martedì 18 ottobre 2011

Zanzotto

Ho letto poco fa della morte di Andrea Zanzotto. La notizia mi ha rattristato, non solo perché quando muore un poeta è una perdita per l'intera società, ma perché, avendogli dedicato la mia tesi di laurea, era entrato nella mia vita. Me lo ero reso in qualche modo intimo. Avevo studiato tutte le sue opere, ovviamente, ma soprattutto avevo avuto modo di leggere la sua corrispondenza. In particolare, quella con l'allora direttore dell'Approdo letterario e radiofonico, il poeta Carlo Betocchi. Attraverso le lettere, avevo conosciuto due persone perbene, prima ancora che due poeti eccelsi, degni della migliore letteratura italiana.
C'è un aneddoto che mi rende cara la figura di Zanzotto: gli scrissi per chiedergli l'autorizzazione a pubblicare alcune lettere nella tesi. Vi erano in esse riferimenti alla sua vita privata, e non volevo essere indiscreto. Un giorno, mentre mi trovavo in cucina a prepararmi la cena, un mio compagno di appartamento mi passò una telefonata, dicendomi che si trattava di Zanzotto. Andai all'apparecchio, non prima di aver mandato a quel paese il mio amico, pensando a uno scherzo. Invece, già dal "pronto" con la forte inflessione veneta, non ho più avuto dubbi: il poeta che stavo studiando mi aveva telefonato a casa!
Ricordo solo la mia emozione e nessuna parola in particolare. Fu gentile. Mi chiese della tesi e della professoressa che mi faceva da relatrice. Mi diede l'autorizzazione, e addirittura sembrava più lui grato a me che io a lui!
Ecco, quello che mi porto dentro di Zanzotto è quella umiltà, gentilezza, educazione d'altri tempi, unite per contro all'estrema modernità e innovazione dei suoi versi.

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