giovedì 29 gennaio 2009

Perché è un dovere ricordare

http://iltempo.ilsole24ore.com/2009/01/29/982852-lefebvriani_camere_usate_disinfettare.shtml

http://video.corriere.it/?vxSiteId=404a0ad6-6216-4e10-abfe-f4f6959487fd&vxChannel=Dall%20Italia&vxClipId=2524_7b9c4994-ebad-11dd-92cf-00144f02aabc&vxBitrate=300

«In questa prima occasione non ero tra quelli che dovevano portare i cadaveri fuori dalla camera a gas, sebbene in seguito mi sia capitato spesso di doverlo fare. Chi era destinato a tale compito cominciava tirando i cadaveri per le mani, ma nel giro di qualche minuto le mani si sporcavano e diventavano scivolose. Per evitare di toccare i corpi, qualcuno provava a usare un pezzetto di tessuto che però si sporcava e si bagnava subito. Bisognava arrangiarsi. Alcuni cercavano di spostare i corpi con una cintura, anche se ciò rendeva il lavoro ancora più difficile perché bisognava aprire e chiudere la cintura. Alla fin fine la cosa più semplice era usare un bastone e tirare il corpo da sotto la nuca. Si vede bene in un disegno di David Olère. Con tutte le persone anziane mandate a morire, non ci mancavano certo i bastoni. Ci evitavano, almeno, di dover tirare i cadaveri per le mani. Era molto importante per noi, non perché si trattasse di cadaveri... quanto perché la loro morte era stata tutto tranne che una morte dolce. Era una morte immonda, sporca. Una morte forzata, difficile e differente per ognuno di loro. Non l'avevo mai raccontato fino a ora. È talmente opprimente e triste che ho difficoltà a parlare di ciò che ho visto nelle camere a gas. Trovavamo persone con gli occhi fuori dalle orbite a causa della reazione dell'organismo. Altri sanguinavano dappertutto, o si erano sporcati coi propri escrementi o con quelli altrui. Per effetto della paura e del gas spesso le vittime evacuavano tutto quello che avevano in corpo. Alcuni corpi erano completamente rossi, altri pallidissimi, ognuno reagiva diversamente, ma tutti soffrivano durante la morte. Li trovavamo aggrappati gli uni agli altri, ognuno alla ricerca disperata di un po' d'aria. Il gas, buttato a terra, sviluppava degli acidi dal basso; tutti cercavano di raggiungere l'aria, anche se dovevano salire gli uni sugli altri fino a quando anche l'ultimo moriva. Non ne sono sicuro ma penso che molti cessassero di vivere prima che il gas venisse gettato. Erano talmente pigiati tra loro che i più piccoli, i più deboli, venivano immancabilmente soffocati. Sotto la pressione, l'angoscia, si diventa egoisti e non si pensa che a una cosa: salvarsi. Questo è l'effetto del gas. La scena che ci si presentava aprendo la porta era stroce, impossibile farsene un'idea. I primi giorni, malgrado la fame che mi attanagliava, facevo fatica a mangiare il pane che ci davano. L'odore rimaneva sulle mani, mi sentivo insudiciato dalla morte. Col tempo, poco a poco, ci siamo abituati a tutto. È diventata una routine a cui non si doveva più pensare. [...] Nello spogliatoio c'erano degli attaccapanni lungo il muro, ognuno con un numero, e delle panchine in legno su cui ci si poteva sedere per svestirsi. Per ingannarli meglio i tedeschi raccomandavano di fare attenzione ai numeri, in modo da ritrovare più facilmente le proprie cose uscendo dalla "doccia". Dopo un po' di tempo aggiunsero alle istruzioni quella di allacciare tra loro le scarpe, in modo tale che successivamente fosse più agevole sistemarle quando giungevano al Kanada. [...] Per tranquillizzarli e assicurarsi che andassero veloci e senza opporre resistenza, i tedeschi promettevano anche un pasto dopo la "disinfestazione". Molte donne si affrettavano per arrivare tra i primi e farla al più presto finita con tutto questo, mentre i bambini, terrorizzati, rimanevano incollati alle proprie madri. Per loro, più ancora che per gli altri, dovava sembrare tutto strano, inquietante, buio, freddo. Dopo essersi svestite le donne entravano nella camera a gas e aspettavano, pensando di trovarsi in una sala docce, coi rubinetti in alto. Non sapevano dove si trovavano veramente. Una volta una donna, assalita dai dubbi non vedendo arrivare l'acqua, era andata a parlare con uno dei due tedeschi che si trovavano davanti alla porta che avevano subito preso a picchiarla violentemente, costringendola a tornare al suo posto. Le passò in fretta la voglia di fare domande. Gli uomini venivano invece mandati nella camera a gas alla fine, quando la sala era già piena. [...] Il tedesco incaricato di controllare il processo si divertiva a far soffrire un po' di più queste persone in punto di morte: mentre aspettava l'arrivo della SS che doveva introdurre il gas, accendeva e spegneva la luce per spaventarli. Quando spegneva la luce nella camera a gas si udiva un rumore diverso; sembrava che la gente stesse soffocando per l'angoscia, capivano che stavano per morire. Poi riaccendeva la luce e si sentiva una specie di sospiro di sollievo, come se le persone pensassero che l'operazione era stata annullata. Alla fine arrivava il tedesco con il gas. prendeva due prigionieri del Sonderkommando per sollevare la botola dall'esterno, al di sopra della camera a gas, e introduceva lo Zyklon B dall'apertura. Il coperchio, in cemento, era molto pesante. Il tedesco non si sarebbe mai preso la briga di sollevarlo da solo; lo facevamo in due. Qualche vota io, qualche volta altri. Non l'avevo mai raccontato fino a ora; fa male ammettere che dovevamo sollevare e richiudere il coperchio, dopo che il gas era stato gettato. Ma è andata così. [...] Dopo che il gas era stato versato, passavano dieci o dodici minuti e non si sentiva più un rumore, più anima viva. Un tedesco verificava che fossero tutti morti guardando lo spioncino che si trovava sulla porta [...] Quando ne era certo, apriva la porta e se ne andava, dopo aver acceso la ventilazione. Per una ventina di minuti si udiva un intenso ronzio, come una macchina che aspirava l'aria. Poi potevamo entrare e cominciare a portare i cadaveri fuori dalla camera a gas. La stanza era invasa da un odore terribile, aspro. Difficile dirtinguere tra il fetore del gas e quello dei cadaveri e del liquame umano.» (Shlomo Venezia, Sonderkommando Auschwitz, Milano, Bur Rizzoli, 2007, pp. 81-89)

Shlomo Venezia a Che tempo che fa:
http://www.rai.tv/mpplaymedia/0,,RaiTre-Chetempochefa%5E7%5E55011,00.html

Speciale tg1 (25 gennaio 2009):
http://www.rai.tv/mpplaymedia/0,,News-Tg1%5E0%5E178951,00.html

(meglio tardi che mai):
http://www.corriere.it/cronache/09_gennaio_30/vaticano_condanna_negazione_shoah_0c51fd14-eeae-11dd-ba39-00144f02aabc.shtml

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