mercoledì 26 novembre 2008

Gita a Roma

Mi sono offerto volontario. Quando la preside me l'ha proposto, non c'ho pensato un attimo. L'anno paolino, bimillenario della nascita, gita alla basilica di San Paolo fuori le Mura. Sono stato tante volte a Roma ma non ho mai avuto occasione di visitare la seconda basilica più grande del mondo, dopo San Pietro. Quando ho accettato di partecipare, più di un mese fa, ho immaginato una giornata di sole e chiacchiere con i miei colleghi. La settimana scorsa, quando ho confermato la mia presenza, sono stato messo di fronte a una realtà diversa. I miei colleghi si erano defilati. Sarei stato da solo, con la suora.

Va be', pazienza, mi sono detto. Il lavoro è lavoro. Comunque è sempre una gita a Roma, mica la guerra in Iraq! Intanto, però, da giorni evito di parlare con me stesso. Lo faccio d'istinto. Solo ora capisco che è una difesa psicologica. Andare a Roma non può essere per me solo una gita. Lì ho lasciato tutte le mie lacrime, che sono ancora umide. Ho lasciato anche i bei ricordi: quello della gita con babbo e mamma, da piccoli; quello della gita in quinta elementare. Ma anche i bei ricordi è meglio lasciarli dove sono. Se penso alla prima volta, penso a babbo che correva sulle strade in salita della capitale, con 50 gradi all'ombra, e noi che non gli stavamo dietro. O quando pretendeva di leggere tutta la guida Michelin di fronte ad ogni monumento...che palle! Oppure ricordo il temporale. Il più forte che avessi mai sentito in vita mia. Svegliato nel cuore della notte, ricordo di aver pensato (giuro) a dei bombardamenti, alla terza guerra mondiale. Ma nell'altra stanza dormivano i miei genitori, non avevo nulla da temere. Della gita di quinta elementare ricordo poco, comunque sempre cose allegre.

Si, meglio lasciar perdere i ricordi. Meglio non ricordare niente. Perciò non mi parlo. Il mio io mi metterebbe di fronte tutto: le cose belle, ma soprattutto le cose brutte. Mi costringerebbe a fare i conti con me stesso. Perciò continuo a fare finta che sia solo una gita. Sarà dura, ma ci provo. Tutti quei simboli della fede che mi troverò di fronte saranno un altro banco di prova non indifferente. Richiameranno tutti i miei dubbi. Sono solo monumenti, mi dico. Opere d'arte. San Paolo lo metto tra parentesi.

Piove. Anzi, diluvia. Sono le sei e trenta del mattino e sono alla fermata dell'autobus, diretto in via Faentina, dove c'è l'istituto fiorentino delle suore, consorelle di quelle di Campi per cui lavoro. Ho sonno. La colazione l'ho ingurgitata in fretta per paura di fare tardi. È ancora buio. Dentro di me è buio già da qualche giorno. Arrivo. Mi presento alla collega di Firenze e alla suora, preside della scuola. Tra un po' arriverà il pullman da Campi con i miei alunni e la mia preside. Per fortuna è mattina presto anche per gli altri, perciò si può evitare di sorridere con la scusa della sonnolenza. In realtà, in superficie sono tranquillo, sereno come un professore in gita. Dentro non mi può vedere nessuno. Non ci guardo nemmeno io. Certo che lo scenario è cambiato rispetto a come me l'ero immaginato: niente colleghi con cui parlare e pioggia battente. Va be'...non ci lamentiamo.

Partiti.
Dopo un po' suor M. (predide di Firenze) prende il microfono:
- Facciamo la preghiera.
Studenti in coro:
- NOOOOOOOO!!!
S. M.: - Ragazzi stiamo andando a Roma...
Studente 1: - ...per divertirci!
Studente 2: - ...e per fumare.
Mentre suor M. continua a parlare del nostro viaggio che non è solo una gita, ma anche un percorso spirituale sulle orme di San Paolo, Studentessa 1: - Che palle! Io è da cinque anni che non mi confesso!; studentessa 2: - Grande! Anch'io!
Intanto la suora, imperterrita, ha iniziato la preghiera dal Padre Nostro. Suor M.: - Diciamo anche un'Ave Maria, perché la Madonna faccia finire la pioggia e ci dia il sole.
Sorrido sotto i baffi. Diluvia. Prima di partire ho guardato le previsioni su Roma: sono previsti forti temporali. Perciò, anche se mi pesa un po', ho portato con me l'ombrello buono, non l'ombrellino dei vucumprà o dei cinesi, che al primo colpo di vento si distrugge.

Naturalmente, neanche all'altezza dello svincolo per Siena, si apre il cielo e splende il sole. I ragazzi chiudono le tendine. Le suorine extracomunitarie di fronte a me si girano. Sorriso a trentadue denti: - Ha visto professore? Abbiamo pregato la Madonna e c'è il sole! Da lì a poco passa suor F., la mia preside. Si dirige verso il fondo per riprendere i ragazzi in piccionaia che fanno casino. Nel passare, però, distoglie momentaneamente lo sguardo da loro e lo rivolge alle consorelle che stanno di fronte a me. Il viso corrucciato lascia per un attimo il posto a un sorriso di trionfo: - Visto? Il sole! Detto senza nessuna meraviglia, come fosse normale. Tutte le volte mi lascio sorprendere dalla determinazione delle suore. Sono capaci di tutto, anche di cambiare il tempo. Comunque a Roma pioverà, questo è certo.

Sono seduto in fondo, a ridosso della piccionaia. Qui è tutto uno scambiarsi canzoni col bluetooth. Sono esposto a miliardi di radiazioni. E al cicaleccio. Esempio (al netto delle parolacce), studentessa 1 (età 15 anni): - No! Non ti farei toccare le tette neanche se fossi Gianluca di quarta!

Dopo la sosta in autogrill per la colazione, risaliti sul pullman, suor M. mette il dvd sulla vita di San Paolo. Proteste varie.
Studenti in coro: - Non si può vedere qualcos'altro?
Suor M.: - No. Ve lo sorbite tutto e zitti.
Studente: - Suor M.? Poi ci lascia dieci minuti liberi?
Suor M.: - No.
Il film scorre velocemente. San Paolo è sulla strada di Damasco. Effetti speciali da quattro soldi lo mostrano ora con gli occhi bianchi. Studente 1: - L'ha accecato davvero?; studente 2: - Ecché lo so, io?

Roma, finalmente! Studente 1: - Quanto è brutta Roma! Che schifo! Prima tappa: la basilica delle Tre fontane, dove San Paolo è stato incarcerato e, secondo la laggenda, battendo con un bastone in terra per tre volte ha fatto zampillare l'acqua. Miracolosa, naturalmente. Prima di scendere dal pullman, suor M. prende di nuovo il microfono: - Lasciate gli zaini col pranzo. Prendete solo le cose per le vostre esigenze...intime. Studente, a voce alta: - ...Gli assorbenti.
Nella chiesa del martirio di San Paolo, suor F. ha organizzato un momento di preghiera. In particolare, ha ideato una scenetta. Un'"intervista a San Paolo". Tre studenti leggono da un foglio. Due fanno le domande e un altro, che interpreta San Paolo, risponde.
All'uscita della chiesa, c'è un libro per le firme dei visitatori. Tutti gli studenti si fiondano in massa. Li lascio fare ma poi mi viene un dubbio e mi avvicino per vedere che non scrivano scemenze. Non si sa mai. Per fortuna stanno solo firmando. Qualcuno ha scritto "ti amo" a non si sa chi. San Paolo ha scritto Zlatan (Ibrahimovic, giocatore dell'Inter: il suo dio, evidentemente). Per restare in tema, fuori dalla chiesa c'è una statua di San Benedetto a braccia aperte in segno di accoglienza e benedizione. Anche in questo caso gli studenti lo riconoscono: - ZLATAN!!! E si affrettano a scattarsi la foto sotto la statua. Ibrahimovic, per chi non lo sapesse, dopo il gol esulta aprendo le braccia.

Pranzo al sacco in una parrocchia che ci mette a disposizione i locali dell'oratorio. Poi, finalmente, San Paolo fuori le Mura. Bellissima. Mentre i pargoli si accalcano sulle bancarelle prospicienti la chiesa, io ammiro il colonnato imponente. All'interno, la meraviglia del soffitto a cassettoni e dei mosaici mi lascia senza fiato. Le enormi statue di San Paolo e di San Pietro mi colpiscono per la loro potenza. Quella spada di San Paolo mi trafigge davvero. Vorrei essere solo. In fondo lo sono in questi momenti, ma immagino lo stesso di poterlo essere davvero, per poter meditare in pace. Come ne avrei bisogno! La curiosità più turistica sono i mosaici tondi di tutti i papi della storia. Quello di Benedetto XVI è illuminato. Faccio subito peccato pensando quanto ne sarà stata appagata la vanità dell'attuale pontefice. Alcuni tondi sono vuoti, destinati ai futuri successori di Pietro. Dice la leggenda che un certo Malachia, intorno al Mille, avesse profetizzato che una volta riempiti tutti i tondi sarebbe finito il mondo. Don E. (il parroco della chiesa che ci ha ospitato per il pranzo) ne conta sette. Dunque la fine del mondo non è lontana, appena sette generazioni. Poi però, mentre don E. sta già annacquando la cosa, dicendo che la fine del mondo implica la parusia e quindi è un evento lieto, io mi faccio un giro e conto altri dieci tondi oltre a quei sette. La parusia sarà anche un evento lieto, ma mi conforta sapere che sono diciassette e non sette i tondi che restano da riempire. Chissà perché poi, visto che in entrambi i casi sarò morto da un pezzo. Alle quattro celebreremo la messa. Siccome la cappella non ce la aprono prima delle quattro e sono ancora le tre, usciamo e facciamo un altro giro fuori, lasciando i ragazzi liberi di sfogarsi prendendo di nuovo d'assalto le bancarelle. Prima di rientrare, don E. la butta lì: - Chi si confessa? Nessuno risponde. Io mi distraggo perché un mio alunno, che ha appena comprato la sciarpa dell'Inter, sta prendendo in giro una zingara che gli chiede l'elemosina: - Se dici "Forza Inter" te li do. Dai, dillo! Dillo! Intervengo, lo trovo insopportabile: - Ehi, tu! La smetti di prenderla in giro? Don E., che era distratto, si accorge della scena, ma anzi che darmi aiuto contro il ragazzino, caccia via la zingara. Suor F. gli dà manforte: - Sono sempre a chiedere, ci vorrebbe la Banca d'Italia! Lei però, prima, l'elemosina gliel'ha data, l'ho visto io. Poi don E. riapre il sorriso e insiste: - Allora, chi si confessa? Dai Forza Inter, vieni tu! Forza Inter va. I due si appartano dal gruppo. Non più di dieci passi. Durata della confessione: pochi secondi. Mi incuriosisco e comincio a cronometrare mentalmente le altre: 36 secondi, 37, 35, 49. Tutte sotto il minuto. Poco più tardi, di fronte alle macchinette del caffè della basilica (si, proprio così. Sono all'ingresso), apostrofo don E.: - Le confessioni più brevi della storia! Un attimo dopo averlo detto mi rendo conto di essere stato impertinente. Lui accusa il colpo, ma si riprende subito. Mi guarda, serio ma sereno, e inizia un pistolotto sulla pedagogia salesiana. Ha l'entusiasmo del giovane sacerdote: - Bisogna avvicinarli con il loro linguaggio, non con il nostro...ecc. ecc. Mi convince. Ha ragione lui. Chissà se Forza Inter ha avuto il tempo di confessare di aver preso in giro una poveraccia.

A messa, mi metto in ultimo banco. Davanti a me, i miei studenti peggiori ridono tutto il tempo e quando cantano imitano la suora. E ridono, ridono... Quanto ridono!
Finita la messa, torniamo a casa. Finalmente! Sul pullman, le ienette sfogano le loro ultime energie, triturando i cosiddetti a noi responsabili e all'autista. Dico solo che a un certo punto la collega di Firenze è tornata dalla piccionaia con una scarpa da tennis. Collega alla suora: - Questa l'ho sequestrata. Se la stavano tirando. Dal fondo: - Suora posso riavere la mia scarpa?
In prossimità di Firenze, le due suore si confrontano. Suor M.: - In fondo sono stati bravi. Suor F.: - Si, poverini. Per loro è stata una giornata pesante!

P.S. Dimenticavo... A Roma neanche una goccia di pioggia.

1 commento:

mamma ha detto...

Non voglio commentare,la tentazione sarebbe soffermarmi sulla prima parte.
Rido invece leggendo la cronaca della giornata romana, ma me lo posso permettere ora che ho dimenticato le fatiche di insegnante.