martedì 5 gennaio 2010

Intervallo

Tornare in Sardegna per le feste significa innanzitutto lasciare i meno dieci gradi e immergersi nei ventidue alle sette e quaranta del mattino. In un'alba così:Quel tepore, così fuori luogo in inverno, è un percorso a ritroso nel tempo, fino alle origini. Quell'acqua placida è amniotica. Lo stravolgimento dunque delle coordinate spazio-temporali. Insomma una sospensione, un intervallo. Un ritorno a ciò che si conosce da sempre, a ciò che si è. Un ritorno a casa, nel senso del ritorno in sé. Da qui, la sensazione del conforto, del ritrovare, del ritrovarsi. Un piacere non puramente mentale, ma fisico nel metafisico. Totale, avvolgente. E, tuttavia, consapevolmente passeggero, come un cioccolatino che si scioglie nel palato, troppo presto, lasciando il desiderio urgente di un altro.

Fare il turista nella propria città, in quella dove si è cresciuti, è come guardarsi dall'alto. Essere spettatori del film di cui si è al contempo protagonisti, della propria vita. Quel marciapiede che si è lasciato calpestare dai nostri piedini nei sandali con gli occhi e i calzettoni, quella scuola che ci ha fatto da mamma nell'azzurro del nostro grembiulino, quel vicolo attraversato di corsa per raggiungere i giardini e giocare a pallone...

...ritrovare le proprie radici, tradizioni... è in definitiva il modo di essere, di pensare, di relazionarsi, che è strettamente legato al luogo e al tempo. Di nuovo le coordinate di spazio e tempo: la gabbia culturale di noi occidentali. Chissà com'è per gli orientali. Quale sarà la loro gabbia? Che poi, perché gabbia? No, piuttosto ragnatela. Quei fili sottili, quasi invisibili, tessuti da altri prima che da noi, in cui siamo da sempre o forse da prima di sempre, in cui sappiamo come muoverci, d'istinto, ad occhi chiusi.

In concreto, lasciare Firenze per la Sardegna è un salto spazio-temporale anche dal punto di vista culturale. Dall'Umanesimo al "Naturalesimo", se mi si passa il brutto neologismo. Dall'architettura al materiale. Dalla cupola del Brunelleschi alla roccia nuda, nuragica. Dal materiale alla materia. Dalla rielaborazione filosofica all'esperire. Da Ficino al pastore errante della Sardegna. Dalla massima raffinatezza speculativa sull'essenza di una roccia all'ingenua ricerca di senso seduti su una roccia.

Ingenuità per certi versi commovente quando pretende di porsi allo stesso livello... Nuoro, l'Atene sarda... All'ingresso della casa di Grazia Deledda c'è un grande pannello, a proposito di roccie:
Ma non è solo questo. Bisogna dare a Cesare quello che è di Cesare. C'è, a Nuoro, una realtà culturale che proietta la città nel futuro: il Man. La mostra in corso, purtroppo ormai agli sgoccioli, dedicata a Fabrizio de André, è all'avanguardia per come riesce a declinare l'arte secondo i canoni contemporaneistici: visività e interattività. Il tutto, fortunatamente, in un percorso lineare, che guida il fruitore-spettatore, troppo spesso, nelle mostre di arte contemporanea, abbandonato al caos della percezione a cui non si riesce a dare un senso. Guidare lo spettatore, dandogli una direttrice da seguire, è diventato, negli allestimenti più recenti, un tabù, chissà perché. Una cosa da non fare o da non dire, una bestemmia. Quasi fosse una negazione dell'arte imbrigliarla in delle coordinate di senso. Una cosa vecchia, superata fin dai primi esperimenti dell'arte non figurativa.
Invece, anche l'arte non figurativa è superata. E se l'arte fine Novecento-primi del nuovo millennio è evento, non vuol dire che per essere tale debba essere per forza arbitrio del Caos. O che debba necessariamente disorientare. Si possono offrire delle coordinate come suggerimenti, e si può recuperare la libertà (dell'artista e del fruitore-spettatore) lasciando spazio all'interattività, che altro non è che la forma della comunicazione contemporanea. La messa in relazione dei nostri tempi. La tecnologia ha aperto questi orizzonti. L'arte che li vuole esplorare, e che vuole essere fruita (il che non è detto), deve dunque usare la tecnologia.
La mostra al Man realizza tutto questo, dando la possibilità al visitatore di vedere; rielaborando, personalmente esperire i contenuti; interagire, partecipando così alla creazione artistica.
Questa è, o dovrebbe essere secondo me, l'arte contemporanea. Di più: questa è, o dovrebbe essere secondo me, la cultura: non memoria di cose passate, ma bagaglio comune, trasportato da gambe che camminano in avanti, verso il futuro. Un bagaglio che dovrebbe essere portato da più gente possibile, da tutti. E a cui tutti, nessuno escluso, possono aggiungere qualcosa. Perché tutti hanno la dignità per partecipare: colti o incolti, piccoli o grandi, inseriti o emarginati.

Tutti devono essere assolti, tutti devono essere coivolti.

Chissà se Fabrizio è d'accordo con me...