domenica 20 aprile 2008

Un bacio romantico - My blueberry nights



Un bacio romantico – My blueberry nights, ovvero come la nefasta abitudine di cambiare il titolo in italiano ad un film straniero possa falsare la percezione dell’opera da parte dello spettatore. Un bacio romantico, infatti, fa subito pensare alla classica commedia romantica: una storia d’amore strappalacrime, con l'happy end finale. In effetti, la storia d’amore c’è, il bacio pure, ma non è questo il punto. Meglio: non è questa l’essenza del film.
Il regista, Wong Kar-wai (In the mood of love, al suo primo film girato in America), non vuole che lo spettatore si immedesimi nella storia tra Jeremy (Jude Law) e Elizabeth (Norah Jones, al suo debutto cinematografico, mostra di non essere solo la raffinata cantante che è, ma anche un'ottima attrice). Lo sguardo di chi è seduto in sala non deve fondersi con la soggettiva dei personaggi, ma deve mantenere la distanza dell’osservatore esterno. Per questo Wong Kar-wai ricorre a vari espedienti di regia:
1. la macchina da presa inquadra spesso e volentieri i personaggi da dietro uno schermo, magari un vetro: la vetrina di un caffè, il vetro del banco frigo del bar, ma anche una tapparella…;
2. il ricorso non alla soggettiva, ma ad un'oggettiva irreale, o soggettiva stilistica che dir si voglia: ovvero, dal fuori fuoco alla messa a fuoco;
3. l'uso frequente del primo piano che, come insegna Deleuze in L’immagine movimento, trasporta lo spettatore al di fuori dello spazio e del tempo, in una dimensione virtuale, extranarrativa. In altre parole, la ripresa ravvicinata trasforma il volto del personaggio in una maschera (etimologicamente una "persona"), mostrando l’universalità del sentimento che esprime in quel momento: rabbia, paura, desiderio, amore. A questo proposito, sempre Deleuze, citando Bergman, ha parlato significativamente di «nichilismo del volto», ovvero della «paura del volto di fronte al suo stesso nulla» (queste considerazioni sono tratte da Introduzione alla retorica del cinema di Sandro Bernardi);
4. la dilatazione-distorsione dello spazio-tempo, attraverso il ricorso frequente alla slow-motion, saltuario all’accelerazione, e all’immagine frammentata di una camera a circuito chiuso;
5. l’ambientazione in “non-luoghi”: bar, caffè, stazioni, strade, casinò (che, come recita una battuta del film, «ti fa perdere la cognizione del tempo»).
Dunque, Wong Kar-wai non si propone con questo film di raccontare una storia romantica, ma intende sviluppare una personale riflessione sull’amore, sulla solitudine esistenziale. Sull’amore ai tempi della solitudine, si potrebbe dire…il colera della nostra epoca. A questo riguardo è significativo il dialogo drammatico tra Sue Lynne (Rachel Weisz) ed Elizabeth, quando Sue Lynne, piangendo l’ex marito da poco scomparso, confessa i suoi sentimenti: «Lo sai? A volte desideravo vederlo morire. Pensavo fosse l’unico modo per liberarmi. – Lo odiavi tanto? – No. Non lo odiavo. Volevo solo che mi lasciasse andare. E adesso che se n’è andato, mi fa un male cane. Mi sento sola al mondo.»
Il viaggio di Elizabeth (anticipato dai continui raccordi di treni, metropolitane, tram in profondità di campo) da New York a Memphis, poi a Las Vegas, è un viaggio nei rapporti umani, che delle chiavi misteriose aprono e chiudono; all’interno di questa ossimorica solitudine relazionale, che fatalmente si porta dietro il rischio del fallimento, della perdita. Di questo tenore sono i rapporti delle persone che incontra, compreso quello tra il personaggio di Lesile (Natalie Portman) e suo padre. È Lesile, accanita giocatrice di poker, che cerca di introdurre Elizabeth nell’arte del bluff, dell’espediente della menzogna nei rapporti interpersonali. Quando Elizabeth scopre che Lesile le ha mentito, lei si giustifica: «Forse volevo solo un po’ di compagnia. C’era tanta strada da fare e non la volevo fare da sola». Quella di Lesile è una solitudine senza speranza: «Smettila di prendere le persone sul serio!», dice all’amica. «E tu perché non inizi?», risponde Elizabeth. «Sei senza speranza!»; «Sei tu che sei senza speranza!»
Dunque, la traversata verso ovest e ritorno di Elizabeth, attraverso i lunghi rettilinei delle strade americane, rettili neri d’asfalto, non fanno di Un bacio romantico un semplice road movie. Si tratta, semmai, di una rilettura “in salsa cinese”, cioè alla luce della cultura e, potremmo dire, della spiritualità cinese, del genere “film di viaggio americano”. Un viaggio prettamente notturno: le notti di Elizabeth sono al mirtillo (questa la traduzione letterale del titolo originale: le mie notti al mirtillo), perché al mirtillo è la sua torta preferita, quella che tutti gli avventori del caffè di Jeremy a New York, scartano, preferendo altri dolci. Così, alla fine della giornata, al momento della chiusura del locale, la torta al mirtillo rimane intatta, da sola, nel freddo del refrigeratore.

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