martedì 2 ottobre 2012

Reality


Comincia con l’occhio di Dio, che dall’alto dei cieli vede tutto, domina la città in tutta la sua interezza, ma può mettere a fuoco chiunque, anche il singolo individuo o la coppia di sposi che, con un improbabile cocchio trainato da cavalli bianchi muniti di pennacchio, viaggia sicura verso il primo dei tanti non-luoghi che affollano la nostra vita: un mega-residence per ricevimenti nuziali. Il punto, però, è che quell’occhio non è di Dio, è di Enzo, ex concorrente del Grande Fratello, che arriva con l’elicottero a dare la sua benedizione e il suo unico comandamento: Never give up! Non mollare mai. Insegui il tuo sogno finché si realizza.
Ha scritto bene Alberto Crespi su “L’Unità”: dal nuovo film di Matteo Garrone, Reality, «emerge il ritratto di un’Italia post pasoliniana in cui la tv ha sostituito la fede e la speranza». Già, proprio quell’Italia che Pasolini aveva profetizzato nell’intervista resa a Enzo Biagi: « - Lei non ha più speranze? - No. … non ho più quelle speranze che sono alibi.  - Ma questa società che lei non ama infondo le ha dato tutto: le ha dato il successo. - Il successo non è niente, è l’altra faccia della persecuzione. […] il successo è una cosa brutta per un uomo: può esaltare al primo momento ma in realtà poi si capisce che è una cosa brutta.» E la spiegazione di questo giudizio tranciante veniva immediata, con parole tanto più forti perché pronunciate in tv: «[…] perché la televisione è un medium di massa e perciò non può che mercificarci e alienarci.»
Luciano Ciotola è un pescivendolo napoletano che per sbarcare il lunario organizza qualche piccola truffa con la moglie Maria e l’amico-socio Michele. La sua vita è tranquilla: ha due bambini e molti parenti, che nelle feste comandate o ai matrimoni intrattiene con travestimenti e scenette, con cui appaga la sua indole istrionica. Perché lui, glielo dice anche il barista del suo quartiere, è “un personaggio”, tiene la faccia. Una faccia che prima o poi dovrà sfondare, basta che si presenti l’occasione giusta. E l’occasione arriva: i provini del Grande Fratello. Si tengono in un altro non-luogo: il megastore. Luciano passa. È il primo step, il secondo sarà a Roma negli studi di Cinecittà. Si tratta di un’ulteriore selezione, ma Luciano è sicuro che verrà scelto. Talmente sicuro che…
Sempre nella celebre intervista di Biagi, Pasolini sosteneva che «[…] è il medium di massa in sé: nel momento in cui qualcuno ci ascolta nel video ha verso di noi un rapporto da inferiore a superiore, che è un rapporto spaventosamente antidemocratico.» Ecco: è questo. Diventare superiori. Anche solo per un momento. Passare il Rubicone: dall’inferiorità all’occhio di Dio. L’occhio del Grande Fratello. Questo è quello che attira il povero Luciano Ciotola. È qualcosa di più che una questione di soldi: è la bellezza di Lucifero che vola ad ali spiegate sopra la folla adorante, come fa Enzo sospeso in aria nell’inferno di una discoteca. Non più guardare, ma essere guardati. Non più ascoltare, ma essere ascoltati.
Non più pregare, ma essere pregati. Luciano scappa dalla cerimonia della Via Crucis al Colosseo per giungere alla sua ultima stazione: la casa del Grande Fratello. È una stazione al contrario: Luciano muore  alla fede e alla speranza per risorgere nella dimensione eternamente onirica della casa. Per fare ciò, il prezzo da pagare è il più alto: la vita.
Dopo l’iperrealismo di Gomorra, Matteo Garrone ci regala un altro bel film, rappresentando l’incubo opposto: il reality, che da format televisivo diventa condizione effimera dell’esistenza, nella società  alienata e mercificata che Pasolini aveva preconizzato quarant’anni fa. Per fortuna, in mezzo ci sta ancora, ma chissà per quanto, la realtà di Aniello Arena, il bravissimo attore protagonista, che quando si spegne la macchina da presa, si leva la maschera e torna nella sua cella a scontare l’ergastolo.

2 commenti:

Danx ha detto...

E' vero, anche se dalla tv a parlare è gente comune, noi, altrettanto comuni, ci sentiamo inferiori perché non possiamo fare altro che stare zitti e starli a sentire e anche se siamo schifati non possiamo dire ai milioni di italiani collegati che è una schifezza, proprio perché pochi canali vengono visti da milioni di persone.
E quindi non si tratta soltanto di sentirsi inferiori verso chi parla, ma di sentirsi impotenti in generale! Noi magari ci rendiamo conto di star subendo un 'lavaggio del cervell', molti altri invece pensano che è solo intrattenimento.. innocente magari!
Ciao
Danx - ItaliaSenzaValori

Patrick J Sammut ha detto...

Sempre articoli di profonda riflessione e di alto livello Marce'. Vorrei avere tutti i libri e i film che commenti a casa per leggerli e guardarli. Pero' il tempo a disposizione e' crudele.
Grazie sempre per i tuoi bei scritti.
Patrick