impressione di aver sentito De Andrè in concerto tre volte, mentre di fatto me ne ricordo solo due. L'ultima sicuramente è stata al Teatro Verdi di Firenze. Era l'ultima tournée. Quella sera sul palco avrebbero dovuto esserci anche Cristiano, Luvi e Dori Ghezzi. Quest'ultima però dette forfait e Khorakhane' la cantò Luvi. Fu il momento più emozionante del concerto. Ricordo anche che notai la bravura di Cristiano De Andrè e pensai la stessa cosa che ho pensato l'altra sera: per l'80% ha la voce dell'illustre genitore ed è pure molto più bravo come musicista. La sua sfortuna è che sarà sempre paragonato al padre, perciò non sfonderà mai, e l'orgoglio gli impedisce di passare il resto della vita a interpretarne le canzoni. Domenica, sentirlo in collegamento da Genova mi ha fatto venire i brividi: sembrava di ascoltare Fabrizio.



L'altro concerto che ho visto fu a Sassari, qualche anno prima. Era all'aperto, al campo della Torres, forse. Sul palco era stata allestita una scenografia imponente, a rappresentare le fauci spalancate di una balena bianca. Così almeno ricordo io... Il concerto si aprì con Le nuvole. Mentre la voce fuoricampo recitava le parole, una specie di sedia meccanica avanzava sul proscenio avvolta dalla nebbia artificiale. Non so dire altro, la mia memoria è confusa. Andai con mia sorella e con qualcun altro che non ricordo chi fosse. All'entrata, fra la folla riconobbi un mio amico. Anche lui era venuto al concerto insieme alle sorelle. "Anche tu in family cric?", mi disse. Sorrisi per la battuta, che per assonanza richiamava il Fiume Sand Creek ma che invece faceva riferimento al gergale "cricca". Aperti i cancelli lo persi di vista. Durante il concerto lo cercai più volte con lo sguardo finché non riconobbi in mezzo a mille le sue braccia alzate, un attimo prima che De Andrè iniziasse a cantare. Pensai: "eccolo, è lì". Ora invece che è , e può farsi insegnare Bocca di rosa alla chitarra direttamente dall'autore anziché rompere le scatole a me, come faceva d'estate ("insegnami il 'titto'...", cioè l'arpeggio iniziale), non posso fare a meno che associare lui e Fabrizio in un'unica nostalgia.

Ebbra la notte
di eventi. La family creek
celebra il fabbro che ha letto i francesi.

Un ordigno meccanico irrompe
fra le fauci spalancate enormi
della balena bianca, bucando
la nebbia.

Esala in un coro di gril
li
una voce spettrale di tzia:
è una poesia sui cirri volubili e i nembi
letali.

Non ti vedo in volto
ma quelle ali
spalancate enormi
aperte al cielo
sono le tue

ora che l'occhio di bue è un raggio di Luna
sul fabbro
seduto al microfono
e al posacenere alto.

Tra poco, vedrai, dirà del soldato senza lamento
caduto
prima che il tempo gli fosse bastato.



(i video di questo post sono presi da youtube)

La puntata de La storia siamo noi dedicata a De Andrè: http://www.lastoriasiamonoi.rai.it/puntata.aspx?id=269&

Sette anime - recensione

In sette giorni Dio creò il mondo e in sette secondi io ho distrutto il mio. Con questa sentenza inizia il secondo film “americano” di Gabriele Muccino. Dopo aver raccontato una storia che rendeva omaggio alla Costituzione statunitense nella sua peculiarità, la ricerca della felicità come diritto inviolabile del cittadino, il regista romano torna a lavorare con la star hollywoodiana Will Smith per raccontare un’altra storia, apparentemente diversa e priva di legami con la precedente. In realtà, a pensarci bene, Sette anime è strettamente legato a La ricerca della felicità, come l’altra faccia della medaglia. Meglio: l’ombra, il lato oscuro. In precedenza Muccino aveva scelto come oggetto del suo film l’american dream, ovvero la caparbietà radicata nell’indole degli americani di perseguire il proprio sogno fino al suo raggiungimento. Ora, invece, il regista è andato a vedere cosa succede quando la felicità raggiunta, il sogno realizzato, si infrangono definitivamente. Ha fatto ricorso a una storia estrema, paradossale, che ha come filo conduttore il rimorso.
L’intreccio si dipana lentamente, in modo da lasciare a lungo lo spettatore incapace di capire cosa stia succedendo. Si percepisce subito che non è la solita love story strappalacrime, con lei nel letto di un ospedale e lui che l’assiste. L’amore fra i protagonisti, Ben Thomas (interpretato da Will Smith) e Emily Posa (Rosario Dawson), è infatti contornato da tanti elementi esterni che impongono di guardare al di là della coppia. Ci sono altre anime che necessitano di essere tenute in considerazione. Così vuole evidentemente una sceneggiatura il cui intento è quello di incuriosire il pubblico e portarlo a chiedersi come andrà a finire. Il pericolo però, in verità non del tutto fugato, è quello di ingenerare invece la spiacevole sensazione di una vicenda senza capo né coda. Solo da ultimo, infatti, attraverso un crescendo emotivo che ha il suo culmine in un finale struggente, il film riannoda tutti i fili pendenti, così che l’esito risulti per nulla scontato (anche se intuibile dagli spettatori più attenti).
Difficile riassumere la trama senza rovinare la sorpresa. Si rischia di dire troppo o troppo poco. Fare cenno all’argomento trattato, allora. Ma anche in questo caso, ci si può limitare solo a qualificarlo come serio e destinato a suscitare polemiche, come puntualmente è accaduto negli Usa. Ed è facile prevedere che anche in Italia sarà così. Si tratta infatti di una sorta di parabola laica di passione, morte e risurrezione, a partire però da un assunto incongruente, contraddittorio: non è la misericordia il motore della donazione di sé ma il rimorso, il senso di colpa. Forse per questo il film lascia l’amaro in bocca e la percezione di qualcosa di sbagliato. A conti fatti però si deve dare atto a Muccino di aver avuto coraggio nel portare sul grande schermo un tema importante, che sensibilizza le coscienze (e dividerle è un prezzo che si può pagare). Lo ha affrontato in maniera non banale, grazie a una regia ormai matura. Sette anime merita pertanto di essere visto, e magari rivisto e meditato prima di emettere un giudizio.
Alla seconda esperienza nel grande mondo di Hollywood, Muccino dimostra di aver colto molti tratti della complessa e per certi versi contraddittoria società americana. Con l’occhio esterno dell’osservatore europeo ha dapprima messo in luce la ricerca della felicità come una felicità “calvinista”, nel senso di pragmaticamente declinata con il benessere economico; ora si è soffermato invece sulla ricerca di una redenzione spirituale, che resta però ancorata a un senso della giustizia drammaticamente materialista.
Un’ultima notazione sul titolo italiano che, come troppo spesso accade, nella traduzione libera tradisce il senso dell’originale. L’inglese Seven pounds, letteralmente “sette libbre”, richiama il Mercante di Venezia di Shakespeare e fa riferimento dunque, in maniera significativa, a un debito da pagare in… carne umana.

domenica 11 gennaio 2009

Soru vs Silvio

A leggere i giornali si ha l'impressione che la campagna elettorale per le elezioni in Sardegna non sia iniziata nel migliore dei modi. Le contestazioni, prima a Berlusconi poi a Soru, sono un segnale di inciviltà e di mancanza di rispetto per l'avversario.

Probabilmente vincerà Silvio questa volta. La legge salvacoste ha chiuso molti cantieri e lasciato a casa molti muratori e fatto perdere molti soldi agli imprenditori. Berlusconi farà leva su questo. Prometterà di riaprire i cantieri dando nuovi posti di lavoro e i sardi gli crederanno quando prometterà di salvare contemporaneamente il nostro "bellissimo" paesaggio . Naturalmente non salverà un bel niente, ma a quei sardi che il lavoro non ce l'hanno, a quelli che hanno un terreno sulla costa da far fruttare, o una impresa edile, in fondo non importa un fico del paesaggio. Non glien'è mai importato niente. Lo testimoniano i villaggi orrendi costruiti negli anni a ridosso delle spiagge.

venerdì 9 gennaio 2009

Presi per il panettone

Berlusconi ha trovato l'accordo con Air France! Bossi però è contro: preferisce Lufthansa per tutelare Malpensa.

L'avete letta tutti la notizia, vero?

E com'è che nessuno si sente preso per il... panettone?

Ma come? Prodi aveva già in tasca l'accordo di vendita con Air France, Berlusconi ha rotto i... baci perugina, dicendo che l'Alitalia doveva restare italiana...

Ora la svente (perché non è più una vendita!), si sono già perduti 4 mila posti di lavoro, più degli esuberi inizialmente previsti da Air France per i quali i sindacati hanno rotto... i baci perugina, e nessuno dice niente???!!!

Siamo tutti lì a farci distrarre dai giornali di m...andorle che abbiamo in Italia sullo "scontro" tra Berlusconi e Bossi!

Pierangelo Bertoli in una sua canzone diceva che i politici "trattano le masse come capre". Caro Bertoli, mi dispiace dirtelo, ma ho l'impressione che le masse siano davvero delle capre!

giovedì 8 gennaio 2009

La Duchessa - recensione

Lady Georgiana Spencer (Keira Knightley) viene data in sposa, ancora minorenne, a William Cavendish (Ralph Fiennes), duca del Devonshire. Ben contenta del matrimonio combinato da sua madre (Charlotte Rampling), la giovane si trasferisce a Londra nell’immensa residenza del duca. Presto sarà costretta ad accorgersi della sua realtà di moglie di un marito anafettivo che pretende da lei un erede maschio. La situazione si aggrava dopo che la duchessa avrà dato alla luce tre figlie femmine e diventa tragica quando il duca inizia una relazione con Bess Foster (Hayley Atwell), fino a quel momento migliore amica di Georgiana, imponendole un penoso e imbarazzante ménage à trois. Il gioco, gli abiti alla moda e l’impegno politico nel partito dei Wigs, dapprima validi surrogati di felicità, non bastano più a distrarre la vivace intelligenza della giovane dalla sua triste condizione. Solo il rapporto sempre più intimo con il conte Charles Grey (Dominic Cooper) e la prospettiva di una nuova vita con lui sembrano poterle offrire un’àncora di salvezza. Ma i rapporti di forza in ambito familiare e le rigide convenzioni sociali costringeranno Lady Georgiana a ripiegare la bandiera della libertà e prolungare la recita della vita nel ruolo che le è stato assegnato.
La vicenda, di per sé priva di novità, inserita com’è nella cornice narrativa del matrimonio combinato, ha suscitato un certo interesse fra il pubblico e la critica per le allusioni, vere o presunte, alla parabola ancor più tragica di un’altra Lady Spencer, più vicina all’immaginario collettivo contemporaneo: la principessa Diana. La sequenza della corsa in carrozza degli sposi fra due ali di folla festante, può richiamare in effetti le immagini televisive del matrimonio più sfarzoso del secolo scorso; ma è soprattutto quando l’intreccio narrativo mostra le reciproche infedeltà coniugali che la memoria dello spettatore è portata a istituire un parallelo fra la coppia cinematografica e quella reale (in tutti i sensi) di Carlo e Diana d’Inghilterra. Quanto basta per accendere la fantasia popolare e stimolare il marketing dei pubblicitari, che non hanno mancato di fare leva su questo particolare aspetto della pellicola per promuoverla sul mercato cinematografico. Dietro il non conformismo di Lady Georgiana Spencer si cela quello della ben più nota Lady Diana Spencer. Si racconta dell’una per parlare dell’altra. Così come il duca Cavendish è la maschera del principe Carlo.
Questi dunque gli ingredienti scelti per stimolare il palato di quante più bocche possibili, con il contorno di un ottimo cast e di costumi e ambientazioni sontuosi. Purtroppo non abbastanza per soddisfare i palati più fini, che non avranno mancato di riconoscere al primo assaggio sapori ben noti, abbinati senza fantasia. L’intelligenza e la vitalità del personaggio di Lady Georgiana, in teoria difforme dal luogo comune della donna di corte dell’epoca, viziosa e priva di acume, modello Maria Antonietta, di per sé non basta a rinnovare il racconto di genere e l’interpretazione qua e là troppo caricata nei toni dalla pur brava Keira Knightley accentua questa sensazione. Altrettanto si può dire del Cavendish di Fiennes, troppo “giustamente” insensibile e conformista.
I motivi d’interesse del film non vanno cercati allora nella vicenda privata dei protagonisti, né dei loro riferimenti a quella dei più recenti reali d’Inghilterra, sebbene la produzione e il regista Saul Dibb sembrano proprio aver puntato su questo. Ci si può immedesimare nelle vicende di una donna vessata dalla rigida etichetta, e magari è anche utile per sviluppare una riflessione approfondita sulle conquiste, in parte conseguite ma molte ancora da venire, in materia di parità fra i sessi. Appare invece più ricco di significato il percorso critico che mira ad estrapolare dal particolare spaccato dell’aristocrazia inglese il generale del quadro storico di una nazione, l’Inghilterra di fine Settecento, che ha saputo aggirare quella che sembrava un’inevitabile prospettiva rivoluzionaria, sull’esempio americano e poi francese, semplicemente dando rappresentanza al malcontento popolare in modo da non permettergli di trovare un terreno fertile nel vuoto della politica. Aiutata in questo dalla secolare tradizione costituzionale della monarchia, radicata nella Magna Charta, nell’Habeas Corpus e nel Bill of rights, l’Inghilterra ha saputo gradualmente trovare la strada non violenta verso la democrazia, concedendo una libertà “moderata” al suo popolo. In questo contesto diventa emblematica l’irrequietezza progressista di Georgiana, che si appassiona alla causa della libertà ma poi lascia che le convenzioni della società prevalgano sul suo entusiasmo. Sulla stessa linea si può interpretare anche la vicenda secondaria del conte Grey, che mitiga i suoi propositi romantici e libertari della fuga d’amore per diventare Primo Ministro.
Non si può essere moderatamente liberi come non si può essere moderatamente morti
: se Georgiana avesse dato seguito a questa sua perentoria affermazione politica (la battuta più importante del film) con scelte di vita conseguenti, e se fosse riuscita a veicolare in questa direzione l’enorme consenso popolare di cui godeva, probabilmente anche l’Inghilterra avrebbe avuto la sua rivoluzione.

martedì 6 gennaio 2009

Epifania. Oggi è la festa di tutti i bambini, soprattutto di quelli a cui qualcuno vuol fare la festa.

Caro diario del 2009,
oggi per tutti i nostri bambini è la festa della Befana, o anche dell'Happyfania Kinder & Ferrero. Quindi un giorno di felicità, perché in inglese "happy" vuol dire felice. I nostri bambini l'inglese lo sanno perché lo studiano già alle elementari, non come noi della scorsa generazione che l'inglese non lo sappiamo né lo sapremo mai. Noi che ancora scriviamo "Epifania", traducendo sbagliato dall'inglese. Noi che non sappiamo cosa vuol dire.

Oggi, caro diario del 2009, sono andato a messa. Ormai ci vado "a chiamata", cioè quando mi sento chiamato. E stamattina mi sono svegliato con una grande voglia di andarci. Ho scelto la chiesa dei gesuiti perché so che lì trovo una predica decente. Di tutto avevo bisogno fuorché di un pretastro che mi rovinasse tutto con un pistolotto morale di venti minuti condito in salsa di ovvietà, banalità e madornali errori teologici. Con i gesuiti vado abbastanza sul sicuro. E infatti non mi sono sbagliato. Pensa, caro diariuccio, che ho scoperto che la parola "Epifania" non deriva dall'inglese "Happyfania" e, sebbene abbia che fare con la felicità, si traduce invece con "manifestazione". La manifestazione della gloria di Dio, ha detto il prete. A dire il vero, io lo sapevo già e sapevo che in questo giorno solenne si ricorda l'episodio evangelico della venuta dei Magi.

Non mi ero mai soffermato però sul termine "gloria". Cos'è la gloria di Dio? Il prete ne ha dato una duplice accezione: la prima, quella che conoscevo anch'io, richiama lo splendore, e quindi il tema della luce, anticipato già nella prima lettura da Isaia e ripreso dalla evangelica stella cometa; l'altro, che non conoscevo, chiama in causa l'"universalità". L'universalità di Dio, che si manifesta appunto a tutte le genti (ancora Isaia e la diversa estrazione geografico-culturale dei Magi).

Mentre il prete (teologo esperto di bioetica, sull'insegnamento di Teilhard de Chardin) si sofferma sull'adorazione dei Magi come simbolo della scienza che, sapendo di non sapere, contempla il mistero, io rimugino un po' su questa universalità. Il Bambino che è tutti i bambini. Allo stesso tempo però è anche un bambino particolare. Voglio dire, geograficamente, è un bambino nato in Palestina; storicamente, è invece un bambino che qualcuno (Erode) voleva uccidere. Dunque, un bambino palestinese che rischia di essere ucciso.

Oggi, caro diario del 2009, Dio si manifesta in quei bambini palestinesi che rischiano di essere uccisi. Più che nei nostri che scartano felici i Kinder Ferrero.

domenica 4 gennaio 2009

Valentina e il passo silenzioso della neve

Di ritorno dalle vacanze ritrovo il mio pc e il blog da aggiornare. Purtroppo il primo post dell'anno è per ricordare una giovane cantante che avevo sentito a Sanremo qualche anno fa e che è scomparsa prematuramente in un incidente d'auto. Valentina Giovannini era davvero brava e la sua canzone Il passo silenzioso della neve è molto bella.