giovedì 17 settembre 2009

Leggere per non dimenticare

Leggendo su Wikipedia la biografia di Marat (http://it.wikipedia.org/wiki/Jean-Paul_Marat), trovo un passaggio interessante che descrive il contenuto della sua opera più famosa: Le catene della schiavitù, del 1774:

L'instaurazione del dispotismo avviene dapprima insensibilmente: «con la scusa di innovare, i principi gettano le basi del loro iniquo dominio». Il tempio della libertà viene minato, non abbattuto brutalmente, cominciando con il «portare sordi attacchi ai diritti dei cittadini», avendo cura di nascondere l'odiosità dei provvedimenti, «alterando i fatti e dando bei nomi alle azioni più criminali». Apparentemente accettabili, queste prime riforme «nascondono conseguenze di cui dapprima non ci si avvede, ma di cui non si tarda ad approfittare, traendone i vantaggi previsti». Altre volte il principe, con il pretesto di risolvere crisi allarmanti da lui stesso preparate, «propone espedienti disastrosi che copre con il velo della necessità, dell'urgenza delle circostanze, dei tempi infausti. Egli vanta la purezza delle sue intenzioni, fa risuonare le grandi parole dell'amore del pubblico bene e proclama le attenzioni del suo amore paterno». Nessuno ha più la forza di opporsi, anche intuendo il «nascosto, sinistro disegno. E quando la trappola scatta, non c'è più il tempo di evitarla». Una volta che sia instaurato, il dispotismo si conserva opprimendo la libertà di stampa [...]

Il brano prosegue criticando la religione e l'esercito. Non che si debba essere d'accordo su tutto, ma voi non notate analogie...?

Interessante anche la conclusione:
I regimi dispotici non sono tuttavia invincibili. Se la gran massa dei cittadini non può vigilare sulla propria libertà, occorre che nello Stato vi siano uomini «che seguano gli intrighi del governo, che svelino i suoi progetti ambiziosi, che gettino l'allarme [...] che scuotano la nazione dal letargo [...] che si curino d'indicare colui sul quale deve cadere l'indignazione pubblica». Guai al Paese «in cui il prìncipe è potente e pieno d'iniziative, nel quale non vi siano né pubbliche discussioni, né effervescenza, né partiti»: queste occorrono, affinché «la libertà si veda uscire senza posa dai fuochi della sedizione»

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