sabato 17 maggio 2008

GOMORRA

È uscito nelle sale l’atteso film di Matteo Garrone, Gomorra. È tratto dall’omonimo libro di Roberto Saviano sulla camorra, pubblicato da Mondadori nel 2006 e divenuto in pochi mesi un caso editoriale. Il successo di vendite ha avuto come effetto collaterale la necessità da parte dello Stato italiano di proteggere Saviano con una scorta armata, come si fa per i magistrati o le alte cariche istituzionali. Nel nostro Paese il diritto costituzionale della libertà di pensiero e di parola può essere pagato con la vita, come nei regimi dittatoriali che tali diritti disconosce. Saviano, come Salman Rushdie, ha subito una fatwa. E non in Iran, ma in Italia.
Ma perché i “versetti satanici” del giornalista napoletano hanno scatenato le ire dei clan camorristici? Gomorra non è stato il primo né sarà l’ultimo libro scritto sull’argomento. Il fatto è che Gomorra è un libro scomodo perché costringe tutti ad aprire gl’occhi sulla realtà. Saviano non ha scritto un “romanzo criminale”. Ha scritto anche un “romanzo criminale”. In realtà ha parlato soprattutto di economia. Dell’economia del nostro Paese, che, in un contesto di globalizzazione, è l’economia del mondo intero: “[…] il pensiero dei boss coincide col più spinto neoliberismo. Le regole dettate, le regole imposte, sono quelle degli affari, del profitto, della vittoria su ogni concorrente. Il resto vale zero. Il resto non esiste.”; “A Secondigliano molti cronisti credono di trovare il ghetto d’Europa, la miseria assoluta. Se riuscissero a non scappare, si accorgerebbero di avere dinanzi i pilastri dell’economia, la miniera nascosta, le tenebre da dove trova energia il cuore pulsante del mercato.”; “la vera icona del neoliberismo è il kalashnikov”; “Imprenditori. Così si definiscono i camorristi del casertano: null’altro che imprenditori.”; “Queste ditte riescono a proporsi in modo profondamente concorrenziale. Hanno vere e proprie colonie criminali in Emilia, Toscana, Umbria e Veneto, dove certificazioni e controlli antimafia sono più blandi e permettono il trasferimento di interi rami d’azienda.”. E cosi via…
Ecco, sono questi i “versetti” dannati. Sono questi i versetti scomodi. E non solo per i boss. Sono scomodi per tutti, perché dopo che sono stati scritti, dopo che sono stati letti, nessuno può chiamarsi fuori. Nessuno può dire: “Io non sapevo”, “Io non credevo”, “Io non avevo capito”. Parafrasando De Andrè, anche se noi ci crediamo assolti siamo per sempre coinvolti. Siamo coinvolti perché ora sappiamo che la camorra non è la spazzatura di Napoli, ma la spazzatura del nostro Paese. La spazzatura del nostro Paese nel mondo. Racconta Saviano che i principali boss dei casalesi sono titolari di imprese “legali” in tutto il mondo: villaggi turistici, alberghi, ristoranti in Spagna, in Scozia, in Germania, in Polonia; catene di negozi, con filiali persino a Taiwan o in Cina; hanno avuto il monopolio dell’edilizia non in Campania, ma nel modenese e nell’aretino; erano i principali referenti in Campania della Cirio di Cragnotti e della Parmalat di Tanzi…
È un cancro che ha messo in circolo le sue metastasi. Dopo Gomorra, nessuno può più pensare che la spazzatura è un problema dei napoletani, perché ora sappiamo che quella spazzatura è prodotta dalle imprese del Veneto e in generale del Nord Italia, che chiudono non uno ma due occhi sul fatto che la ditta che si occupa dello smaltimento può fare prezzi fuori mercato. Chiudono gl’occhi gli imprenditori e chiudono gl’occhi i politici. Dopo Gomorra, non si può più fare finta che i morti sul lavoro siano “incidenti”: “Di lavoro si muore. In continuazione. La velocità di costruzioni, la necessità di risparmiare su ogni tipo di sicurezza e su ogni rispetto d’orario. Turni disumani nove-dodici ore al giorno compreso sabato e domenica. Cento euro a settimana la paga con lo straordinario notturno e domenicale di cinquanta euro ogni dieci ore. I più giovani se ne fanno anche quindici. Magari tirando coca. Quando si muore nei cantieri, si avvia un meccanismo collaudato. Il corpo senza vita viene portato via e viene simulato un incidente stradale. Lo mettono in un’auto che poi fanno cadere in scarpate o dirupi, non dimenticando d’incendiarla prima. La somma che l’assicurazione pagherà verrà girata alla famiglia come liquidazione.”
Il film di Garrone mette in scena questo orrore. Il film, presentato in questi giorni a Cannes, è un bel film e, fra tanti attori non professionisti, reclutati in loco, c’è l’ottimo Toni Servillo nel ruolo del mediatore dei clan presso le imprese del Nord, proprio nell’ambito dello smaltimento dei rifiuti. Una sorta di “solutore”, come il personaggio interpretato da Harvey Keitel in Pulp fiction. Mereghetti ha definito il film un capolavoro. Forse lo è. Ma l’appunto che gli si può fare è che non rende l’aspetto più importante del libro, cioè quello non provinciale ma internazionale dell’economia camorristica. I dialoghi in dialetto napoletano, sottotitolati, l’ambientazione nei quartieri poveri della città, fanno pensare al Bronx, cioè a una realtà di emarginazione limitata a un quartiere, a una realtà locale. Fanno pensare che Napule è 'na carta sporca e nisciuno se ne importa. Il libro di Saviano fa invece pensare che la “carta sporca” è l’economia del nostro Paese e che per lavarla non serve la semplice repressione. Non serve mandare l’esercito in Campania. La camorra non la sconfigge l’esercito ma il Parlamento. Serve un nuovo patto fra tutte le forze politiche, sullo spirito dell’Assemblea Costituente che sessant’anni fa ha scritto che “L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro”, che “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, con lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”, che “L’iniziativa economica privata è libera” ma che “Non può svolgersi in contrasto con l’unità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”. Il miglior regalo di compleanno per la nostra Costituzione sarebbe quello di ritrovare lo spirito unitario dei nostri padri costituenti, che prima hanno partecipato alla Resistenza e poi hanno scritto i principi e le regole del nostro vivere civile, perché anche oggi l’Italia ha bisogno di resistere e di essere liberata.

3 commenti:

domenico ha detto...

davvero un film bellissimo, toccante
ne ho scritto anch'io

mamma ha detto...

Qualche impressione a caldo dopo aver visto Gomorra.Strage in apertura per dare subito la dimensione dell'orrore e strage finale che lo conferma e lo ingrandisce: due ragazzini balordi che meritano solo un commento sulle forze eccessive impiegate per farli fuori!
L'ambientazione prevalente nel quartiere degradato,il linguaggio,la tipologia prevalente dei personaggi mi pare possano però indurre a pensare ad un fenomeno circoscritto che solo occasionalmente ha implicazioni fuori. E' un modo per assolversi e superare l'orrore? E ancora il tutto molto forte, un vero pugno nello stomaco, crea un senso di frustrazione tale da far pensare che nessuna soluzione è alla nostra portata, meglio demandare a chi può e cercare di dimenticare...Sarebbe terribile fosse questo il sentimento principale che prova chi vede il film.

lasorella ha detto...

o ma'...e vatti a vedere una commedia no?!! eh!