martedì 20 aprile 2010

Mezza recensione

Tempo fa ho acquistato questo libro: Don Vito, in cui Francesco La Licata, noto giornalista della Stampa, raccoglie le confessioni dei figli di Vito Ciancimino, in particolare di Massimo, il più piccolo.

Avevo intenzione di scriverne una recensione sul blog, una volta ultimata la lettura, ma, non so perché, non mi va di aspettare.

Premesso che, a tratti, è una lettura agghiacciante, per lo spaccato che dà della pax mafiosa che regna in Italia, quello che non riesco a trattenermi dal raccontare è un episodio curioso, e assolutamente secondario.

Giovanni, uno dei figli di don Vito, racconta della superstizione di entrambi i genitori: il padre, ipocondriaco, credeva nel malocchio, la madre, invece, subiva il fascino di maghi e taumaturghi di ogni sorta.

L'episodio è quello dell'agenda rossa (mi chiedo perché, quando si tratta di mafia, le agende siano sempre di questo colore). La signora Ciancimino comprò una nuova agenda telefonica e, come sempre accade, si dedicò a trascrivere i nomi da qualla vecchia. Nelle pause di questa lunga operazione, il figlio burlone, volendo fare uno scherzo, conoscendo le manie materne, sottrasse l'agenda per appuntarvi i nomi dei maghi più famosi, da Nostradamus al divino Othelma. Di fianco, non mancò di scrivere i numeri di telefono, naturalmente inventati.

Quando don Vito fu arrestato, la casa fu perquisita e l'agenda sequestrata dalle forze dell'ordine. L'Espresso fece uscire un articolo in cui rivelava i particolari del sequestro, riportando anche le ipotesi investigative che vedevano in quei nomi di maghi e in quei numeri un misterioso codice da decifrare, magari di conti esteri.

Il buon Giovanni si guardò bene di dire la verità, finché ne parlò con l'avvocato del padre, che lo consigliò di recarsi immediatamente dal giudice Falcone per chiarire il tutto. Il giudice gli credette e tutto finì lì.

Riporto questo episodio perché, non lo nascondo, in mezzo a tante cose agghiaccianti, l'ho trovato una nota di colore simpatica.

A pensarci bene, però, è la fotografia della lotta alla mafia, che per anni ha combattuto contro i mulini a vento, indagando sull'inutile e lasciandosi sfuggire le cose importanti. Ora, grazie ahimè al sacrificio di quel giudice e di altri, sembra che gli obiettivi vegano centrati meglio.

Leggendo il libro si capisce però che sono sempre gli obiettivi della mafia che spara. Ciancimino faceva parte invece di un'altra mafia, quella che non spara e che continua a morire nel suo letto.

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