martedì 3 marzo 2009

The Millionaire - recensione

Ho scritto la recensione del film The Millionaire. Prima di pubblicarla sento la necessità di una premessa. Come spesso mi succede, ho travalicato la cifra stilistica della recensione pura e semplice e ho sconfinato nel mini-saggetto critico. La tesi che ho sostenuto in questo caso è volutamente un po' provocatoria e nella mia fantasia dovrebbe suscitare un dibattito, tipo quello scatenato da Baricco su Repubblica. Ovviamente pecco di immodestia, ma è meglio sognare in grande, no?
Ho fatto leggere la recensione alla mia prof., forse perché parlando di letteratura avevo bisogno del suo conforto. Temevo di aver detto inesattezze. Per fortuna il conforto è arrivato. L'ha giudicata "intelligente e colta". Se lo dice lei! Quindi ora la pubblico con più tranquillità. La prof. mi ha però messo in guardia dai paragoni, sostenendo che la nostra gioventù, nella fattispecie, rimane molto più fortunata di quella indiana. Ha ragione. Io però non volevo fare questo tipo di paragone. Il centro del mio discorso, e della mia polemica, è che l'omologazione televisiva ha ormai raggiunto i luoghi più remoti del pianeta e il suo modello culturale (?!) del successo facile rischia di condizionare anche i più poveri, che potrebbero non cercare più il riscatto reale nella rivendicazione dei diritti loro negati, ma il riscatto virtuale ed effimero del successo televisivo.

Detto questo, ecco la recensione:

LA MISE EN ABYME IN THE MILLIONAIRE

L’ottantunesima edizione degli Academy Awards ha visto come trionfatore il film The Millionaire del regista inglese Danny Boyle (diventato famoso nel 1996 per il discusso film Trainspotting), vincitore di ben otto statuette, fra cui le più importanti, quelle come miglior film e miglior regia.

La storia è ambientata in India, nella baraccopoli di Mumbai e nello studio televisivo di Who Wants to Be a Millionaire?, trasmesso anche in Italia col titolo tradotto in Chi vuol essere milionario? Ha per protagonista Jamal Malik, un ragazzo molto giovane che, cresciuto in mezzo alla strada, partecipa al programma e riesce a vincere venti milioni di rupie (circa 420 mila dollari). Cifra record che desta sospetti sulla regolarità delle sue risposte. Interrogato, e prim’ancora torturato, dalla polizia, Jamal dovrà giustificare ogni risposta, finendo così per raccontare la sua infanzia difficile, fra miseria e dolore, condivisa con gli altri bambini e ragazzi della baraccopoli. In particolare, con Latika, la ragazza di cui Jamal è innamorato e Salim, il fratello maggiore.

Il racconto di Jamal ci descrive un mondo di bambini diversi dai nostri figli, nipotini, fratellini… Bambini, i nostri, cresciuti spesso con quella che Giovanni Paolo II definì la “bambinaia elettronica”, e Popper la cattiva maestra televisione. I bambini della baraccopoli di Mumbai sono allevati ed educati da un’altra bambinaia, la maestra cattiva che è la vita quando si accompagna alla miseria. Cattiveria virtuale da una parte, cattiveria reale dall’altra. Violenza virtuale, violenza reale. C’è differenza?

L’effetto dell’esposizione mediatica a immagini violente è stato oggetto di molti studi. La bibliografia a riguardo negli ultimi vent’anni è sterminata. Premesso che un nesso causa-effetto non è provato scientificamente, proprio la scienza, dopo la scoperta dei neuroni specchio, consente verosimilmente di dare una risposta poco rassicurante. La realtà virtuale, infatti, si “specchia” nella mente. I suoi effetti sono dunque concreti. L’atto del vedere si riflette in azione nel nostro cervello.

Alla luce di questa recente acquisizione delle neuroscienze, il confine tra vita reale e vita virtuale si è molto assottigliato, e il monito di Popper (ma anche di John Condry, che definiva la tv “ladra di tempo, serva infedele”) ritorna di attualità.

L’arte ha sempre giocato sull’equilibrio realtà-finzione, fino a rendere questo gioco esplicito in quella che è stata definita da Andrè Gide mise en abyme. Letteralmente “collocazione nell’abisso”, ovvero nell’infinito interscambio fra vita vissuta e vita raccontata. Una moltiplicazione dei piani della realtà (o livelli, nella terminologia usata da Calvino nel celebre saggio del ’78) ben nota e presente nella storia dell’arte: si pensi, in pittura, al Ritratto degli Arnolfini di Van Eyck del 1434 o al celeberrimo Las Meninas di Velazquez del 1656, fino alle opere grafiche di Escher; in letteratura, a I Falsari di Andrè Gide del 1925, o, guardando all’Italia, al Calvino di Se una notte d’inverno un viaggiatore, del 1979, o al Tabucchi di Sogni di sogni del 1992; nel cinema, infine, si possono citare molti esempi, dalla Nouvelle Vague ad Antonioni, a Woody Allen… In tutti questi casi, e nelle migliaia di altri che si potrebbero citare, la mise en abyme produce di solito un effetto di straniamento. Il lettore o lo spettatore non capisce più dove finisce la realtà e dove comincia la finzione. La sua sospensione dell’incredulità è continuamente interrotta, fino al disorientamento. L’esempio più facilmente comprensibile, sebbene coglie l’aspetto più parossistico e triviale della confusione dei livelli di realtà, è quello dei moderni reality: quella del Grande Fratello è vita vera o virtuale?

In The Millionaire la mise en abyme è totale. Si può dire che è l’aspetto centrale, la chiave di lettura del film. I livelli della realtà sono moltiplicati e mescolati continuamente, al punto da confondersi. Se ne possono individuare almeno tre, semplicemente considerando il protagonista, Jamal: bambino dello slum di Mumbai, personaggio televisivo, personaggio cinematografico. A questi tre livelli se n’è curiosamente aggiunto un altro in questi giorni. La cronaca dei quotidiani di tutto il mondo ha riportato la notizia del piccolo attore che ha interpretato Jamal bambino, Azharuddin Mohammed, picchiato in pubblico dal padre al rientro dalla cerimonia di premiazione degli Oscar.

Se, come ha insegnato McLuhan, il medium è il messaggio, allora il messaggio di The Millionaire è proprio quello di una mise en abyme che da artificio retorico dell’opera d’arte è divenuta l’essere della realtà odierna. L’ontologia del reale. Se prima era un gioco di scatole cinesi, ora non è più un gioco: la mise en abyme è la realtà. Ancora con McLuhan potremmo dire che il Villaggio globale è ormai compiutamente il mondo in cui viviamo.

L’interscambio realtà-finzione in The Millionaire è realizzato con le tecniche che il cinema moderno conosce da tempo: l’esplicitazione delle tracce della ripresa cinematografica e il risalto delle forme commentative accanto a quelle narrative (o, addirittura, il loro prevalere). In questo caso, soprattutto il montaggio di Chris Dickens, che alterna il racconto della puntata di Chi vuol essere milionario? con i flashback della vita di Jamal. Non a caso Chris Dickens ha vinto una delle otto statuette.

La novità della mise en abyme di The Millionaire non sta allora tanto nella forma usata per realizzarla ed esplicitarla. Non sta neanche nel contenuto, nell’intreccio. La novità sta nel fatto che questa mescolanza dei diversi livelli di realtà non produce un effetto di straniamento, bensì, semmai, di riconoscimento.

Popper sosteneva che i cittadini di una società civilizzata non sono il risultato del caso ma il frutto di un processo educativo, e paventava una nefasta influenza in tal senso della cattiva maestra televisione. Quindici anni dopo possiamo dire che aveva ragione. Quindici anni di bombardamento mediatico-pubblicitario hanno reso in noi l’idea di una vita che si riscatta e si realizza nel successo televisivo, nella vincita di una grande somma di denaro (una tantum e senza la fatica del lavoro), nel consumo individuale, un’idea del tutto familiare. Una familiarità inquietante: l’ultima declinazione del perturbante di Freud. La mise en abyme che è il reale ormai completamente estetizzato. Fama = soldi = successo in amore = felicità sono equazioni ben presenti ai nostri neuroni specchio, soprattutto a quelli dei bambini. E il fenomeno ha la portata mondiale del format televisivo venduto in tutto il mondo.

«Guardate un giorno qualunque le situation-comedies americane, che poi vanno in tutto il mondo, o la pubblicità! Guardate l’immagine della vita di una città ricca degli Stati Uniti che esse trasmettono, e pensate che effetto possono fare nelle più remote campagne indiane!» Così Giancarlo Bosetti parlando di Brzezinski nell’introduzione a Cattiva maestra televisione. The Millionaire racconta l’effetto che hanno fatto.





P. S. Nel frattempo mi è giunto il giudizio lusinghiero di Sandro della cineteca di Bologna. Lo ringrazio e mi sento gratificato del suo parere di esperto. Giustamente mi fa notare che l'argomento avrebbe richiesto una trattazione più ampia e uno sviluppo maggiore. Sono d'accordo con lui, infatti l'idea iniziale era quella di un saggio di una decina di pagine, almeno. Ma ho dovuto tenere conto del giornale in cui pubblico, che non è certo una rivista specializzata, e dei lettori a cui mi rivolgo. Entrambi, immagino, lo troveranno invece troppo lungo e noioso...

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