venerdì 14 novembre 2008

007 - Quantum of solace


La fantasia umana ha la straordinaria capacità di costruire mondi paralleli. Lo fa attraverso l’arte, in tutte le sue estrinsecazioni. La letteratura e il cinema ne sono un esempio lampante. Questi mondi sono abitati da personaggi che, quando si imprimono nell’immaginario collettivo, diventano eterni, realizzando il bisogno primario dell’uomo, per il “quantum” di sicurezza che ne scaturisce. Solo la dimensione dell’eternità, del tempo infinito, fa sparire dalla psiche umana l’insicurezza, ne alimenta la speranza, fornisce un senso all’esistenza. L’eternità di un’altra vita, nella prospettiva delle fedi religiose, ma anche, forse paradossalmente, l’eternità del nulla, nelle fedi non religiose. Il bisogno della sicurezza, per quel “conforto” anche minimo che fornisce, alimenta la ricerca dell’eternità in questo o in altri mondi, reali o immaginari che siano.

Il racconto Quantum of solace uscì nel 1960 nella raccolta Solo per i tuoi occhi, edito da Garzanti. Nella prima versione italiana fu tradotto come un “quantum di sicurezza”, ma una traduzione forse più corretta vorrebbe il termine “conforto” o “sollievo”. Poco importa: la sicurezza conforta e dà sollievo. Fleming lo scrisse, pare, in un momento di crisi coniugale, riversando sulla pagina le sue paure e le sue recriminazioni. È lecito pensare che cercasse nella scrittura un po’ del conforto, della sicurezza, che le incomprensioni della sua vita matrimoniale gli facevano mancare. Incomprensioni a cui si aggiungevano quelle editoriali. Così, ne venne fuori un racconto anomalo, in cui il personaggio eterno di James Bond non fa nulla, se non ascoltare una storia che gli viene raccontata dal Governatore di Nassau. La vicenda riguarda una coppia, Philip Masters e Rhoda Llewellyn, dapprima felicemente sposati e poi in guerra fra loro. Un rapporto autodistruttivo, che porta lui sull’orlo del suicidio e lei alle soglie di una rovina economica e sociale. Per il Governatore è la conferma di una sua teoria che definisce come la “legge del quantum di sicurezza” e che enuncia a Bond in questi termini: «Voi non siete sposato, ma credo che sia la stessa cosa in tutte le relazioni tra un uomo e una donna. Possono resistere a qualsiasi cosa finché tra i due esiste un rapporto di una certa umanità. Ma quando ogni dolcezza è scomparsa, quando a uno dei due chiaramente e sinceramente non importa più che l’altro sia vivo o morto, allora non c’è più nulla da fare.» Per Bond la storia di Philip Masters è una lezione di vita: «È incredibile come la gente riesca a ferirsi»; «Devo prestare più attenzione alla gente». Nel chiudere il suo racconto, Fleming trae una cupa morale: le violenze più atroci non sono quelle che provengono dalle trame dei governi e dei loro servizi segreti, ma quelle che si sviluppano nella sfera privata dei rapporti umani: «Improvvisamente tutte le violenze e i drammi della sua vita gli parvero molto vuoti […]»; «]…] il libro della vera violenza, della Comédie Humaine in cui le passioni umane sono crude e reali, in cui il destino giuoca tiri più autentici di qualsiasi cospirazione di Servizio Segreto progettata dai Governi.»

Di tutto questo nel film di Marc Forster rimane solo il titolo. Il Bond cinematografico non sta seduto neanche un attimo, figurarsi se può perdere tempo ad ascoltare una storia! Ha una vendetta da compiere, persone da ammazzare, aerei con il motore in fiamme da pilotare, automobili crivellate di colpi da guidare, tetti da scavalcare, motoscafi da distruggere. È vero, anche lui ha alle spalle un amore finito male, nel precedente Casino royale. Anche lui è un uomo, altrimenti sarebbe Robocop. Ma non ha una lezione di vita da trarre, solo la consumazione di una vendetta da assaporare. Poco Fleming, dunque. In compenso, tanta Italia. L’inizio, superspettacolare e ipercinetico, è ambientato nella Siena del palio, e l’Aston Martin di Bond è inseguita da un’Alfa Romeo e dalle camionette dei Carabinieri. Più in là, ritorna Giancarlo Giannini, a interpretare Mathis, e c’è anche una particina per Lucrezia Lante della Rovere. Infine, anche la camera da letto del Grand Hotel Bolivar di Panama, dove si svolge una scena madre del film, di vago sapore goldfingeriano, è made in Italy, nel senso che l’arredamento è stato curato da una nota azienda italiana, che ha pensato bene di ricostruirla tale e quale nel suo negozio di Milano, ad uso e consumo dei clienti.

In conclusione, il James Bond di carta resta immortale, il cugino di poliestere è morto tanto tempo fa, stroncato da due gravissime malattie, il razzismo e il maschilismo, che l’hanno reso (per fortuna) politicamente scorretto. Al suo posto c’è un energumeno, che gli ha rubato il nome ma non l’ironia. Lo interpreta Daniel Craig, ottimo per il ruolo, perché ha un numero delle espressioni del viso inversamente proporzionale ai tanti suoi muscoli.

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