giovedì 8 gennaio 2009

La Duchessa - recensione

Lady Georgiana Spencer (Keira Knightley) viene data in sposa, ancora minorenne, a William Cavendish (Ralph Fiennes), duca del Devonshire. Ben contenta del matrimonio combinato da sua madre (Charlotte Rampling), la giovane si trasferisce a Londra nell’immensa residenza del duca. Presto sarà costretta ad accorgersi della sua realtà di moglie di un marito anafettivo che pretende da lei un erede maschio. La situazione si aggrava dopo che la duchessa avrà dato alla luce tre figlie femmine e diventa tragica quando il duca inizia una relazione con Bess Foster (Hayley Atwell), fino a quel momento migliore amica di Georgiana, imponendole un penoso e imbarazzante ménage à trois. Il gioco, gli abiti alla moda e l’impegno politico nel partito dei Wigs, dapprima validi surrogati di felicità, non bastano più a distrarre la vivace intelligenza della giovane dalla sua triste condizione. Solo il rapporto sempre più intimo con il conte Charles Grey (Dominic Cooper) e la prospettiva di una nuova vita con lui sembrano poterle offrire un’àncora di salvezza. Ma i rapporti di forza in ambito familiare e le rigide convenzioni sociali costringeranno Lady Georgiana a ripiegare la bandiera della libertà e prolungare la recita della vita nel ruolo che le è stato assegnato.
La vicenda, di per sé priva di novità, inserita com’è nella cornice narrativa del matrimonio combinato, ha suscitato un certo interesse fra il pubblico e la critica per le allusioni, vere o presunte, alla parabola ancor più tragica di un’altra Lady Spencer, più vicina all’immaginario collettivo contemporaneo: la principessa Diana. La sequenza della corsa in carrozza degli sposi fra due ali di folla festante, può richiamare in effetti le immagini televisive del matrimonio più sfarzoso del secolo scorso; ma è soprattutto quando l’intreccio narrativo mostra le reciproche infedeltà coniugali che la memoria dello spettatore è portata a istituire un parallelo fra la coppia cinematografica e quella reale (in tutti i sensi) di Carlo e Diana d’Inghilterra. Quanto basta per accendere la fantasia popolare e stimolare il marketing dei pubblicitari, che non hanno mancato di fare leva su questo particolare aspetto della pellicola per promuoverla sul mercato cinematografico. Dietro il non conformismo di Lady Georgiana Spencer si cela quello della ben più nota Lady Diana Spencer. Si racconta dell’una per parlare dell’altra. Così come il duca Cavendish è la maschera del principe Carlo.
Questi dunque gli ingredienti scelti per stimolare il palato di quante più bocche possibili, con il contorno di un ottimo cast e di costumi e ambientazioni sontuosi. Purtroppo non abbastanza per soddisfare i palati più fini, che non avranno mancato di riconoscere al primo assaggio sapori ben noti, abbinati senza fantasia. L’intelligenza e la vitalità del personaggio di Lady Georgiana, in teoria difforme dal luogo comune della donna di corte dell’epoca, viziosa e priva di acume, modello Maria Antonietta, di per sé non basta a rinnovare il racconto di genere e l’interpretazione qua e là troppo caricata nei toni dalla pur brava Keira Knightley accentua questa sensazione. Altrettanto si può dire del Cavendish di Fiennes, troppo “giustamente” insensibile e conformista.
I motivi d’interesse del film non vanno cercati allora nella vicenda privata dei protagonisti, né dei loro riferimenti a quella dei più recenti reali d’Inghilterra, sebbene la produzione e il regista Saul Dibb sembrano proprio aver puntato su questo. Ci si può immedesimare nelle vicende di una donna vessata dalla rigida etichetta, e magari è anche utile per sviluppare una riflessione approfondita sulle conquiste, in parte conseguite ma molte ancora da venire, in materia di parità fra i sessi. Appare invece più ricco di significato il percorso critico che mira ad estrapolare dal particolare spaccato dell’aristocrazia inglese il generale del quadro storico di una nazione, l’Inghilterra di fine Settecento, che ha saputo aggirare quella che sembrava un’inevitabile prospettiva rivoluzionaria, sull’esempio americano e poi francese, semplicemente dando rappresentanza al malcontento popolare in modo da non permettergli di trovare un terreno fertile nel vuoto della politica. Aiutata in questo dalla secolare tradizione costituzionale della monarchia, radicata nella Magna Charta, nell’Habeas Corpus e nel Bill of rights, l’Inghilterra ha saputo gradualmente trovare la strada non violenta verso la democrazia, concedendo una libertà “moderata” al suo popolo. In questo contesto diventa emblematica l’irrequietezza progressista di Georgiana, che si appassiona alla causa della libertà ma poi lascia che le convenzioni della società prevalgano sul suo entusiasmo. Sulla stessa linea si può interpretare anche la vicenda secondaria del conte Grey, che mitiga i suoi propositi romantici e libertari della fuga d’amore per diventare Primo Ministro.
Non si può essere moderatamente liberi come non si può essere moderatamente morti
: se Georgiana avesse dato seguito a questa sua perentoria affermazione politica (la battuta più importante del film) con scelte di vita conseguenti, e se fosse riuscita a veicolare in questa direzione l’enorme consenso popolare di cui godeva, probabilmente anche l’Inghilterra avrebbe avuto la sua rivoluzione.

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